Il simbolo dell’aquila, la “regina del cielo”

Da sempre l’essere umano osserva la natura e ne individua elementi in grado di rappresentare simbolicamente dei significati profondi. In particolare, è attratto e affascinato dagli animali, tanto da renderli protagonisti di miti, leggende, romanzi. Ma uno in particolare, un maestoso volatile, considerato la regina del cielo, è stato da sempre ammirato e venerato in diverse culture per le sue particolari caratteristiche: si tratta dell’aquila.

Libera di librarsi in volo a quote particolarmente alte nel cielo, l’aquila si contrappone al leone, re degli animali sulla terra. Ha qualità incomparabili: ascende e discende molto velocemente, ha artigli robusti che le permettono di afferrare le prede con una presa potentissima. Ha una capacità visiva molto acuta e non teme la luce del Sole.

Nella mitologia greca un’aquila d’oro domina lo scettro di Zeus, come ci racconta Pindaro:

Sullo scettro di Zeus

l’aquila la regina degli uccelli

dorme calando l’una e l’altra

rapida ala […]. (1)

Il portamento di questo splendido volatile è maestoso ed elegante, oltre che solenne, tanto da essersi conquistato il ruolo di “signum” nell’antica Roma, ossia un’insegna fissata sulle aste militari, in bronzo dorato, simbolo del potere del fulmine, del possente dominio, della vigilanza costante e attenta sulle terre e sulle genti conquistate dall’Urbe.

Gli Ottomani utilizzarono l’aquila a due teste come emblema sciamanico e tolteco. Era posizionata sopra un’alta asta e rappresentava la sede del massimo signore di quelle terre. I Crociati esportarono probabilmente in Europa quell’insegna e l’aquila bicipite venne adottata araldicamente dagli imperatori che governarono regni che, come quello ottomano, “guardavano” a ovest, verso l’Europa, e a est, verso l’Asia, come l’Austria e la Russia.

L’Aquila a due teste guarda contemporaneamente a due diversi “reami” interiori, regnando sugli opposti. È certamente simbolo dell’onniveggenza ma anche del potere doppio dell’onnipotenza divina, che è in grado di creare e di annientare. Nella tradizione cristiana infatti questi due aspetti della divinità sono rappresentati simbolicamente nelle scene medievali del Giudizio Universale dove Dio, con la mano destra mostra un cenno di benevolenza e perdono, mentre nella sinistra il cenno è di condanna.

Pertanto quando l’aquila è rappresentata bicipite raddoppia simbolicamente la sua massima potenzialità.

Sono numerose anche le citazioni bibliche che vedono l’aquila come protagonista come ad esempio il passo ove Dio, per insegnare a Giobbe l’umiltà, fa riferimento all’aquila:

È forse al tuo comando che l’aquila si leva in alto e fa il suo nido nei luoghi elevati? (2)

Ezechiele dichiarò di aver visto il carro del Trono divino trainato da quattro esseri misteriosi che avevano volti differenti, di uomo, di aquila, di toro e di leone. Possiamo leggervi la metafora dei quattro evangelisti che Giovanni riprende nell’Apocalisse: ognuno dei quattro esseri è considerato il più forte della propria specie.

 L’Aquila, l’occhio che guarda il sole, rappresenta proprio l’Apostolo Giovanni che nel suo Vangelo ammira estatico la potenza di Dio:

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. (3)

In Alchimia l’Aquila “è lo spirito costretto nella materia bruta, che si libera solo dopo la fase di riscaldamento prolungato nell’Athanor e si concretizza nell’alto dell’alambicco” e acquisisce diversi significati se bianca, ove rappresenta una proiezione maschile associabile al soprannaturale, o nera, ove diventa un segno notturno, lunare, femminile.

Per gli Indiani d’America l’Aquila, per il suo carattere solare era chiamata “Uccello di Fuoco” oppure “Grande uccello del Tuono” o ancora “Grande Aquila della Rugiada” e rappresentava il Grande Spirito. Le sue piume erano utilizzate nella Danza del Sole.

Per gli Sciamani Toltechi l’Aquila simboleggiava qualcosa di ancora più elevato: la forza indescrivibile che sta all’origine di tutti gli esseri coscienti. La chiamarono Aquila perché i Veggenti, ad una prima occhiata, la videro come qualcosa che rassomigliava ad un’Aquila, nera e bianca, di dimensione infinita.

Affermavano che l’Aquila concedeva la consapevolezza. Creava esseri coscienti perché vivessero e arricchissero la consapevolezza data loro con la vita. Ed era l’Aquila a divorare la stessa consapevolezza, arricchita dalle esperienze di vita, dopo che gli esseri coscienti l’avessero abbandonata al momento della morte.

L’Aquila, affatto soggetta alla mutevolezza delle condizioni di ciascun essere vivente, concede a ciascuno di essi un dono. Ogni uomo, a seconda dei propri desideri e diritti può, se vuole, mantenere la fiamma della consapevolezza, ha pertanto il potere di disobbedire al richiamo della morte, ha la possibilità di cercare un passaggio verso la libertà ed usarlo.

Per i veggenti non era materia di fede o di deduzione dire che la ragione dell’esistenza era arricchire la consapevolezza. Videro che la consapevolezza si separa dagli esseri coscienti e si allontana volando al momento della morte. (…) La consapevolezza è il cibo dell’Aquila. (4)

Il dono dell’Aquila non è un regalo ma una possibilità, che si compie soltanto a determinate condizioni. Solo il guerriero impeccabile, la cui volontà riesce a guidare non solo i desideri ma il corpo nella sua totalità, riesce a trovare il passaggio verso la libertà.

Mi sono già arreso al potere che governa il mio destino.

Ho abbandonato tutto, così non ho nulla da proteggere.

Non ho pensieri, così potrò vedere.

Non temo nulla, così mi ricorderò di me stesso.

Calmo e sereno sfreccerò oltre l’Aquila verso la libertà.” (5)

Sitografia:

www.aispes.net, Franco Cardini “L’Aquila”

Bibliografia:

Bruno Poggi, “Symbola – Dizionario della Simbologia Alchemica, Araldica e Muratoria”, Ianieri Edizioni, 2017


(1) Pindaro, Pitiche I, 11-4. Per Ierone e per Etna.

(2) Giobbe, 39:27.

(3) Vangelo di Giovanni, 1,1.

(4) C. Castaneda, Il fuoco dal profondo, Best BUR Rizzoli, Seggiano di Pioltello (MI), 2015.

(5) C. Castaneda, Il Dono dell’Aquila, Best BUR Rizzoli, Trebaseleghe (PD), 2016.

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