Secondo una grossa parte del pensiero occidentale la realizzazione massima di se stessi coincide con l’acquisizione di un certo grado di libertà, e questa libertà spesso si manifesta nel desiderio di svincolarsi dal qualsiasi tipo di legame perseguendo invece un percorso unicamente personale, dove i propri bisogni sono posti al centro ed è necessario lottare per soddisfarli. L’idea di libertà non viene certo associata alla relazione con l’altro, anzi è comune percepire gli altri come un peso, come qualcuno di intralcio ai nostri piani, qualcuno che non ci capisce e a cui dare fiducia è pericoloso.

Così si nutre una società sempre più individualista, che infittisce la grande nuvola nera dell’infelicità sospesa sopra di noi, facendoci credere che oltre non ci sia nulla, perché siamo nati sotto questa coltre e l’abbiamo scambiata per il nostro cielo.
Ma in questo scenario grigio e solitario ci viene in aiuto, ancora una volta, la Saggezza antica della Tradizione per proporci un ribaltamento di visione che apre nuove vie a chi è stanco di rincorrere una libertà che alza in trionfo la bandiera della solitudine.
Questo Insegnamento diametralmente opposto ci arriva da Confucio, secondo cui la vera realizzazione di se stessi non può che passare dalla relazione con l’altro. È proprio nella relazione con gli altri, infatti, che l’uomo ha la possibilità di divenire umano, ovvero di sviluppare il senso dell’umanità, o benevolenza, che Confucio chiama ren. Il carattere ren 仁 è composto dal pittogramma uomo人 e due 二; nella stessa grafia vi si può scorgere l’uomo che non diventa umano se non nella sua relazione con gli altri, dove l’io appare come un punto di convergenza di scambi interpersonali e non come un’entità isolata in cui ritirarsi per perseguire le proprie solitarie ambizioni. Ma cos’è il senso dell’umanità per Confucio e come può ribaltare la nostra visione?
Benché Confucio parli costantemente di ren, egli si rifiuta di fornire una definizione esplicita che risulterebbe limitativa, ma parte da una constatazione molto semplice e alla portata di tutti: la nostra umanità non è un dato, ma la si costruisce e la si intesse nelle mutue relazioni tra gli individui e nella ricerca continua di un’armonia comune. Risulta quindi impensabile portare avanti una ricerca della propria umanità, intesa come chiamata a riallinearsi ad un ordine intrinseco delle cose, in modo solitario e personale. Parlare del desiderio di riconnettersi con il Tutto, senza però essere disposti a girare la testa per vedere chi ci sta accanto, è ipocrita e inutile. Siamo abituati a rivolgere lo sguardo in alto pensando che la relazione con il divino sia un affare personale tra noi e lui, un rapporto unico e speciale in cui, anche qui, vediamo sempre e solo noi stessi in un continuo gioco di specchi.
E se invece considerassimo possibile avvicinarci a quella parte di noi che brama una nostalgica ricongiunzione con l’armonia universale proprio attraverso le relazioni?
Per Confucio l’uomo ha la sacra missione di affermare e di elevare sempre di più la propria umanità. Il sacro non si identifica più con il culto reso alle divinità esterne, ma con la coscienza morale individuale raffinata attraverso le relazioni fondate sulla reciprocità e sulla solidarietà. Non è un ideale da realizzare, ma un polo verso cui tendere all’infinito mossi da una necessità interna che spinge per ricollocarsi in un ordine intrinseco delle cose.
Per praticare ren, occorre cominciare da se stessi: desiderare la sicurezza altrui quanto la propria, auspicare il successo altrui quanto il proprio. Attingi in te l’idea di ciò che puoi fare per gli altri – questo ti porterà sulla via di ren! (VI, 28).
Pare quindi ovvio che non ci sia spazio per l’isolamento, poiché imparare a fare di sé un vero essere umano passa inevitabilmente attraverso l’altro e la costruzione di legami sinceri, autentici, fondati su un sentimento reciproco che non ha niente a che vedere con le emozioni volubili di cui viviamo in balia. È attraversando questo portale, formato da due braccia, che si ha la possibilità di diventare umani, accedendo alla porta che conduce verso se stessi. Imparare a vedere l’altro realmente scardina, riprogramma e mette in discussione le fondamenta del rapporto esclusivo e preferenziale che coltiviamo con una divinità personale, in cui l’altro è solitamente un accessorio su cui riversare la propria presunta santità.
Ma cosa vuol dire apprendere il senso dell’umanità?
Sempre secondo Confucio l’educazione non può essere meramente libresca e solitaria. Certamente incentiva lo studio dei testi antichi, ma non per una conoscenza di ordine teorico, piuttosto per le implicazioni concrete e pratiche che questi portano. La conoscenza consiste innanzitutto nello sviluppo di un’attitudine piuttosto che nell’acquisizione di un contenuto intellettuale. Questa attitudine va coltivata e l’unico terreno fertile su cui poterlo fare è la relazione con l’altro. È in questo campo che si crea la possibilità di apprendere, e per Confucio l’apprendimento ha un ruolo centrale per colui che si impegna nel cammino dell’esistenza. L’apprendimento è un’esperienza che si pratica, che si condivide con altri e che è fonte di gioia, in se stessa e di per se stessa. Si tratta di apprendere non per gli altri ma dagli altri, e qualsiasi circostanza ne può offrire l’occasione poiché si apprende innanzitutto nello scambio reciproco.
Il Maestro disse: “Persino se si viaggia soltanto in tre ognuno può essere certo di trovare nell’altro un maestro: assumerà dal buono quanto vi è da imitare e vedrà nel malvagio quanto vi è da correggere in sé stesso” (VII, 22)
Questa visione ribalta completamente il significato che la relazione assume all’interno della società e della nostra vita, aprendo le porte su una stanza inesplorata – quella delle relazioni – che è fondamentale sondare in modo pratico e sincero lasciando da parte la meccanica proiezione di noi stessi sull’altro, iniziando a vederlo davvero.
Al discepolo Fan Chi che domanda che cosa sia la benevolenza, Confucio risponde “ren è amare gli altri” (XII, 22) e non c’è nulla di emotivo in questa affermazione, poiché l’amore di cui parla si erge sulla capacità di considerare esternamente l’altro riconoscendo la complessità della situazione altrui al posto di proiettare sempre e solo la nostra. È necessario togliersi di mezzo in modo da liberarci la vista per vedere l’altro perché finché abbiamo solo noi stessi davanti al naso la relazione rimarrà sterile per entrambi. Vedere l’altro significa conoscerlo, comprenderlo, mettersi realmente al suo posto e tutto questo richiede un grande lavoro che porta alla padronanza di sé al fine di rendere la vita più facile sia a sé stesso che agli altri, ma questo è un processo che può essere appreso solamente attraverso la pratica nelle relazioni.
Dunque, secondo Confucio, praticare ren, ovvero apprendere il senso dell’umanità, equivale ad imparare ad essere in relazione con gli altri secondo determinati valori e principi; solo così si ha la possibilità di riallinearsi all’ordine intrinseco delle cose. Non è proprio a tutto questo che ambiscono anche i cercatori contemporanei? Perché allora non smettere di perseguire una libertà solitaria, provando invece a trovarla attraverso la relazione con l’altro proprio come ci suggerisce Confucio? Perché non provare a spostare lo sguardo da se stessi per rivolgerlo con sincerità e benevolenza verso l’altro?
BIBLIOGRAFIA
Cheng A., Storia del pensiero cinese. Vol I. Dalle origini allo “studio del Mistero”, Einaudi editore, Torino, 2000.
Lippiello T. (a cura di), Confucio, Dialoghi, Einaudi editore, Torino, 2003.


🎀 Molto interessante ~ Grande saggezza antica ~ CONFUCIO, secoli prima del Cristo, aveva gia’ detto tutto ~ Fortunatamente non e’ accaduto che il pensiero di questo eccellente folosofo fosse contaminato, come e’ accaduto al pensiero del Budda e persino a quello del Cristo.
Esercitare la connessione e l’amore per il prossimo, aprire il cuore alla realizzazione della propria umanità promuovendo nel contempo l’armonia sociale. Che bello sarebbe se questa consapevolezza fosse intuita/percepita da tutte le persone contemporaneamente , allora si che si potrebbe realizzare, continuiamo a provarci.
Assolutamente sì, concordiamo in pieno. Grazie mille per il commento, per noi importantissimo.