La trasformazione interiore dell’Ouroboros

Nel vasto e intricato tessuto simbolico dell’alchimia, poche figure catturano l’immaginario collettivo e la profondità spirituale quanto l’Ouroboros. Questo antico emblema, raffigurante un serpente o un drago che si morde la coda, simboleggia l’unità primordiale, l’eternità e il ciclo incessante di creazione e distruzione. La sua presenza nelle opere alchemiche non è soltanto un richiamo visivo ma un profondo monito sul percorso della trasformazione spirituale e materiale.

Un ouroboros in un disegno del 1478 in un trattato alchemico, citato alla voce “alchemy”, The Oxford Classical Dictionary, Oxford University Press, 2012

Non tutti però sanno che l’Ouroboros appare nelle culture antiche ben prima della sua adozione nell’alchimia. Dall’Antico Egitto, dove simboleggiava il ciclo solare e l’immortalità, alla Grecia ellenistica, dove fu associato con la natura ciclica dell’universo così come descritto nel Enigmaticum di Cleopatra, l’Ouroboros ha attraversato culture e ere, arricchendosi di sfumature interpretative. Nel contesto alchemico, però, assume una risonanza particolare, alludendo alla trasformazione interiore e alla quintessenza della materia.

Prima rappresentazione conosciuta dell’ouroboros su uno dei reliquiari che racchiudevano il sarcofago di Tutankhamon.

Nell’alchimia, l’Ouroboros rappresenta la materia prima dell’opera, il prima materia, che contiene in sé sia il veleno che il rimedio – la dualità fondamentale di morte e rinascita. La sua immagine evoca il processo di solve et coagula, il dissolvimento e la ricombinazione degli elementi, che è centrale nella pratica alchemica. Il serpente che si morde la coda simbolizza anche l’unità di tutte le cose, il concetto che la fine è sempre un nuovo inizio e che la vita emerge dalla morte in un ciclo eterno di rinnovamento.

Carl Gustav Jung, nel suo esame della simbologia alchemica sotto una luce psicoanalitica, identificò nell’Ouroboros un potente archetipo, simbolo della totalità della psiche umana, dell’autoregolazione e dell’integrazione degli opposti. Per Jung, l’Ouroboros non rappresentava solo la ricorrenza di cicli naturali ma anche il viaggio dell’individuo verso la realizzazione e l’individuazione, un percorso di integrazione e accettazione della propria natura interiore ed esteriore. Uno dei riferimenti più significativi a tal proposito si trova nella sua opera “Psicologia e alchimia”, pubblicata per la prima volta nel 1944. In questo lavoro, Jung ha esplorato ampiamente la simbologia alchemica, interpretandola come manifestazione dei processi inconsci.

Oggi, l’Ouroboros continua a essere una fonte di ispirazione e riflessione non solo per coloro che percorrono il cammino alchemico, ma anche per chi cerca una comprensione più profonda delle leggi che regolano la natura e la psiche umana. La sua immagine ci ricorda che in ogni fine risiede un nuovo inizio, e che la trasformazione è un processo continuo e che l’integrazione degli opposti è fondamentale per il raggiungimento dell’armonia.

In conclusione, l’Ouroboros non è semplicemente un simbolo tra gli altri nell’alchimia, ma è un principio fondamentale che permea l’intero processo alchemico, offrendo intuizioni non solo sulla natura della realtà materiale ma anche su quella spirituale e psichica. Invita i praticanti e gli studiosi a contemplare l’eterno ritorno, la trasformazione continua e la profonda interconnessione di tutte le cose, guidando alla fine verso una comprensione più elevata della vita stessa.

Bibliografia

Jung C. G., Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri, Torino, 1981.

Simon H., Spawforth A., Eidinow E., eds. The Oxford classical dictionary, Oxford University Press, Oxford, 2012.

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