Non pronunciare il Nome di Hashèm il tuo Dio invano, poiché Hashèm non assolverà colui che pronuncia il Suo Nome invano.
(Es 20, 7)
Anche la Terza Parola, come già le prime due, ci porta una nuova lettura delle Tavole della Legge, che dista dal significato a cui tradizionalmente abbiamo accesso, riassumibile nel non offendere Dio pronunciando il suo nome in modo inappropriato.
Ebbene, pare interessante scoprire come la traduzione letterale del testo biblico proponga invece della parola pronuncerai la parola prenderai, da cui ne deriva la seguente affermazione: “Non ti approprierai indebitamente del nome della Divinità”. Se per un attimo ci lasciamo incuriosire, scopriremo che quest’ultimo significato è molto più ampio di quello che conoscevamo già ed equivale a dire che, in generale, non ci si può impossessare del Sacro utilizzandolo per i propri vantaggi personali, con il rischio di abbassarne il valore e l’importanza. Di quali vantaggi personali si tratta dunque?
Ne è un esempio il fatto di attribuire alla Divinità la responsabilità delle proprie condizioni di vita che sono invece conseguenze dei nostri atteggiamenti e comportamenti, ma nonostante ciò si incolpa la Vita per le cose che non abbiamo e di cui sentiamo il bisogno, con il risultato che, se ci manca quello che desideriamo, siamo portati a pensare che la Vita sia ingiusta. Inutile dire che sarebbe sicuramente più produttivo cambiare punto di vista: non si tratta di giustizia divina, ma degli effetti che i nostri comportamenti producono secondo la legge di causa-effetto.
Rovesciando la prospettiva possiamo vedere che noi viviamo quello che realmente vogliamo, cosa di cui, purtroppo, a volte non siamo consapevoli perché non sempre ci è chiaro cosa sinistramente desideriamo per noi stessi.
Un altro esempio è quello che ci fornisce la Storia a più riprese e in più contesti, per esempio col capitolo ampissimo delle guerre cosiddette “sante”; non è difficile in questo caso capire quanto l’idea di Dio possa essere pericolosa se si trasforma in ideologia o se diventa un alibi per una politica personale. In nome di Dio sono stati bruciati migliaia di uomini, donne e bambini dall’Inquisizione e in nome di Dio sono state dichiarate guerre sante, sorprendentemente con la coscienza a posto di star compiendo la giustizia divina e dunque il proprio dovere per il bene comune più grande.
Soffermandoci inoltre su un altro aspetto della terza parola, scopriamo che il termine ebraico per dire invano è shaveh, foneticamente vicina a chaveh, che significa identico, senza differenza. La Terza Parola invita dunque a non usare il nome di Dio senza differenziare, senza porre differenza tra Sacro e non sacro. Usare il nome di Dio, infatti, per giustificare le proprie pulsioni significa assimilarlo ad esse.
Laddove si rende la Divinità identica a tali pulsioni non si può arrivare a Dio e ciò impedisce di comprendere ciò che è corretto e ciò che non lo è in quello che facciamo, ovviamente non dal punto di vista morale, ma puramente evolutivo.
E, se abbiamo a cuore la nostra evoluzione interiore, non si può ignorare il fatto che, se si dà sempre la colpa agli altri, così come alla divinità, non si impara nulla dalla nostra esperienza perché il farlo impedisce di fare esperienza. In quest’ottica, infatti, non c’è colpa, non c’è nulla di sbagliato e dunque non c’è bisogno di correggersi. Il risultato di questo atteggiamento è che, all’occasione successiva, si ripeteranno gli stessi errori. Si tratta dunque, per dirla in termini semplici ma efficaci, di tirarsi su le maniche e partire da se stessi e mettere un faro bello grosso sulle nostre azioni per capire dove stiamo andando e che cosa realmente desideriamo per noi stessi. Rovesciare il punto di vista è accogliere l’idea rivoluzionaria e affascinante che, nel divenire del mondo, le cose dipendono da noi! Il filosofo Hans Jonas ha magnificamente espresso questo concetto con le seguenti parole:
“Dopo essersi affidato totalmente al divenire del mondo, Dio non ha più nulla da dare. Ora tocca all’uomo dare. E l’uomo può dare se nei sentieri della sua vita si cura che non accada o non accada troppo spesso, che Dio abbia a pentirsi di aver concesso il divenire del mondo”.
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