Ma che cos’è lo Yoga, questa disciplina esotica tanto ricercata quanto avvolta nel mistero? Sarà vero che la sua pratica potrebbe condurre verso la liberazione dalle catene di questo mondo illusorio?
Studiando i testi tradizionali di Yoga, ed ascoltando attentamente le parole che i saggi ci hanno lasciato sulla sua pratica, possiamo evincere certamente una cosa: in occidente, non ne sappiamo molto. O almeno, non di Yoga secondo il suo significato originario. Vediamo perché.
Consideriamo gli Yoga Sūtra di Patanjali, il trattato principale e cardine dello Yoga. Si dice che questa raccolta di aforismi sia stata tracciata dall’autore in un’era storica in cui l’insegnamento dello Yoga, fino ad allora tramandato oralmente, rischiava di andare perduto. La data di esecuzione non è certa, tuttavia sembra si tratti del testo più completo in merito al nostro argomento, al suo significato e alle sue prescrizioni.
Normalmente i sūtra, vale a dire gli aforismi , vengono divisi in quattro capitoli, il primo dei quali è dedicato proprio alla definizione e allo scopo dello Yoga. Il primo è il seguente:
ATHA YOGĀNUŚĀSANAM (Yoga Sūtra, I-1)
Stante alla traduzione letterale (1), l’aforisma può venire tradotto in diversi modi (2). Uno dei più consueti suona più o meno così: Ora, l’insegnamento dello Yoga . Un altro potrebbe invece risuonare in tal modo: Adesso, la disciplina dell’unione . Tuttavia se consideriamo l’inizio di diversi testi sacri di differenti tradizioni, come quella egizia, potremmo a ragione tradurre l’aforisma in questo modo: Qui e ora lo Yoga.
Andiamo per gradi. Il termine sanscrito Yoga deriva dalla radice Yug, che significa unire, congiungere. Yoga significa dunque unione, tendenzialmente considerata come unione con la fonte divina originaria, con il proprio Sè divino, con Dio.
Fin a questo punto tutto bene, peccato che, se ci fermassimo qui, potremmo tranquillamente depositare le buone intenzioni e arrenderci di fronte all’evidenza: per come siamo fatti, almeno in questa epoca e nella nostra cultura, questa unione è per la maggior parte delle volte qualcosa di inconcepibile.
E’ pur vero che, prima di imparare a correre, forse sarebbe meglio saper allacciarsi le scarpe. Allo stesso modo concepire l’unione in termini superiori e puri, un’unione slegata dunque dalla nostra vita quotidiana, potrebbe significare alimentare una vana illusione.
Ci chiediamo se sia possibile unirsi con il divino quando non si fa che alimentare malcontenti e rancori all’interno della propria famiglia, ad esempio. Se sia possibile parlare di Yoga quando non sappiamo accettare né noi stessi nè ciò che non comprendiamo degli altri. Se, in nome dell’Amore, della Verità o della Giustizia ci separiamo, ognuno seduto sul proprio seggiolo guardando con superiorità gli altri.
Se sia possibile, in ultima analisi, affermare superbamente di godere di un contatto realmente divino quando siamo continue prede delle nostre passioni, emozioni, desideri, che ci portano lontani dal nostro prossimo e, cosa forse ancora più grave, a non considerare i fatti testimoniati dalle nostre stesse azioni.
Dunque, unione con che cosa? Forse potremmo partire da noi stessi e da ciò che ci circonda prima di contorcere i nostri arti o sederci a gambe incrociate attendendo che qualcosa di sublima avvenga.
E questo quando? due volte la settimana, dalle nove alle undici? tutte le mattine all’alba? Forse non si tratta nemmeno di questo. Qui e ora potrebbe essere l’unico “periodo” realmente sensato per esercitare l’attenta osservazione di sè, finalizzata alla constatazione di ciò che siamo e di ciò che non siamo, senza orpelli nè giudizi. E da lì, proseguire.
Un piccolo inciso. Con questo non intendiamo affatto affermare l’inutilità di certe pratiche e discipline fisiche o meditative. Solo, un piccolo monito di attenzione: se ci si butta in esse senza guardarsi attorno, nella vita di tutti i giorni, esse non solo diventano inutili, ma addirittura pericolose. Infarcire il proprio ego nella consapevolezza di stare facendo qualcosa di “speciale”, senza considerare se stessi e le persone che ci circondano, conduce inevitabilmente all’imbrigliamento nella propria, infinita ignoranza della Realtà. Per giunta credendo di essere individui evoluti e superiori.
Il Qui e ora è l’unica cosa che realmente abbiamo. Lo possiamo evincere dalle parole dei saggi che, stando ai fatti, lo hanno veramente raggiunto, come nel caso di alcuni sciamani della tradizione indiana pellerossa.
Vivere “per” il momento non è la stessa cosa che vivere “ nel” momento del qui ed ora.
Il saggio accetta ogni momento per quello che porta, vivendo in maniera piena e completa.
Per i popoli nativi, l’abilità di reagire istantaneamente al mutare degli eventi veniva considerata un segno di evoluzione della coscienza.
(Chokecherry Gall Eagle, Oltre la Capanna del Sole – 1998)
Oppure, possiamo prendere ispirazione dalle parole della tradizione Advaita:
C’è qualcosa di eccezionale, di unico nell’avvenimento presente che non caratterizza quello passato e quello futuro. Qualcosa che lo rende vivo e reale. […] Io sono reale perché sono sempre adesso, nel presente, e ciò che ora è con me fa parte della mia realtà.
(Sri Nisargadatta Maharaj, Io sono quello – 1973)
Dunque come rispondere alla domanda: che cos’è lo Yoga? A rispondere, naturalmente, è sempre lo Yoga Sūtra con il secondo aforisma.
YOGAŚ CITTA-VRITTI NIRODHAH (Yoga Sūtra, I-2)
Procedendo con la traduzione letterale (3) possiamo intendere l’aforisma in questo modo: Lo Yoga è la regolazione delle modificazioni della mente.
Partendo dal presupposto che esista in noi un nucleo eterno e realmente divino, e che la mente e le sue percezioni provochino un annebbiamento totale di tale visione, possiamo dedurne che lo Yoga offra un mezzo per regolare i pensieri, le idee, le percezioni che ostacolano la coscienza all’armonizzazione con la sinfonia divina.
Facciamo un esempio servendoci di una metafora, chiedendo venia per la banalità di cui ci serviamo. Supponiamo che l’essenza divina nell’essere umano possa essere paragonata ad un flebile, meraviglioso suono, composto da una sola nota musicale. Consideriamo poi la nostra mente, i nostri sensi, lo stato di salute del nostro corpo fisico. La prima potrebbe essere essere paragonata alla più sconcertante musica heavy metal, “sparata” a tutto volume. I sensi, ad esempio, un bel sonetto di musica classica, lo stato fisico ad una allegra canzone popolare o ad una marcia funebre. Va da sè che a questo elenco si dovrebbero aggiungere una moltitudine di altre voci, ma proviamo a chiederci: nel fracasso dettato dal mix di queste sole tre fonti di suoni, come mai si potrebbe arrivare ad udire la sacra sillaba divina? Impossibile.
Consideriamo dunque il grafico qui sotto come un esempio di ciò che è uno stato di Yoga, di unione, rispetto al “rumore” cui portano le varie modificazioni, indicate con “Mod”. Come evidente, l’invito degli aforismi di Patanjali ci spinge proprio all’armonizzazione della coscienza.
Chiaramente, a questo punto, ci si potrebbe domandare: come si fa?
Come tale armonizzazione o regolazione possa avvenire è proprio il cuore del messaggio delle varie tradizioni iniziatiche: Una sola cosa, tuttavia, ci sembra doveroso sottolineare: non è possibile risolvere un problema fino a che si ignora di averlo.
In tal senso, Yoga è innanzi tutto attenzione e constatazione dei fatti. Ma di questo, speriamo di poterci confrontare in seguito.
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(1) MONIER-WILLIAMS, A Sanskrit-English dictionary, Oxford, Clarendon press, 1899.
(2) ATHA= Ora, adesso; YOGĀ= Unione; ANU= Circa, in merito; SHASANAM= Insegnamento, disciplina.
(3) YOGAŚ= Unione; CITTA= Coscienza, mente; VRITTI= Modificazioni, attività, fluttuazioni; NIRODHAH= Controllo, regolazione, soppressione.
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