La figura della donna nel Giappone antico è affascinante e al tempo stesso complessa. Essa racchiude in sé un’aura di tradizionale leggiadria. L’immagine stereotipata di una figura passiva e sottomessa, spesso legata all’eleganza immobile di figure come le geishe, il cui compito principale era intrattenere i clienti, è solo una delle tante sfaccettature di una realtà ben più articolata.
Contrariamente a quanto si possa pensare, le donne giapponesi hanno goduto di un periodo di relativa indipendenza in un’antica società matriarcale. In questa fase, le donne avevano la possibilità di studiare, praticare le stesse discipline degli uomini, ereditare e gestire proprietà, esercitando un potere significativo nella società.
Tuttavia, con l’avvento dello Shogunato nel XII secolo e l’ascesa dei samurai, si assistette a una graduale transizione verso una società patriarcale. Il potere femminile venne progressivamente limitato, relegando le donne alla sfera domestica e alla difesa della casa e di se stesse, spesso attraverso l’uso di armi maschili.
A partire dal 1600, durante il Periodo Edo, l’interpretazione neoconfuciana divenne il pilastro della società giapponese, rafforzando la sottomissione femminile attraverso le Tre Obbedienze: al padre durante la giovinezza, al marito nel matrimonio e ai figli nella vecchiaia. Sebbene questi precetti non fossero formulati direttamente da Confucio, la loro diffusione fu il risultato di un’evoluzione del confucianesimo in contesti storici e culturali successivi.
In origine, il Giappone era popolato da diverse divinità, figure totem protettrici di famiglie, clan e interi paesi. Durante il periodo della nascita di Cristo e per i secoli successivi, il Sol Levante era suddiviso in numerosi piccoli regni, ognuno con un proprio Kami, divinità protettrice. Le Miko, considerate mediatrici tra il mondo umano e divino, con la loro saggezza e spiritualità, rivestivano un ruolo cruciale in questo contesto. In un’epoca di frequenti guerre tra regni, i matrimoni combinati divennero uno strumento politico per stringere alleanze, con le divinità dei paesi sconfitti che venivano assimilate dai vincitori.
Durante i periodi Sengoku ed Edo, il divorzio e il nuovo matrimonio erano relativamente semplici, mentre per una donna l’unico modo per evitare il matrimonio era farsi monaca buddhista. I matrimoni combinati, spesso strumenti politici per creare alleanze tra i Daimyo dei grandi clan, potevano essere interrotti in caso di rottura degli accordi stipulati. Quindi i coniugi erano costretti a lasciarsi, anche nel caso fossero stati affiatati, e una delle due parti avrebbe dovuto rinunciare ad avere i figli con sé.
Un’usanza particolare di questo periodo era l’Uwanari Uchi, diffusa soprattutto tra i Bushi, uomini d’armi. Questa pratica prevedeva che, in caso di divorzio e nuovo matrimonio dell’uomo, la moglie lasciata, Konami, avvisasse ufficialmente la nuova consorte, Uwanari, di un imminente attacco alla sua casa. Questo atto, concordato tra le due donne, mirava a restituire dignità alla moglie abbandonata. Tuttavia, a volte l’orgoglio prendeva il sopravvento e la donna lasciata, invece di portare scope e mortai, simboli di armi, si presentava con un mortaio di legno e servitrici al seguito, provocando risse e feriti.
Nonostante la sottomissione formale, le donne giapponesi, soprattutto quelle di ricchezza e lignaggio, riuscirono a esercitare un certo potere politico dietro le quinte. Signore della casa, supportavano attivamente le battaglie dei loro uomini, impugnando a loro volta le armi.
Nel Periodo Heian, le donne diedero un contributo fondamentale alla letteratura, creando l’Hiragana, uno dei due alfabeti giapponesi, noto anche come, Onnade, mano di donna.
Nel periodo Edo, le donne iniziarono a perdere gradualmente il potere che le aveva contraddistinte, diventando formalmente dipendenti prima dai padri e poi dei mariti. Durante il secondo Shogunato di Tokugawa Hidetada (1579-1632), venne creato l’unico Harem della storia giapponese, l’Ōuku, il quale si trovava all’interno del Castellodi Edo e dove a parte lo Shōgun nessun altro uomo poteva accedervi.
La storia del Giappone è costellata da figure femminili affascinanti: scrittrici, poetesse, artiste, guerriere e samurai che, con devozione, determinazione, intelligenza e bellezza, hanno giocato un ruolo cruciale nell’evoluzione dei costumi, del pensiero e dei cambiamenti sociali del paese. Il Giappone di oggi deve molto a queste donne straordinarie, capaci di affrontare sfide, mettersi in gioco e seguire la propria strada fino in fondo, a volte a costo della vita.
Il Giappone, terra di contrasti e raffinatezza, è stato plasmato non solo dalla forza dei samurai e dalla saggezza dei monaci, ma anche dalla grazia e dalla determinazione di donne straordinarie.
Tra queste, spiccano figure di imperatrici illuminate, come l’Imperatrice Suiko, la prima donna a salire al trono, una sovrana saggia che promosse le arti e la cultura, aprendo la strada ad altre donne di potere. E poi, donne guerriere leggendarie, come Tomoe Gozen, la cui bellezza e abilità nel combattimento erano pari solo al suo coraggio. Tomoe, come un fiore di campo che non teme la tempesta, combatté al fianco degli uomini nella Guerra Genpei, dimostrando che la forza non conosce genere. Altra figura leggendaria fu Nakano Takeko, donna guerriero che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia. Seppur breve, la sua vita fu un concentrato di lealtà, coraggio e abilità. Cresciuta sin da piccola in un ambiente dove le arti marziali erano parte integrante dell’educazione, Takeko eccelse nell’uso della naginata, un’arma ad asta che lei sapeva maneggiare con maestria.
Il Giappone deve molto anche alle sue scrittrici, donne che hanno saputo raccontare il mondo con parole delicate e profonde. Murasaki Shikibu, come un albero di ciliegio in piena fioritura, ha donato al mondo il Genji Monogatari, un’opera di grande importanza storica e culturale, che offre uno spaccato della vita di corte nel periodo Heian e che ancora oggi incanta e commuove. Sei Shōnagon, con il suo Makura no Sōshi, ha saputo catturare l’essenza della bellezza della natura, dell’arte e della vita di corte, come un pittore che immortala su tela un paesaggio incantato.
Nelle pieghe della storia, troviamo anche le monache buddiste, note come Bikuni, donne che hanno scelto di dedicare la loro vita alla preghiera e allo studio, come fiori di loto che sbocciano puri e immacolati. Senza dimenticare le artiste, come Ike Taiga, una pittrice che ha saputo esprimere la bellezza della natura attraverso i suoi dipinti, come un giardino zen che invita alla contemplazione.
Queste donne, come fiori di ciliegio che sbocciano e cadono, lasciando dietro di sé una scia di bellezza e profumo, hanno contribuito a plasmare il Giappone che conosciamo oggi. La loro eredità è un tesoro prezioso, un esempio di coraggio, talento e determinazione. Un invito a non dimenticare il contributo fondamentale delle donne nella storia e nella cultura del mondo.
In conclusione, dopo la fine del periodo matriarcale, la storia delle donne giapponesi è stata un susseguirsi di perdite e riconquiste di diritti, fino ai giorni nostri, con l’avvento della modernità e la continua lotta per la parità di dignità. L’eredità lasciataci da queste valorose figure continua ad ispirare le donne di oggi, non solo in Giappone, ma in tutto il mondo, ricordandoci che il coraggio, la creatività e la passione non conoscono confini.
BIBLIOGRAFIA
Soumaré M., Viaggio nel Giappone sconosciuto, Lindau, Torino, 2021.
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