
Ad un certo punto Lord Pentland chiese a Patrick Patterson, l’autore del libro, “Ma perché è venuto?”. La sua voce era morbida, senza fretta, quasi indifferente. La stessa domanda che gli aveva fatto al telefono. Di nuovo lui provò lo stesso dubbio, lo stesso smarrimento.
“Ma perché ero lì? Che cosa volevo?” scrisse. “Cosa mi ha portato qui?”
“Non avevo risposte. Cominciai a parlare, a divagare, raccontandogli della mia infanzia, di come i miei genitori mi avessero viziato, trattandomi come un figlio di papà. Non fece alcun commento. Raccontai di come avessi studiato psicologia e filosofia, senza trovare risposte in nessuna delle due, solo giochi mentali. Continuò ad ascoltare.
La religione mi sembrava troppo ordinaria, consumata, e dovevi accettarne le risposte per fede. Ma di nuovo nessun commento. Pensai che avrebbe risposto, ma non lo fece.
Attesi. Mi fece cenno di continuare. Gli raccontai anche di come, dopo l’università, fossi andato a San Francisco per lavorare nella pubblicità, mi fossi arruolato nell’esercito, e che dopo l’esercito ero venuto a New York, eccetera, eccetera.
Conclusi raccontandogli delle mie esperienze spirituali, la luce, la telepatia, la conoscenza interiore. Stavo arrivando alla parte migliore quando, incredibilmente, sbadigliò. Proprio in faccia a me.
Nessun tentativo di coprirsi la bocca. Nessun “mi scusi.” Nessun minimo imbarazzo.
Si comportò come se non fosse successo nulla. Forse il Lord era un po’ rimbambito. Era l’ennesima beffa del destino? Una caccia all’oca selvatica? Gurdjieff era morto nel 1949. Questo vecchio era forse solo un pezzo da museo? Mi affrettai allora a concludere la storia, quando il bastardo sbadigliò di nuovo. Fu lo sbadiglio più incredibile che avessi mai visto. La bocca si aprì enormemente, mostrando una vasta caverna di denti e lingua.
I muscoli e i tendini del collo si tesero completamente. Poi un forte risucchio d’aria, e la bocca si richiuse di scatto; le narici espulsero un flusso d’aria esausta. Tutto il movimento meccanico della muscolatura avvenne al rallentatore, come se fosse tutto sotto il suo controllo.
Mi tenne gli occhi addosso per tutto il tempo. Non esprimevo nulla, nemmeno un’ombra di colpa o di scuse. Era tutto deliberato? E se sì, perché? Volevo andarmene da lì al più presto, ma non lo feci.
Pensai di muovermi, ma non ci riuscì. Il pensiero non era abbastanza forte. Così restavamo seduti, avvolti in quel silenzio pesante, in tutto quello spazio vuoto.
Era devastante. “Mi dica”, chiese, fingendo curiosità. “Può sperimentare adesso tutto questo?” C’era una lieve sfumatura di sfida nella sua voce, compresi subito cosa intendesse.
Avevo parlato delle mie esperienze spirituali come se fossero una parte continua della mia vita. Mi sentì come un pesce con l’amo in bocca. “No”, ammisi infine, un po’ a malincuore. (1)
Insomma, questo è l’inizio di un’esperienza molto interessante, una delle tante di Patrick Patterson con Lord Pentland. L’intero libro “Eating the I” è infatti la testimonianza diretta di che cosa fosse effettivamente la Quarta Via, di come avvenisse l’insegnamento diretto tra discepolo e allievo, in questo caso con Lord Pentland, il maestro di Patrick Patterson.
Lord Pentland era una figura di estrema rilevanza nell’ambito della Quarta Via perché è stato proprio l’uomo scelto direttamente da Gurdjieff per guidare il lavoro in America. Nato a Londra, durante la guerra si era trasferito negli Stati Uniti; siamo nel 1944.
Lord Pentland viene descritto come un grande insegnante e guerriero della Quarta Via. Il suo ruolo era fondamentale e includeva, appunto, il fatto di essere leader del lavoro negli Stati Uniti. Fu presidente della Gurdjieff Foundation per 31 anni, a partire dai primi anni 50, e sotto la sua direzione furono tradotti e pubblicati ben tre libri di Gurdjieff. Fu insegnante e mentore sia per l’autore, come già detto, che per altre persone.
Lord Pentland viene descritto come una persona con una presenza e intelligenza potenti, un uomo di mondo e di spirito. Era un uomo alto, slanciato, con spalle larghe, conosciuto soprattutto per il suo atteggiamento impersonale e la sua capacità di mantenere la sua personalità “ripiegata come un ombrello”.
I suoi metodi di insegnamento erano particolari, perché lui usava gli shock intenzionali per costringere gli studenti a confrontarsi con la propria vera meccanicità e la propria vanità. Non era uno che spiegava o che diceva tante parole, ma metteva, come nell’esempio precedente, di fronte al fatto compiuto, di fronte alla propria vanità e alla propria difficoltà. Ad esempio rispondeva alle domande con assenza di reazione, come ci ha raccontato Patterson, o addirittura fingeva di addormentarsi o di essere senile per testare l’attenzione e la sincerità dei suoi allievi.
In un’occasione, di fronte ad un’intera sala di uditori, aveva recitato la parte di un uomo meccanico e addormentato, al fine di provocare una forte impressione nell’audience e dimostrare l’identificazione di tutti con il pensiero comune. Era noto per la sua severità e per il suo sforzo di mantenere il lavoro puro e non contaminato dalle forme di pensiero dell’epoca. Doveva essere uno allergico alle esternazioni new age ed emotive riguardo alla spiritualità; era convinto infatti che il lavoro dovesse essere preservato da certe interpretazioni, da ogni deviazione e da ogni popolarizzazione.
L’autore lo descrive come una figura indimenticabile, definendolo un grande guerriero capo che prese su di sé sfide impossibili nel suo ruolo di guida, senza nessun timore di essere incompreso.
In buona sostanza, il testo, attraverso l’esperienza dell’autore, mette in luce la pratica, la sua pratica di lavoro nella Quarta Via, e cioè una via dove viene messa in luce la vera condizione dell’essere umano, fornendo un metodo per la sua evoluzione interiore. Questo metodo, però, non è un metodo teorico, ma è un metodo pratico, esperienziale, che passa attraverso la vita di tutti i giorni, attraverso le proprie credenze e attraverso le proprie meccanicità ed abitudini.
Il metodo non può che essere infatti un’applicazione della disciplina all’interno della vita ordinaria. Il processo esige un lavoro cosciente e intenzionale nella vita di tutti i giorni. Non basta riunirsi il giorno del discorso del guru oppure in un corso dedicato ad hoc e poi separare completamente la propria esistenza da quanto si è sentito.
La domanda che sorge, dunque, può essere questa: saremmo pronti a ricevere uno sbadiglio in piena faccia dopo aver raccontato tutte le cose più importanti che riteniamo di noi stessi? Saremmo pronti a lottare contro le nostre emozioni negative senza rovesciarle addosso a tutti gli altri? E siamo pronti a rimanere svegli non solo quando gli altri ci guardano, ma soprattutto quando siamo da soli alla mercè delle nostre proprie dinamiche?
Ascolta tutto il podcast dedicato a “Eating the I” su YouTube o Spotify (a fondo articolo, i link). A presto!
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(1) Tratto e parzialmente riassunto e modificato da Patterson, Wm. Patrick, Eating the “I”: An Account of the Fourth Way – The Way of Transformation in Ordinary Life, San Anselmo (CA), Arete Communications, 1992.


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