Dio che non riesco a immaginare, che sei dentro di me, fa’ che io serva come devo servire, fa’ che muoia ciò che deve morire e che viva ciò che in me ti appartiene.
H. Thomasson (1)
La consapevolezza non dà conoscenza. La conoscenza deve essere acquisita. Nessun ammontare di consapevolezza può dare conoscenza e nessun ammontare di conoscenza può dare consapevolezza.
Esse sono parallele e non possono rimpiazzarsi a vicenda. Ma quando si diviene consapevoli si vedono cose che non si sono viste prima. Se ci rimaniamo per il tempo sufficiente, ciò produce effetti enormi. L’intero mondo sarebbe diverso se potessimo rimanerci per, diciamo, quindici minuti. Ma non si può essere consapevoli di se stessi per quindici minuti senza un fortissimo elemento emotivo. Occorre produrre qualcosa che ci renda emotivi; non possiamo farlo senza l’aiuto del centro emozionale.
Non siamo sufficientemente emotivi perché spendiamo la nostra energia nell’identificazione, nelle emozioni negative, nell’atteggiamento critico, nel sospetto, nel mentire e cose di questo genere. Se riusciamo ad arrestare questo spreco, saremo più emotivi. (2)
Il significato conferisce forza e quanto più questo lavoro ha significato per noi, tanto più lo si affronterà emozionalmente e tanto più si acquisterà forza da esso. Perché la forza maggiore deriva dal risveglio del centro emozionale. (3)
Se potessimo con la volontà o col desiderio o con l’intenzione divenire più emozionali, parecchie cose sarebbero diverse. Ma non possiamo. Siamo molto in basso emozionalmente e questo è il motivo per cui gran parte del lavoro che facciamo, anche se lo facciamo realmente, non può avere risultati immediati. (…) Quindi il primo problema è come divenire più emozionali, e non possiamo fare ciò tranne che indirettamente, facendo sforzi.
Il secondo problema è come usare gli stati emozionali quando sopraggiungono; questo è quello a cui dobbiamo prepararci, poiché è possibile. Arrivano gli stati emozionali e noi li perdiamo nell’identificazione e cose del genere. Invece potremmo usarli. (…)
Le emozioni possono essere usate per vedere più obiettivamente quando ne abbiamo il controllo. Le emozioni possono essere usate come precisi strumenti per acquistare conoscenza solamente se possiamo controllarle. E cosa significa controllo? Significa non ammettere identificazione e considerare. Controllo è il secondo passo, studio il primo passo.
Parliamo di emozioni, ma parecchie le conosciamo soltanto di nome. Esse sono mescolate con altre cose, noi ci identifichiamo con loro talmente tanto da non renderci conto di quanto potremmo ottenere se potessimo prenderle nella maniera giusta. Tutte quelle che chiamiamo emozioni – rabbia, paura, noia – possono tutte essere capovolte, e allora ci accorgeremo che hanno un gusto completamente diverso. Tutte le emozioni possono essere utili, sono delle specie di finestre, o di sensi addizionali. Solamente che ora non possiamo usarle, tranne che per creare nuove illusioni; se invece le usassimo per vedere le cose come sono, impareremmo parecchie cose nuove. (…)
Si tratta di qualcosa di più dell’autocritica. La critica è semplicemente intellettuale, mentre questo è sentire. Tutta l’attività intellettuale è preparare materiale, poi il centro emozionale comincerà a lavorare con questo materiale. Il centro intellettuale non può, da sé, aiutare nel risveglio. Soltanto il lavoro sul centro emozionale può farlo, e noi possiamo destarci soltanto tramite emozioni sgradevoli: il risveglio tramite emozioni gradevoli non è stato ancora inventato.
La cosa più sgradevole è andare contro se stessi, contro i propri punti di vista, convinzioni, inclinazioni. Il risveglio non è per quelli che temono le cose sgradevoli, è soltanto per quelli che desiderano svegliarsi, rendersi conto di cosa significhi essere addormentati, e che è necessario molto aiuto, una gran quantità di scossoni.
Questo è il vero punto: come fornire perpetui scossoni a se stessi e come accettarli. (4)
Come può un uomo portare il lavoro al punto d’entrata delle impressioni? Ricordando emozionalmente il lavoro. Quando con una corretta osservazione di sé l’uomo capisce la propria incapacità, e constata la propria meccanicità, tanto più emozionale diventerà il lavoro per lui. Il lavoro può esistere in noi come qualcosa di formatorio, nella memoria. Ma può esistere in noi anche in termini di Idrogeno 24. Allora è emozionale. Ugualmente può giungere ad essere tanto prezioso, così importante per noi, che comincerà ad avere l’intensità di significato e d’importanza da appartenere all’Idrogeno 12. (5)
Quando la personalità viene portata a soffrire, ciò produce un fermento, e non bisogna evitare quella sofferenza perché quel fermento, quella scintilla, quel fuoco, nutre l’essenza. (…)
Tutto ciò è estremamente difficile, ma l’uomo possiede un senso profondo che gli permette di comprendere che tutto ciò che gli viene inviato rimane sempre nei limiti della sua capacità di sopportazione. Per colui che vuole veramente lavorare non c’è che un atteggiamento possibile: quello dell’accettazione. (6)
Una volta (il signor Gurdjieff) ci disse che ci avrebbe dato del lavoro per il centro emozionale ma credo che nessuno capisse cosa volesse dire e a me e a qualcun altro i suoi discorsi ci sembravano addirittura bizzarri. Ma il giorno seguente capii, perché dopo che ebbi commesso una balordaggine, egli mi chiamò balda (stupido).
Ciò mi ferii profondamente e a lungo. Però, poche ore più tardi Gurdjieff mi disse: “Thoma, oggi, anche voi avete ricevuto qualcosa”. Realizzai allora che il lavoro sulle emozioni era cominciato e il sentimento doloroso che mi aveva oppresso scomparve. (7)
Un’emozione che non può divenire negativa dà enorme comprensione, ha un enorme valore conoscitivo. Essa collega cose che non possono essere collegate in uno stato ordinario. Avere emozioni positive è consigliato e raccomandato nelle religioni, ma queste non dicono come ottenerle. Esse dicono: Abbiate fede, abbiate amore. Come? Cristo dice: Amate i vostri nemici. Ciò non è per noi; noi non possiamo amare nemmeno i nostri amici. È lo stesso come dire a un cieco: Dovete vedere! Un cieco non può vedere, altrimenti non sarebbe un cieco. Questo è il significato di emozione positiva. (8)
“Siate semplici come un monaco, un monaco al quale sia stato affidato un compito”, aveva detto. Fate questo esercizio con fede, non con sapere (in quel momento si era toccato la fronte), sentendo (la sua mano espressiva si posava sul plesso solare) e non sapendo, ma provando. Non con lo spirito, ma con il sentimento. (9)
SENTIMENTO E LAVORO
Quando si sentono le idee del Lavoro queste possono cadere in un posto preparato antecedentemente in noi, cioè nel Centro Magnetico. Si potrebbe sentire che lì vi è ciò che desiderava. Questa valorizzazione è dovuta all’azione del livello del Centro Magnetico in noi, nella parte emozionale dei centri – cioè nei posti in cui si sente il valore, perché la valorizzazione è emozionale.
Senza dubbio, per dirla così, il primo amore non dura. È forse un sentimento molto bello, ma svanisce, dopo aver compiuto il suo scopo, e si desidera qualcuno con lo scopo di rivalorizzarlo. Il Centro Magnetico può portare una persona al Lavoro, ma non lo mantiene in esso.
Senza nessun dubbio tutti hanno sperimentato i primi sentimenti d’amore, quei sentimenti straordinari ed ultraterreni che sopraggiungono nella prima gioventù, che non sono fisici ma soprattutto religiosi, e che paiono essere toccati dalle influenze del Centro Emozionale Superiore. E poi, più tardi, si presenta uno scopo completamente differente, quello delle relazioni pratiche. È necessario lo stesso rispetto per il Lavoro. (10)
Ho pensato spesso che si ripropone la storia della nostra vita amorosa nel Lavoro stesso. Sì, nel mio caso, quando conobbi per la prima volta il Lavoro, sentii nuovamente la stessa ammirazione, lo stesso senso di mistero, di qualcosa di miracoloso, che avevo sentito nella mia prima fanciullezza – sentimenti che certamente parevano sostenersi da se stessi ed essere relazionati solo superficialmente con un oggetto esteriore, una persona. Ma qualunque siano state le prime emozioni che si siano sentite in relazione con le idee del Lavoro e la scoperta dell’esistenza di esso, per quanto straordinari siano stati i sentimenti sperimentati, non è bastante. (11)
Anche quando abbiamo un Centro Magnetico giusto, i sentimenti e le emozioni che sorgono da esso non perdurano. È necessario conoscere l’oggetto del nostro amore e relazionarsi praticamente con esso. Questa nota si chiama re nell’Ottava del Lavoro. La nota re suona quando una persona comincia a studiare le idee del Lavoro e il suo insegnamento, e comincia ad applicare il Lavoro a se stesso. Questa nota re si chiama Applicazione del Lavoro a se stessi, e se la nota Do, che il Centro Magnetico fa suonare prima, non cambia di qualità, ma prosegue semplicemente come un sentimento del miracoloso, la nota re non suonerà con forza.
Senza dubbio nessuno potrà venire al Lavoro se non ha un sentimento iniziale del miracoloso. Cioè, un uomo deve sentire la differenza tra la vita e il Lavoro. In altra maniera il Lavoro cadrà dentro di lui nel posto in cui cade la vita – cioè, in quelle parti dei centri che non possono ricevere il Lavoro e che non sono preparati per riceverlo. (12)
Sono le emozioni a poter essere trasformate nell’essere. Le nostre emozioni sono in grado di andare al di là di tutto ciò che può darci la conoscenza. Le emozioni possono raggiungere il mondo dell’essere, e lo stato delle nostre emozioni può essere considerato un’indicazione del nostro stato dell’essere. Per la maggior parte, l’ordinario tumulto delle nostre emozioni è testimone unicamente dell’incoerenza del nostro essere. Questi comuni stati emotivi Gurdjieff li chiamò negativi per contrasto con le emozioni positive quali la fede, le aspirazioni e la speranza, che sono in grado di avvicinarci all’unità. (13)
La conoscenza può unirsi all’essere solo attraverso una certa emozione, attraverso un certo desiderio, attraverso la volontà. Si deve desiderare quello che si conosce. Altrimenti la conoscenza non può unirsi all’essere. Non si può lavorare sull’essere rinunciando al lato della conoscenza di questo sistema e non si può avere una conoscenza pratica di questo sistema se non si applica all’essere e se non lo si chiede, se non lo si desidera, non lo si può applicare all’essere, cioè, non può entrare nella nostra volontà ed agire così su di noi.
Lo stato ordinario di un uomo è di non desiderare ciò che conosce.
Agiamo dal nostro stato dell’essere, non della nostra conoscenza. Quella che agisce è la nostra volontà e la nostra volontà nasce dal nostro livello d’essere. Per quanto ad un uomo dia fastidio sapere che agisce male, seguita ad agire male, e mentre è in questo stato, in lui non c’è unità e così manca di comprensione, perché in lui ci sono due lati separati. Perché per sapere agire sull’essere è necessario il desiderio, o il piacere, o il diletto verso le idee del Lavoro, perché niente può passare dal lato della conoscenza al lato dell’essere senza desiderio o piacere o voglia – cioè, senza volontà. Allora un uomo desidererà vivere con ciò che sa, vivere la propria conoscenza, e la sua volontà e la sua conoscenza cominciano a saldarsi.
È qui che interviene la completa valorizzazione del Lavoro e se ne vede la sua profondità interiore. Nel Lavoro tutto inizia con la valorizzazione e ciò significa desiderare qualcosa, perché se non si desidera una cosa non le si dà valore.
Questo introduce la volontà – attraverso il desiderio – nel momento in cui s’inizia ad applicare la conoscenza all’essere. Se lo si applica allora la conoscenza comincerà a trasformarsi in comprensione attraverso un’unione tra la volontà dell’essere e la conoscenza della mente. (14)
La coscienza (…) non ha nulla in comune con quella che finora abbiamo ritenuto essere la coscienza. Nello sforzo di situarmi tra queste forze, al mio interno compare una vera emozione: l’emozione di essere. (15)
[1] H. Thomasson, Battaglia per il presente (121).
[2] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (144-5).
[3] M. Nicoll, Commentari (Vol. I – cap. 8).
[4] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (376-7).
[5] M. Nicoll, Commentari (Vol. I – cap. 15b).
[6] T. de Hartmann, La nostra vita con il signor Gurdjieff (44).
[7] T. de Hartmann, La nostra vita con il signor Gurdjieff (108).
[8] P.D. Ouspensky, La Quarta Via (379).
[9] R. Lipsey, “Istanti e sguardi” in Georges Ivanovitch Gurdjieff, Vol. II (627).
[10] M. Nicoll, Commentari (Vol. I – cap. 32).
[11] M. Nicoll, Commentari (Vol. I – cap. 32).
[12] M. Nicoll, Commentari (Vol. I – cap. 32).
[13] J.G. Bennet, L’Uomo Superiore (36).
[14] M. Nicoll, Commentari (Vol. I – cap. 19).
[15] J. de Salzmann, La Realtà dell’Essere (206).
Nota: L’articolo qui esposto rappresenta un tentativo di ricomporre alcuni dei Frammenti dell’insegnamento di Gurdjieff con le sue stesse parole e con i numerosi contributi di chi ne ha seguito la Via. I riferimenti sono tutti rintracciabili nelle note a fondo articolo. Le eventuali modifiche apportate sono solo di natura stilistica, mai concettuale. L’Associazione Per-Ankh, pur trovandosi in sintonia con la maggior parte degli insegnamenti della Quarta Via, non si considera tuttavia un gruppo Gurdjieffiano.
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