Pillole di ebraismo | Ascoltare la Voce di Silenzio: Shekinah

È indubbio che l’uomo occidentalizzato è molto diverso dagli uomini appartenenti alle antiche culture. Se non altro perché vivere in quest’era ha ottenebrato in modo molto marcato sensibilità, modi di vivere e di intendere la vita che sono quasi impensabili al giorno d’oggi.

Per l’uomo biblico, per il semita che viveva seminomade nel deserto, era normale alzarsi al mattino e dire: “Tutta la terra è piena della tua Gloria” (Is 6,3). Senza dubbio non era per lui un atteggiamento dettato da una fede sterile. Egli sentiva questa Gloria, il Kavod… La percepiva, la viveva in ogni momento ed impostava la sua vita su questo fondamento. L’uomo biblico intendeva con Kavod, Gloria per l’appunto, la Potenza immanente del Sacro, la Presenza palpabile in ogni cosa vivente e non, della Divinità.

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Pillole di ebraismo | Pensiamo, diciamo, poi però… facciamo! La Kavvanah

Non è certo esagerato sostenere che la pillola di ebraismo in questione, ovvero la Kavvanah, se compresa bene, ha effetti curativi sulla nostra salute mentale e, di conseguenza, nella nostra vita. Entriamo dunque subito nel merito della cosa e teniamoci pronti a sfatare il mito di alcuni nostri atteggiamenti che riteniamo seri.

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Che cos’è un vero atto di giustizia? Introduzione alla tzedaqàh ebraica

Tzedaqàh è il termine ebraico usato per indicare la giustizia, intesa nella sua accezione particolare di rettitudine, sfumatura che segna una differenza fondamentale per non incorrere in dicotomie riduttive di giusto e sbagliato.

Nello specifico la tzedaqàh, secondo la dottrina ebraica, rimanda all’idea della giustizia divina e sociale, quindi richiama lealtà, integrità e perfezione che portano equilibrio nel mondo; collegata all’idea di una giusta generosità, la tzedaqàh è insieme un atto di giustizia e un dovere morale per gli ebrei. Un esempio in tal senso è rappresentato dalla Decima, ovvero la destinazione ai bisognosi del dieci per cento del proprio guadagno, il cui assunto è di non ritenere quello che abbiamo come nostro ma come un dono della Vita che chiede, dunque, di dare a chi ha di meno o troppo poco. Tale interpretazione, però, rischia di essere riduttiva perché, così intesa, escluderebbe implicitamente i meno abbienti dalla possibilità di dare qualcosa a chi ne ha bisogno.

Usciamo dunque da questo impasse chiarendo subito due punti fondamentali sulla tzedaqàh.

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Pillole di ebraismo | Emunah: una questione di “fede”?

Il termine Emunah viene comunemente tradotto con fede, fiducia. Secondo il Dizionario di Filosofia Treccani la parola fede ha il seguente significato: “Adesione ad affermazioni o dottrine non razionalmente evidenti ma credute in base a fondate o autorevoli testimonianze o per rivelazione”.

Occorre rendersi conto che, per la Tradizione ebraica, tale definizione semplicemente… non ha senso. 

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Pillole di ebraismo: Avodah

Dopo Leck Leckà, il secondo appuntamento con le nostre pillole di ebraismo ci porta a vedere da vicino che cosa sia l’Avodah, termine ebraico la cui radice significa lavoro, fatica, servizio. Tali termini sono sicuramente famigliari al ricercatore curioso che ha già appreso che lavoro e fatica corrispondono ad uno sforzo consapevole e costante di indagine interiore attraverso il quale si punta il faro sui propri limiti e maschere, per liberarsi delle sovrastrutture che sono tanto inutili quanto ostacolanti.

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I Dieci Comandamenti smascherati: decimo

Non desiderare la casa del tuo prossimo, non desiderare sua moglie, il suo schiavo, la sua schiava, il suo bue, il suo asino e nulla di ciò che appartiene al tuo prossimo.

Es 20.14

Un lungo e ricco percorso sulla strada della Dieci Parole ci ha condotti finalmente all’ultima delle Parole che, solenne come le altre, ci incita a non desiderare, non desiderare nulla di ciò che appartiene al proprio prossimo.

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I Dieci Comandamenti smascherati: ottavo

Non rubare

Es 20.15

Il nostro appuntamento con le Dieci Parole ci porta oggi ad incontrarne l’ottava, che corrisponde al settimo comandamento e tuona con l’imperativo di non rubare. Immediata è l’associazione ad una morale condivisa da credenti e non solo, tanto che in generale questo è un comandamento accettato da tutti coloro che si identificano come buoni cittadini propensi a migliorare la propria vita e quella degli altri.

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I Dieci Comandamenti smascherati: settimo

Non commettere adulterio

20.13

La settima parola, con l’indicazione perentoria di non commettere adulterio, ci porta nell’immediato a concezioni moralistiche di cui, in qualche modo, siamo intrisi in quanto reduci di una cultura cattolica che invita ad una buona condotta matrimoniale, affiancandola però ad un giudizio di valore. Ci si potrebbe domandare, però, se le cose stanno proprio così, certamente spinti da un desiderio di approfondire tale nodo fondamentale e rifiutando, allo stesso tempo, un’interpretazione tanto banalizzante del testo biblico.

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I Dieci Comandamenti smascherati: sesto

Non uccidere

(Es. 20.13)

Di primo acchito non è certamente facile pensare a queste parole in un modo diverso da quello a cui siamo abituati a pensare. La quinta Parola del Decalogo ci aveva invitato a liberarci dei pesi che ci impediscono di affrontare con leggerezza il percorso di evoluzione e trasformazione interiore e ci aveva messo in guardia dal rischio di passare l’eredità del nostro complicato mondo interiore ai nostri figli.

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I Dieci Comandamenti smascherati: quinto

Onora tuo padre e tua madre, affinché si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che Hashèm [1] il tuo Dio ti concede.

(Es 20,12)

Di primo acchito non è certamente facile pensare a queste parole in un modo diverso da quello a cui siamo abituati a pensare, inzuppati di discorsi moralistici che fanno leva sul senso del dovere; tuttavia, se mossi dalla curiosità di scoprire qualcosa di nuovo, ci si addentra un po’ nella comprensione della quinta Parola, si viene immediatamente ripagati dello sforzo compiuto.

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I Dieci Comandamenti smascherati: quarto

20.8 – Ricorda il giorno dello Shabbat per santificarlo. Per sei giorni lavorerai e compirai ogni tua opera. E il settimo giorno sarà Shabbat per Hashèm il tuo Dio: non compiere opera alcuna, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame e né lo straniero che si trova entro le tue porte. […]

Molti sapranno, a grandi linee, cos’è lo Shabbat per la Tradizione ebraica; si tratta cioè del giorno della settimana più importante, che corrisponde al settimo giorno della Creazione in cui Dio, avendo compiuto la sua Opera, decretò il riposo per se stesso e per tutti gli uomini.

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5 – Hé: la realizzazione del Soffio Vitale

Quinta lettera dell’alfabeto ebraico. Simboleggia la gioia della Presenza della Shekinah (la parte immanente della Divinità) ed il Soffio Vitale. Anticamente era rappresentata come una finestra e graficamente era tracciata con la forma di un pettine. Questo per insegnarci che la nostra realizzazione dipende dalle aperture che riusciamo a creare (le finestre appunto) e che ciò non può essere conseguito senza mettere ordine e dare una direzione alla nostra vita (concetto simboleggiato dal pettine e dall’azione che svolge).

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I Dieci Comandamenti smascherati: secondo

Non  avrai altri dèi al mio cospetto. Non farti sculture o immagini alcune di ciò che è in cielo, in alto e di ciò che è in terra, in basso e di ciò che è in acqua, sotto la terra. Non inchinarti ad esse e non servirle, poichè io sono Hashèm il tuo Dio, Dio geloso che serba il ricordo del peccato dei padri fino ai figli, fino alle terze e alle quarte generazioni, con coloro che Mi odiano; ma che agisce ricordando il bene per migliaia di generazioni, per coloro che mi amano e per coloro che osservano i Miei precetti.

(Es 20, 3)

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4 – Dalet: una porta nella Creazione

DALETH

Eccoci alla quarta lettera dell’alfabeto ebraico.

La parola dalet significa porta. Si tratta qui della porta che si varca per entrare nel mondo della Manifestazione, le cui meraviglie paiono come miseria in confronto allo splendore della Realtà. Dal significa infatti povertà, indigenza. È unicamente attraverso il prendere consapevolezza dei nostri limiti e della nostra “miseria” che possiamo intraprendere il percorso che dalla Manifestazione conduce alla Realtà varcando la Dalet in senso opposto.

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