Molti pensano che l’Advaita Vedanta sia una strada larga e confortevole; una dottrina spirituale basata sull’assioma: “non c’è niente da cercare, non c’è niente da fare, va già tutto bene così”.
Molti pensano che il divenire testimoni di se stessi significhi continuare a vivere la propria vita esattamente nello stesso modo di sempre, e che le proprie azioni e le proprie scelte non siano importanti ai fini della consapevolezza.
Molti pensano che l’Advaita Vedanta prescriva un processo di indagine interiore differente da quello proposto dalle altre dottrine spirituali, come se negasse un certo tipo di lavoro interiore in favore di un approccio rilassante e meno impegnativo ma spiritualmente più elevato.
Molti simpatizzanti pensano infatti che questa tradizione sia in qualche modo superiore e più evoluta rispetto alle altre (questo vizio per la verità è comune ai seguaci di ogni dottrina), e che quindi le altre strade siano da considerarsi di serie B.
Stranamente però, pare che i più noti portavoce di questa sublime dottrina non la pensino proprio così…
Ricordiamo ad esempio le parole di Nisargadatta, estratte dal libro “Io sono Quello”: Continua a leggere “Nisargadatta, l’Advaita e l’immondizia”