Obbedienza mortale: il male ben vestito | Psicologia esoterica

Immagina di essere in una stanza. Ti dicono che stai partecipando a uno studio sull’apprendimento. Dall’altra parte di un vetro, una persona — sconosciuta, educata, con un camice bianco — ti chiede di premere un bottone. Ogni volta che lo premi, qualcuno, dietro un muro, urla.

Ma non stai facendo nulla di male. Ti hanno detto che è per la scienza. E poi — diciamolo — l’uomo col camice sa quello che fa. È uno scienziato, forse un medico, ed è gentile, autorevole, si esprime in modo elegante e dotto. Non puoi non fidarti.

Un vero terremoto in Psicologia

Nel 1961, lo psicologo Stanley Milgram decise di infilare un elefante nella stanza della psicologia sociale. E lo fece premendo un bottone. Anzi, fece premere quel bottone a decine di persone comuni, tutte convinte di partecipare a un innocuo studio sull’apprendimento e la memoria.

Peccato che quel bottone fosse collegato – almeno in apparenza – a una sedia elettrica.

Benvenuti nell’esperimento dell’obbedienza all’autorità, uno degli studi più disturbanti (e rivelatori) mai condotti. A oltre sessant’anni di distanza, fa ancora tremare le fondamenta del nostro buon senso.

La sceneggiatura dell’orrore quotidiano

I partecipanti, reclutati tramite annunci, venivano assegnati al ruolo di “insegnanti”. Di fronte a loro, un’altra persona — l’“allievo” — rispondeva a domande di memoria. Per ogni errore, l’insegnante era tenuto a somministrare una scossa elettrica, tramite un generatore con 30 livelli di intensità, da 15 a 450 volt, che via via aumentava all’aumentare degli errori.

L’allievo era in realtà un attore, la macchina era ovviamente finta, così come le urla, le suppliche e i silenzi improvvisi (simulazione di svenimenti se non morte dell’allievo per il troppo dolore inflitto). Ma i partecipanti non sapevano, e per loro era tutto drammaticamente vero.

Lo sperimentatore, impassibile nel suo camice bianco, diceva solo: “La prego, continui.” E i partecipanti — le persone comuni — continuavano. Per il bene della scienza. Per senso del dovere. Per rispetto verso l’autorità.

Due su tre: il prezzo dell’obbedienza

I risultati furono devastanti. Il 65% dei partecipanti arrivò fino in fondo, somministrando la scossa massima di 450 volt, potenzialmente letale. Inizialmente, si pensava che solo 1 su 1000 potesse arrivare a tanto. Invece furono due su tre.

Non per crudeltà. Ma per obbedienza.

Molti partecipanti sudavano, tremavano, piangevano. Alcuni imploravano di poter smettere. Ma non si fermavano. La presenza dell’autorità – silenziosa, calma, legittima – bastava a sospendere il giudizio morale e ad attivare la mano sul bottone.

“Stavo solo eseguendo gli ordini”

Milgram spiegò questo comportamento con il fenomeno della deresponsabilizzazione: quando una figura percepita come autorevole prende il comando, la responsabilità individuale si dissolve. “Non è colpa mia, sto solo facendo il mio dovere.”

Suona familiare?

L’esperimento fu ideato nel contesto del processo a Adolf Eichmann, l’uomo che organizzò la logistica dello sterminio nazista e che, al banco degli imputati, dichiarò semplicemente: “Obbedivo agli ordini.”

All’epoca, l’opinione pubblica amava pensare che Eichmann fosse un mostro, un’anomalia del genere umano. Ma Milgram pose la domanda più scomoda di tutte: siamo davvero così diversi?

Il lato oscuro delle brave persone

E se questo ancora non ti basta, c’è di peggio. Una variante moderna dell’esperimento, pubblicata nel Journal of Personality (Bègue et al., 2015), ha mostrato che le persone più inclini a obbedire fino in fondo non sono i sadici o i ribelli. Sono i “coscienziosi”, i “gentili”, i “rispettosi”. Quelli che fanno sempre ciò che viene loro chiesto. Che rispettano le regole. Che salutano con un sorriso.

L’obbedienza non è una devianza. È una virtù. Ma una virtù che può trasformarsi in un’arma spietata.

E non serve tornare agli anni ’60 per vederlo. Durante la recente pandemia (2020–2021), anche in Italia abbiamo assistito a scene di odio sociale feroce, alimentato da una cieca fiducia in sedicenti autorità televisive. Persone comuni, educate e perbene si sono accanite contro chi non voleva vaccinarsi, arrivando ad augurare esclusione sociale, sofferenze e persino la morte. Non lo facevano per un odio ragionato. Lo facevano per obbedienza all’autorità.

Una riflessione necessaria (anche oggi)

Il lascito dell’esperimento di Milgram è un monito attualissimo. In un’epoca che idolatra l’efficienza, la disciplina, il rispetto delle gerarchie, la ricerca dell’ammirazione e dell’approvazione sociale, ci ricorda che l’etica non è un qualcosa che si può delegare. È qualcosa da ricercare nel nucleo più centrale ed intimo della propria coscienza, e da mettere in gioco a qualsiasi prezzo.

Perché il vero coraggio, oggi come allora, non è nell’obbedire. È nel sapere quando dire no. Ma questo coraggio non lo si può programmare o accendere a piacimento… è il risultato di uno sviluppo interno, di un lavoro interiore perseverante ed accurato

“La vera obbedienza non è quella che esegue senza pensare, ma quella che sa quando disobbedire.”

Anonimo (ma avrebbe potuto dirlo anche Milgram)

Per approfondire:

  • Milgram, Stanley (1974). Obedience to Authority: An Experimental View. Harper & Row.
  • Arendt, Hannah (1963). La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme. Feltrinelli.
  • Bègue, L., Beauvois, J.-L., Courbet, D., Oberlé, D. (2015). Personality Predicts Obedience in a Milgram Paradigm, Journal of Personality, 83(3), 299–306.

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