Tra le tante pillole di ebraismo che fino ad ora abbiamo visto insieme non poteva di certo mancare quella che porta con sé uno degli elementi più importanti per vivere bene nella vita e, ovviamente, in un percorso spirituale: si tratta del concetto di Simchàh, ovvero della gioia. Vediamo dunque, come sempre, in che modo la Tradizione ebraica pone l’accento su questo aspetto e per quale motivo abbia una certa rilevanza.

In generale si può dire che, per quanto possa sembrare strano, in realtà sostenere che la gioia sia ciò che nella vita non dovrebbe mancare come atteggiamento interiore, non è affatto banale, né tantomeno scontato; questo per il semplice fatto che siamo culturalmente abituati a concepire la vita come faticosa, difficile e talvolta poco stimolante per cui viviamo con una certa insoddisfazione di fondo che ci portiamo dentro come se fosse una cosa normale… ma non è così!
Rabbi Nachman insegnava che non si deve mai smettere la ricerca della gioia e che si deve lottare contro la nostra tristezza per trasformarla, con la forza, in gioia.
Ma come? Beh, innanzi tutto desiderandolo con tutto se stessi! Dobbiamo sapere infatti che, se non desideriamo qualcosa di diverso per noi stessi, difficilmente qualcosa cambierà: questo è un primo punto fondamentale. In secondo luogo dobbiamo sapere che la gioia, se acquisita come atteggiamento interiore, possiede una forza evolutiva che supera ostacoli interiori ed esteriori, ostacoli che sono, per intenderci, limiti che noi stessi in primis ci poniamo più o meno consapevolmente e che possiamo gradualmente andare ad eliminare attraverso un continuo e intenzionale Lavoro interiore.
La gioia dunque è portatrice di un potere creativo, cioè di una forza alleata in grado di espandere la coscienza e di farci sintonizzare con delle frequenze interiori diverse, grazie alle quali riusciamo a prendere in considerazione delle possibilità e delle soluzioni che prima non contemplavamo affatto.
A tal proposito Rabbi Zusya di Hanipoli sosteneva che è proprio la gioia che rivela la nostra vera Natura; si tratta cioè di uno strumento assai potente che produce in noi come una sorta di effetto ermeneutico, ovvero aiuta a tirare fuori la forza interiore di cui siamo potenzialmente capaci. Assumere quindi la gioia come alleata è un vero cambio di rotta, un cambio di segno nella polarità con cui spesso ci presentiamo alla vita che, dobbiamo sapere, risponde in modo ordinato e coerente a quanto noi intimamente desideriamo, nel bene e nel male.
Uno dei risvolti positivi della forza interiore che gradualmente si acquisisce attraverso la gioia, sta nel fatto che, oltre ad aiutare noi stessi a star meglio, che non è poco, ci sarà possibile dare una mano a chi ci sta vicino, cosa che non si può fare diversamente perché non si può salvare il compagno che annega se non si è capaci di nuotare: il rischio è quello di affogare insieme!
La Tradizione ebraica ci invita a coltivare la gioia per essere in grado di compiere quelle che gli ebrei definiscono le buone azioni verso gli altri, che significa aiutare il prossimo in tutti i modi in cui ci è possibile. Non a caso la frase Simchàh shel mitzvàh, ovvero la gioia del compiere buone azioni è una tra quelle più ampiamente usata nelle fonti ebraiche per descrivere lo stato ideale dell’esistenza umana: proprio così, lo stato ideale dell’esistenza, cioè una condizione fondamentale per l’evoluzione personale e spirituale per ognuno di noi.
C’è da dire inoltre che il popolo ebraico suggella in modo eclatante la valenza della gioia in occasione di un giorno particolare che segue la Festa delle Capanne, ovvero Simchàh Torah, il giorno della celebrazione della Gioia della Torah.
Si tratta di una festa non comandata dal testo biblico, ma istituita dei rabbini come momento fondamentale per tutta la comunità ebraica per focalizzare l’attenzione non solo sull’importanza della Torah nella loro vita, ma anche su quello che è l’atteggiamento fondamentale da acquisire nella vita: ed è proprio la forza della gioia di cui il popolo ebraico storicamente ha fatto più volte esperienza nelle varie travagliate vicissitudini che lo hanno caratterizzato, ottenendo come risultato la forza di continuare a lottare interiormente ed esteriormente pur nella difficoltà. Questo è fondamentalmente il senso delle parole di Rabbi Nachman prima citato, secondo cui si deve lottare contro la nostra tristezza per trasformarla, con la forza, in gioia.
Così, nel giorno di Simchàh Torah gli ebrei danzano, in uno stato di vera estasi, con la Torah in mano, che per loro rappresenta l’Insegnamento che Dio gli ha donato per vivere in armonia con la vita e realizzarsi. La danza estatica con i rotoli della Torah in mano è espressione di gioia e gratitudine allo stesso tempo di cui si lasciano invadere e che di conseguenza infondono negli altri mentre, per un giorno intero, si muovono sul ritmo melodico delle note travolgenti, lasciandosi trasportare in uno stato di unione profonda con Dio attraverso lo strumento della gioia.
Come per ogni cosa, ovviamente, non è possibile comprendere realmente il significato di quanto si è detto se non se ne fa prima esperienza: l’invito per ognuno di noi, quindi, è quello di mettersi in posizione di ascolto e primariamente fare, fare esperienza di qualcosa di diverso per poi sondare e comprendere la differenza qualitativa, oltre che quantitativa del nostro nuovo stato interiore.
Bibliografia:
Green A., Queste sono le parole, Editrice La Giuntina, Firenze, 2002.
Shapiro R., Un silenzio straordinario. Racconti chassidici, Editrice La Giuntina, Firenze, 2005.
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Dopo quanto letto, credo sia inutile ogni commento; mi sforzerò di lottare contro la tristezza per trasformarla in gioia … e aspettare per vedere quello che succede… grazie di cuore