Se perdete energia in emozioni negative, o in azioni meccaniche, nel pensare meccanico, allora è perduta. Se però usate l’energia per lottare contro la meccanicità, la riavete. Questo è il modo con cui l’energia viene accumulata.
P.D. Ouspensky [1]
Noi vogliamo fare, ma in tutto ciò che facciamo siamo legati e limitati dalla quantità di energia prodotta dal nostro organismo. Ogni funzione, stato, azione, pensiero, emozione necessita di una certa energia, di una certa sostanza determinata.
Cosa deve fare dunque un uomo quando incomincia a rendersi conto che non ha abbastanza energia per raggiungere lo scopo che si è fissato? La risposta a questo interrogativo è che ogni uomo normale ha abbastanza energia per cominciare il lavoro su di sé. È necessario soltanto che egli impari ad economizzare, in vista di un lavoro utile, l’energia di cui dispone, e che, la maggior parte del tempo, dissipa in pura perdita.
L’energia viene soprattutto spesa in emozioni inutili e sgradevoli, nell’ansiosa attesa di cose spiacevoli possibili ed impossibili, consumata dai cattivi umori, dalla fretta inutile, dal nervosismo, dall’irritabilità, dall’immaginazione, dal sognare ad occhi aperti e cosi via. L’energia viene sprecata da un cattivo lavoro dei centri; dalla tensione inutile dei muscoli, sproporzionata rispetto al lavoro compiuto; dal perpetuo chiacchierare, che ne assorbe una quantità enorme, dall’interesse accordato ininterrottamente alle cose che accadono intorno a noi o alle persone con le quali non abbiamo nulla a che fare e che non meritano nemmeno uno sguardo; dallo sciupio senza fine della forza di attenzione; e via di seguito.
Dal momento in cui l’uomo comincia a lottare contro tutte queste abitudini, risparmia una quantità enorme di energia, e con l’aiuto di questa energia può facilmente intraprendere il lavoro dello studio di sé e del perfezionamento di sé. In seguito, tuttavia, il problema diviene più difficile. Un uomo che, fino ad un certo punto, ha equilibrato la sua macchina e che ha provato a se stesso che essa produce molta più energia di quanto egli si aspettasse, arriva tuttavia alla conclusione che essa non è sufficiente e che deve accrescerne la produzione se vuole continuare il suo lavoro.
Lo studio del funzionamento dell’organismo umano dimostra che ciò è possibile. L’organismo umano è paragonabile ad una fabbrica di prodotti chimici dove tutto è stato previsto per un altissimo rendimento. Ma nelle condizioni ordinarie della vita, essa non raggiunge mai il massimo rendimento, perché solo una piccola parte del suo macchinario viene utilizzata e produce soltanto ciò che è indispensabile alla sua propria esistenza. Far lavorare una fabbrica in questo modo è evidentemente antieconomico al massimo grado. Infatti, la fabbrica, con tutto il suo macchinario, con tutte le sue installazioni perfezionate, non produce niente, poiché essa non arriva che a mantenere, e persino con difficoltà, la propria esistenza.
Il lavoro della fabbrica consiste nel trasformare una quantità di materia in un’altra, vale a dire dal punto di vista cosmico le sostanze più grezze in sostanze più fini. La fabbrica riceve dal mondo esteriore, come materia prima, una quantità di idrogeni grezzi, e il suo lavoro consiste nel trasformarli in idrogeni più fini, mediante tutta una serie di processi alchimistici complicati. Ma, nelle ordinarie condizioni di vita, la produzione da parte della fabbrica umana di idrogeni più fini, che è quella che a noi interessa in modo particolare dal punto di vista della possibilità di stati superiori di coscienza e del lavoro dei centri superiori, risulta insufficiente. Questi idrogeni più fini sono tutti consumati, senza profitto, per mantenere l’esistenza della fabbrica stessa.
Se noi potessimo elevare la produzione della fabbrica al suo massimo rendimento possibile, noi potremmo cominciare a risparmiare gli idrogeni fini. Allora la totalità del corpo, tutti i tessuti, tutte le cellule si saturerebbero di questi idrogeni fini, che si fisserebbero gradualmente, cristallizzando in un certo modo.
Questa cristallizzazione degli idrogeni fini porterebbe poco a poco l’organismo intero ad un livello più elevato, a un più alto piano dell’essere. [2]
Dobbiamo lottare per liberarci se vogliamo lottare per conoscerci. Conoscere e sviluppare se stessi costituiscono un impegno così importante e così serio, cui bisogna dedicare uno sforzo così intenso, che assumerselo nel modo solito, in mezzo a tutte le altre cose, è impossibile. L’uomo che si assume questo impegno deve metterlo al primo posto nella propria vita, perché la vita non è così lunga da poterla sprecare in cose inutili.
Che cosa permetterà all’uomo di consacrare utilmente il proprio tempo alla ricerca, se non la libertà da ogni attaccamento? Libertà e serietà. Non la serietà delle sopracciglia aggrottate, delle labbra tirate, dei gesti accuratamente calcolati, delle parole misurate fra i denti, ma la serietà che vuol dire determinazione e perseveranza nella ricerca, intensità e costanza, in modo che l’uomo, anche nei momenti di riposo, persegua il suo obiettivo principale. [3]
ACCUMULATORI E SFORZO
L’energia creata nell’organismo è tenuta in un certo grande accumulatore che è collegato con due piccoli accumulatori posti presso ciascun centro. [4]
Un certo tipo di accumulatore ha un ruolo molto importante nella macchina umana. [In pratica] vi sono due piccoli accumulatori a fianco di ogni centro, e ognuno di essi contiene la sostanza particolare necessaria al lavoro di quel centro.
Nell’organismo vi è inoltre un grande accumulatore, che alimenta i piccoli. I piccoli accumulatori sono collegati fra di loro, e ognuno di essi è collegato al centro più vicino, come pure al grande accumulatore.
Gli accumulatori lavorano nel modo seguente: immaginiamo un uomo che sta lavorando, che legge, per esempio, un libro difficile e che si sforza di comprenderlo; in questo caso, numerosi rulli discografici girano nell’apparecchio intellettuale localizzato nella testa. Oppure supponiamo che stia scalando una montagna, e venga a poco a poco pervaso dalla fatica; in questo caso, sono i rulli del centro motore che girano.
Il centro intellettuale, nel nostro primo esempio, e il centro motore nel secondo, attingono dai piccoli accumulatori l’energia necessaria al lavoro. Quando un accumulatore è quasi vuoto, l’uomo si sente affaticato. Egli vorrebbe fermarsi, sedersi se sta camminando, pensare a qualche cosa d’altro se sta risolvendo un problema difficile. Ma, inaspettatamente, sente un afflusso di energia, ed è nuovamente in grado di camminare o di lavorare. Ciò significa che il centro affaticato si è collegato al secondo accumulatore, dal quale trae nuova energia.
Nel frattempo, il primo accumulatore si ricarica, assorbendo energia dal grande accumulatore. II lavoro del centro riprende e l’uomo continua a camminare o a lavorare. Talvolta, per far sì che avvenga questo collegamento, è necessario un breve riposo. Talvolta occorre uno shock o uno sforzo. In entrambi i casi, il lavoro riprende. Ma, dopo un certo tempo, la riserva di energia del secondo accumulatore si esaurisce anch’essa. Allora l’uomo si sente nuovamente affaticato.
Ancora uno shock esteriore, o un istante di riposo, o uno sforzo, e il contatto con il primo accumulatore è stabilito.
Può facilmente accadere però che il centro abbia esaurito l’energia del secondo accumulatore così rapidamente che il primo non ha avuto il tempo di riempirsi a spese del grande accumulatore, e che abbia preso solamente la metà dell’energia che poteva contenere; esso è pieno soltanto a metà.
Essendosi messo in collegamento con il primo accumulatore, il centro comincia ad attingere energia, mentre il secondo si collega con il grande accumulatore, per ricaricarsi a sua volta di energia. Ma questa volta il primo accumulatore non è pieno che a metà, il centro esaurisce molto presto la sua energia e durante questo tempo il secondo non è riuscito a riempirsi che di un quarto. Il centro si mette in collegamento con esso, lo svuota rapidamente di tutta l’energia e nuovamente si ricollega con il primo accumulatore, e così di seguito.
Dopo un certo tempo l’organismo è messo in tale stato, che né l’uno né l’altro dei piccoli accumulatori hanno una goccia di energia di riserva. Questa volta, l’uomo si sente realmente affaticato. Non si regge più sulle gambe, casca dal sonno, oppure l’organismo reagisce più morbosamente, con mali di capo, palpitazioni, eccetera. L’uomo si sente male. Poi, improvvisamente, dopo essersi riposato un po’, oppure in seguito ad uno shock o ad uno sforzo, ecco un nuovo flusso di energia, e l’uomo è ancora una volta in grado di pensare, di camminare e di lavorare.
Questo significa che il centro è ora in collegamento diretto con il grande accumulatore. L’energia in esso contenuta è enorme. Un uomo messo in collegamento con il grande accumulatore è capace di compiere veri e propri miracoli. Ma, naturalmente, se i rulli continuano a girare e se l’energia tratta dagli alimenti, dall’aria e dalle impressioni continua ad essere consumata più in fretta di quanto non sia ricostituita, allora viene un momento in cui lo stesso grande accumulatore è vuotato di tutta la sua energia, e l’organismo muore. Ciò accade però molto raramente. Di solito, l’organismo reagisce molto prima, cessando automaticamente di funzionare. Perché l’organismo muoia di spossatezza occorrono condizioni speciali. Nelle condizioni ordinarie, l’uomo cadrà addormentato, sverrà, oppure si svilupperà in lui qualche complicazione interna che impedirà al suo organismo di continuare a svuotarsi, molto tempo prima del pericolo reale. Non vi è perciò ragione di aver paura degli sforzi; il pericolo di morire in conseguenza di essi, praticamente non esiste. È molto più facile morire di inazione, di pigrizia o per paura di fare degli sforzi.
Il nostro scopo consisterà dunque nell’imparare a stabilire dei collegamenti tra questo o quel centro col grande accumulatore. Fino a quando non ne saremo capaci, falliremo in ogni nostra impresa, perché cadremo addormentati prima che i nostri sforzi possano produrre il minimo risultato.
I piccoli accumulatori sono sufficienti per il lavoro ordinario, quotidiano, della vita. Ma per il lavoro su di sé, per la crescita interiore, e per gli sforzi che si esigono da ogni uomo che si impegna nella via, l’energia di questi piccoli accumulatori non è sufficiente. [5]
È necessario aumentare la quantità di energia, e questa può essere aumentata soltanto con gli sforzi: piccoli sforzi, quali la lotta contro le abitudini, osservazione di sé, cercare di controllare l’attenzione, ecc. Ognuno ha qualche sforzo particolare che può fare; gli sforzi di una persona possono non essere buoni per un’altra, sono troppo facili, o impossibili. [6]
Il grande accumulatore è riempito durante il sonno con l’energia derivata dai tre tipi di cibo. Tutte le energie sono tenute nell’accumulatore grande, sia miste che in una forma superiore. [7]
Domanda: La fatica è favorevole o no agli sforzi di concentrazione?
Gurdjieff: Se è fatica ordinaria non ne vale la pena. Dipende dall’altro accumulatore. Non sarà in grado di fare nemmeno le cose quotidiane e perderà le forze che le rimangono. Ma per un altro genere di fatica c’è un’altra legge: più dà e più riceverà.[8]
Dobbiamo imparare ad attingere l’energia direttamente dal grande accumulatore. Tuttavia, questo non è possibile senza l’aiuto del centro emozionale. È essenziale comprenderlo. Il contatto con il grande accumulatore può solo stabilirsi per mezzo del centro emozionale. Di per se stessi, i centri istintivo, motore ed intellettuale non possono trarre alimento che dai piccoli accumulatori. [9]
Se sappiamo come collegarci con l’accumulatore grande possiamo produrre risultati completamente diversi. [10]
ENERGIA ED EVENTI
Per come siamo, le esperienze ci accadono: non ne facciamo un uso consapevole né possiamo farlo, finchè non impariamo a controllare l’energia fisica ed emozionale che fuoriesce quando ci confrontiamo con avvenimenti improvvisi e inaspettati. Ad esempio un tizio legge qualcosa su un giornale o sente una notizia e immediatamente si identifica, sente intensamente, e la preziosa energia emozionale e mentale vengono sprecate: così ha accorciato il suo tempo. Stessa cosa nelle difficili relazioni interpersonali in grado di far srotolare, in qualche minuto o qualche ora, una carica che potenzialmente durerebbe anni. [11]
Per svegliarsi, il Cocchiere deve cominciare a pensare. Le idee del Lavoro ci arrivano prima da una grande distanza. Udiamo una voce che ci dice delle cose una e un’altra volta. Non prestiamo molta attenzione a ciò che ci dice. Stiamo sognando con altre cose o sperando che i nostri piccoli accumulatori si riempiano un’altra volta, per correre da un lato all’altro come facevamo prima. [12]
ENERGIA E GRUPPO
La disciplina che si compie per il sentimento del valore del Lavoro, riunisce le persone in un modo insolito ed amplia la loro vita, e così formano ciò che può anche essere definito un accumulatore, vale a dire, un gruppo di persone che rinunciano ad alcune delle loro reazioni meccaniche e in un certo modo cominciano ad obbedire al Lavoro e così trasmettono le loro influenze.
È qualcosa di meraviglioso. Ed è esattamente in questa meraviglia del Lavoro che la gente si trasforma e si cura interiormente. È necessario comprendere che il Lavoro è una forza curativa e che in molti modi differenti si contrappone alla vita e alle sue influenze – di fatto, nel Lavoro si dice che qui in realtà si va contro la vita – e con questo dobbiamo comprendere che l’influenza del Lavoro, la comprensione di ciò che esso significa, va contro le influenze ed i valori provenienti dalla vita.[14]
Le persone nel lavoro debbono essere unite. Più siamo uniti, maggior resistenza opporremo a tutti i tipi di influenze sfavorevoli e più possiamo ottenere da esse, perché ci troveremo, per così dire, al centro di un grande accumulatore pieno di tutti i tipi di energie. Se siamo chiusi, saremo capaci di ottenere energia dal grande accumulatore; se siamo pieni di buchi, saremo incapaci di tenerne la più piccola parte. [15]
Attraverso la Terza Forza del Lavoro il lavoro realizzato da ogni persona su di sé alla luce del Lavoro – si può formare un accumulatore [comune], unendo la gente in una comprensione comune per mezzo di un linguaggio comune.
Il supremo sforzo che è necessario fare nel Lavoro è quello di sentire il Lavoro. Per prima cosa si deve cercare il Lavoro, lottare per lui, mantenerlo vivo – ed allora il resto è dato di sovrappiù. [16]
La forza della vita è sempre qui, con la sua continua azione su di me. Anche la forza superiore è qui, ma non sono pronto a riceverla. È difficile per me sostenere da solo lo sforzo necessario ad avere l’intensità richiesta dai diversi centri. Per questo è necessario il gruppo: serve un lavoro comune per arrivare insieme a un’intensità maggiore. La concentrazione di un certo numero di esseri verso un livello superiore produce una vibrazione comune. La vita che scaturisce da questa vibrazione può essere un centro di attrazione, un potente magnete che trascina gli altri nel suo movimento.[17]
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[1] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (282).
[2] P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto (199-200).
[3] G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale (51-2).
[4] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (280).
[5] P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto (259-262).
[6] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (284-5).
[7] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (284).
[8] G.I. Gurdjieff, Incontri con Gurdjieff (69).
[9] P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto (262).
[10] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (285).
[11] C.S. Nott, Insegnamenti di Gurdjieff (187).
[12] M. Nicoll, Commentari (Vol. III – cap.12).
[13] P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto (262).
[14] M. Nicoll, Commentari (Vol. III – cap.1).
[15] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (459).
[16] M. Nicoll, Commentari (Vol. III – cap. 57).
[17] J. de Salzmann, La Realtà dell’Essere (83).
[18] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (460).
[19] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (459).
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Nota: L’articolo qui esposto rappresenta un tentativo di ricomporre alcuni dei Frammenti dell’insegnamento di Gurdjieff con le sue stesse parole e con i numerosi contributi di chi ne ha seguito la Via. I riferimenti sono tutti rintracciabili nelle note a fondo articolo. Le eventuali modifiche apportate sono solo di natura stilistica, mai concettuale. L’associazione Per-Ankh, pur trovandosi in sintonia con la maggior parte degli insegnamenti della Quarta Via, non si considera tuttavia un gruppo Gurdjieffiano.