Traendo spunto dal libro “Il Cammino di Maat”, ne riprendiamo alcuni brani inerenti all’interpretazione dell’antica scrittura egizia:
[…] Procediamo allora per gradi, iniziando ad analizzare il termine neter, che contraddistingue il concetto di Dio, in geroglifico
il cui significato letterale è FUNZIONE o PRINCIPIO.
Per quale motivo utilizzare una bandiera per esprimere il concetto di divinità?
Noi possiamo osservare che la bandiera contraddistingue un punto di riferimento, una direzione da seguire, così sono infatti gli dei per gli uomini; ma ancor più in profondità essa simboleggia lo strumento per mezzo del quale una forza che non è direttamente visibile si manifesta (sventolando lo stendardo), rivelando così la propria esistenza attraverso la constatazione e la verifica dei suoi effetti. Difficile scindere in una definizione del genere gli aspetti religiosi da quelli scientifici.
Consideriamo per esempio la legge di gravità: nessuno obietterebbe sulla sua esistenza, sugli effetti estremamente fisici e tangibili della sua forza. Eppure non la si può vedere, toccare, fissare, ed inoltre – cosa ancora più importante – non la si può eludere. Ecco perché Carl Gustav Jung incise sulla porta di ingresso della sua casa la massima: invocati o meno, gli dei sono presenti.
Gli dei venivano considerati dagli antichi egizi al pari di leggi o principi di vita (da cui la traduzione del geroglifico) impossibili da relegare in un ambito scientifico piuttosto che religioso o filosofico.
I neter simboleggiano la molteplicità delle forze che permettono la vita, le funzioni della natura attraverso le quali la Creazione è venuta in essere e si mantiene. La loro rappresentazione attraverso immagini antropomorfiche e all’interno di un’organizzazione di legami parentali, non è che un escamotage simbolico-figurativo per avvicinare alla loro comprensione la coscienza umana ordinaria e dialettica. Fermarsi ad esse significa però soffocarne il valore spirituale, e questo ben lo sapevano gli antichi saggi che non si risparmiavano certo di sottolinearlo come monito. Ricordiamo le parole di Plutarco nel libro” Iside e Osiride”:
perciò quando ascolterai le storie che gli egiziani raccontano sugli dei – peregrinazioni, smembramenti e altre avventure del genere – dovrai ricordarti di quello che abbiamo detto, e non credere che quanto essi affermano corrisponda a fatti realmente accaduti. […] solo così potrai sfuggire alla superstizione, che è un male certo non inferiore all’ateismo stesso.
I neter rappresentano un’energia divina in azione, sfaccettature differenti che compongono la superficie dello stesso diamante, verso il quale è più facile avvicinarsi a piccoli passi, analizzando lato per lato le sue singole caratteristiche, i suoi attributi, per poi giungere infine alla sua interezza, priva di ogni reale suddivisione.
Scomporre in piccoli sottoinsiemi la natura di un organismo o di un’entità difficile da comprendere nella sua interezza, è insita nella modalità umana di condurre una ricerca. Gli antichi saggi non facevano altro che adeguarsi a questa evidenza cavalcandone la metodologia con l’auspicio di poter poi ricondurre le coscienze verso la riunificazione del tutto, verso la percezione dell’unità di base.
[…] Permettiamo ora alla scrittura sacra egizia di presentarsi da sola attraverso il termine che la contraddistingue, ossia medu neteru, traducibile come PAROLE DIVINE, in geroglifico
dove il simbolo intermedio raffigura un semplice bastone di legno. Una traduzione più dettagliata del termine è infatti PRINCIPI (o FUNZIONI) PORTATI DA UN SEGNO, dato che le parole sacre si poggiano sui segni come l’uomo si poggia sul bastone. La divinità stessa si appoggia ad essi per esprimersi e manifestare le sue molteplici caratteristiche, e per mettersi in contatto con la scintilla divina che giace ancora assopita nell’essere umano.
Il bastone è lo strumento utilizzato per spostarsi sicuri e stabili sul cammino, per raggirare gli ostacoli ed aiutarsi a mantenere l’equilibrio. Esso è costituito da un ramo di legno nel quale è fluita la linfa; nonostante si presenti di consistenza secca ed inerte, conserva la forma del vegetale anche in assenza del fluido vitale. Allo stesso modo la parola conserva la forma ma non la vita, che sarà resa possibile dall’intonazione della voce nella lettura e dalla profondità di coscienza applicata per sviscerarne il significato.
Come il bastone porta la linfa, i geroglifici veicolano la conoscenza dei neteru grazie all’ausilio di immagini simboliche in grado di richiamarne le funzioni, percepibili nella natura esteriore quanto in quella interiore.
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Tratto da:
Joannes Yrpekh, Il Cammino di Maat. Luci sull’antica sapienza egizia, Ester Edizioni, Torino.