Inutile negarlo. Anche quando ostentiamo un po’ di umiltà culturale, sotto sotto lo sappiamo di far parte della più elevata forma di civiltà mai raggiunta prima dall’essere umano.
Non c’è ambito in cui non eccelliamo: tecnologia, scienza, economia, filosofia, spiritualità. Siamo proprio fieri di appartenere a questa specie evoluta, e siamo dispiaciuti che non tutte le persone al mondo si siano ancora adeguate a questo bellissimo sogno realizzato.
Poi però, ogni tanto, appare qualche troglodita che se ne va in giro mezzo nudo e (soprattutto) senza un conto in banca, e con irriverente semplicità ci spara in faccia il suo punto di vista sulla nostra maestosa civiltà.
È questo il caso del capo Tuiavi di Tiavea delle isole Samoa che agli inizi del 1920 – quando i missionari e i coloni cercarono di fargli comprendere quanto fosse involuta e misera la sua cultura – prese per buone le loro parole ma decise di recarsi in Europa per osservare di persona tutta questa magnificenza.
Al termine del suo viaggio però, stilò un resoconto dettagliato al suo popolo su quello che aveva visto, su come il Papalagi (l’Uomo Bianco) trascorre la sua splendida esistenza. Qui di seguito ne riportiamo alcuni estratti:
Il Papalagi si preoccupa costantemente di ricoprire bene la sua carne. […] Una ragazza, per quanto bella, anche quanto la più bella delle vergini delle Samoa, ricopre il suo corpo, in modo che nessuno lo possa vedere o possa trarre piacere alla sua vista. La carne è peccato. […] Così dichiarano le sacre leggi morali dell’uomo bianco. […]
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