Chi di noi non ha mai provato, per le ragioni più differenti, un’acuta e intensa sofferenza? La morte di una persona cara, un amore sbagliato, un tradimento, l’indifferenza affettiva dei genitori, il sentirsi sempre e comunque “sbagliati” davanti agli altri, l’essere derisi per le proprie differenze fisiche o di pensiero.
Sì, tutti noi abbiamo sofferto, in qualche forma e con modalità attinenti alle personalità che indossiamo in questa vita, ma qualcuno fa di questa sofferenza un vestito dal quale sembra non voler più separarsi.
Diverse possono essere le reazioni agli stati di sofferenza: alcuni reagiscono piangendo disperatamente; altri si chiudono all’interno di una corazza che rinforzano giornalmente, indossandola costantemente alla prima occasione di possibile pericolo (reale o astratto).
Lentamente, come Penelope, di giorno costruiscono la loro tela, impegnandosi ed investendo energie in una direzione desiderata, poi di notte la distruggono cercando conferme alla loro profonda convinzione che “tanto, come al solito, finirà in un dramma”. Ovviamente, inconsciamente spinti dalle paure profonde non affrontate.
Ecco che emergono allora alla memoria le parole di un saggio: “La sofferenza interiore è una malattia dell’anima, che va diagnosticata e poi curata; è causata dalla fantasia, da come ci siamo costruiti il mondo dentro di noi e quindi dal pregiudizio con cui affrontiamo gli eventi.
Se qualcuno si chiederà a questo punto se è possibile cambiare questo stato d’essere, rispondiamo con certezza: sì, ma non arriverà dall’alto, o per caso. Occorrerà lasciare il conosciuto per lo sconosciuto, lasciando corazze e idee preconcette. E occorrerà fidarsi di qualcuno che ha la lucidità e il coraggio di metterci di fronte a noi stessi.
Come l’uccellino che deve spiccare il primo volo dal nido e che si trova dinnanzi al vuoto, ci tremeranno le gambe, si appannerà la vista, e il proprio mondo di tristezza sembrerà in quel momento, tutto sommato, una piccola e comoda gabbietta.
La cosa che conta in quell’istante è saltare. Non ci saranno garanzie che andrà subito “tutto bene”, ma d’altronde che cosa abbiamo da perdere? La sofferenza, appunto. La strada verso la felicità è forse lunga e tortuosa, perché ostinata e complessa è la nostra realtà interiore.
Ciò che possiamo assicurare è che se un salto non verrà compiuto, nulla potrà mai cambiare. Quindi, è forse un prezzo troppo alto da pagare o vale la pena di tentare?
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La sofferenza non sta nei fatti, ma nel modo in cui noi li percepiamo