Cha No Yu, meglio conosciuta come Cerimonia del Tè, è considerata una vera e propria arte fondata sulla mescolanza del tè, reso in polvere, mescolato all’acqua calda, densa di un ricco simbolismo e significati culturali.
Le origini della pianta del tè risalgono all’antica Cina, dove veniva principalmente usata per scopi terapeutici. Tra il 960 e il 1279, durante la Dinastia Song, la bevanda ricavata dalle foglie di tè fu portata in Giappone dai monaci buddisti che si recavano in Cina per imparare la meditazione e praticare l’arte Zen.
Fu proprio il monaco Eisai Zenji che nel 1191, durante i sui viaggi in Cina per frequentare la scuola Zen, portò i semi del tè in Giappone. Il monaco Murata Juko fu invece il vero fondatore della Cerimonia del Tè giapponese e proprio a lui si deve l’origine dello stile wabi-cha (caratterizzato da sobrietà e semplicità), il quale trasformò, intorno al 1500, il rito cinese del preparare il tè in una vera e propria cerimonia giapponese. Diversi anni dopo, tra il 1522 e il 1591, il Maestro del Tè Sen no Rikyu riformò lo stile wabi-cha e codificò la Cerimonia del Tè, Cha No Yu – “Acqua calda per il Tè”.

La Cerimonia del Tè, eseguita dal Maestro, non rappresentava solo l’offerta di una tonica bevanda o un passatempo per i nobili, i guerrieri aristocratici, i monaci e i ricchi mercanti, ma sotto il profilo simbolico era considerata una pratica cerimoniale in grado di mettere in contatto il Maestro del Tè con lo spirito dei suoi antenati, con il grande archetipo e i maestri invisibili; un vero e proprio ponte teso verso l’ignoto e le regioni inesplorate dell’inconscio. Capacità gestuale, potere di concentrazione, semplicità di movimenti ed eleganza del portamento facevano sì che il Maestro del Tè, entrato in contatto con la sua essenza, instaurasse un clima magico creando una vera fusione con l’Assoluto.
La Cerimonia del Tè predispone e prepara l’ospite a calarsi in uno stato interiore di profondità e pace. In sé sono racchiuse tutte le conoscenze che vengono tramandate da Maestro a Maestro e sfociano nell’esperienza che ogni singolo individuo è chiamato a fare nella sua vita. All’ospite che viene invitato a partecipare alla Cerimonia del Tè viene fatta una sola richiesta, ovvero quella di lasciare fuori dalla stanza del tè quegli stati negativi che impediscono di vivere con serenità e offuscano la mente.
I Samurai prima di andare in battaglia incontravano il Maestro, il quale attraverso la Cerimonia del Tè li accompagnava con serenità ad affrontare la loro battaglia. Essi si presentavano dinnanzi al Maestro, ai quali, prima di accedere alla stanza del tè, veniva richiesto di depositare le armi, proprio perché la stanza del tè è luogo di pace interiore, di purezza e in alcun modo può essere sporcata da pensieri o strumenti negativi.
Nei monasteri il consumo del tè aveva un duplice scopo: da un lato quello di far mantenere svegli i monaci durante le lunghe ore di meditazione, dall’altro era un valido strumento che li aiutava nella ricerca interiore di sé.
Il grande Maestro Sen no Rikyu fu colui che stabilì i quattro principi costitutivi della Cerimonia del Tè:
- Armonia
- Rispetto
- Purezza
- Tranquillità
L’Armonia (Wa) comprende la relazione con gli ospiti che prendono parte alla Cerimonia, agli oggetti scelti e al cibo consumato. Nulla è lasciato al caso, ogni cosa deve seguire il ciclo delle stagioni, il tempo e il naturale fluire delle cose, secondo un ideale di perfetta armonia.

Aspetto fondamentale è il Rispetto (Kei) di ogni persona e di ogni oggetto. Questa parte della Cerimonia insegna a considerare ogni singola cosa che ci circonda con attenzione e osservazione meticolosa, nutrendo per questa un profondo rispetto.
La Purezza (Sei) non è da intendersi come qualcosa di impuro, ma è la parte della Cerimonia che invita a liberarsi di vecchie energie, a predisporsi e ad accogliere il bello per lasciare spazio al nuovo.
La Tranquillità (Jaku) è il principio che invita a vivere all’unisono con i ritmi della natura, liberandosi dai vincoli e dai legami del mondo materiale. Colui che si appresta a preparare e a bere il tè lo deve fare contemplando il sublime stadio di serenità e calma.
Questi principi non riguardano soltanto il rapporto che si instaura tra i partecipanti alla cerimonia, e in particolare tra cerimoniere e ospite, ma anche con gli oggetti utilizzati e la scelta del cibo che viene consumato prima del tè.
Il Maestro faceva dell’arte del tè la sua vita, ed è proprio per questa ragione che egli aveva tanta forza: il suo tè simboleggiava una vera e propria battaglia senza spada. La Cerimonia del Tè è considerata infatti un’opera d’arte, quindi al pari della pittura, della poesia e della calligrafia, che necessita di una mano esperta che possa mettere in risalto le qualità più nobili. Essa è intrisa di profonda spiritualità ed è attraverso gesti quotidiani che si arriva a raggiungere la totale calma e consapevolezza interiore.
La Cerimonia del Tè predispone quindi colui che sta per partecipare ad un rito, ad approcciarsi ad esso in modo più consapevole, offrendogli la possibilità di avvicinarsi ai mondi sottili con uno spirito sereno, sacrale e limpido, senza veli e con un cuore imperturbato.
La cerimonia completa dura quattro ore. Nella prima parte viene servito un pasto leggero di sette portate cha-kaiseki (pasto semplice che viene allestito prima della cerimonia del tè dove solitamente viene servita una zuppa e tre contorni); a seguire viene fatto un intervallo e poi la parte vera e propria della cerimonia durante la quale viene servito il koicha, il tè più denso, e l’usucha, un tè più leggero.
Il bollitore, a seconda delle stagioni, ha una sua collocazione: in autunno e inverno esso viene posto in una buca di forma quadrata, dal nome ro, fornace, ricavata in mezzo ai tatami disposti a terra e che formano il pavimento della stanza, mentre in primavera e in estate viene collocato su un braciere, detto furo, appoggiato sopra ai tatami. La forma più lunga e complessa, denominata chaji, consiste in un pasto in stile kaiseki, nel servizio di tè denso, detto koicha e in quello di tè leggero, denominato usucha. Il termine kaiseki sta ad indicare sostanzialmente le competenze tecniche necessarie per cucinare questo pasto tradizionale che comprende tante piccole portate.
Il tè utilizzato per la cerimonia è il matcha. Esso è un tè verde polverizzato, che viene mescolato all’acqua calda con l’apposito frullino di bambù, detto chasen. La bevanda che si ottiene non è un’infusione, bensì una sospensione; ciò significa che la polvere di tè viene consumata insieme all’acqua ed è proprio per questo motivo e per il fatto che il matcha viene prodotto utilizzando germogli terminali della pianta, che tale bevanda risulta avere un notevole effetto eccitante. Esso contiene infatti una buona dose di caffeina.

A seguito dello sbattimento dell’acqua con il frullino, questo tè leggero, usucha, si ricopre di una sottile schiuma dalla tonalità verde intenso, che ricorda una pietra di giada.
Il Maestro sceglie con dovizia il suo corredo o forse si potrebbe dire che è l’oggetto a scegliere lui, in quanto ciascuno si porta dietro una storia e non ve n’è uno uguale all’altro, sia nel colore che nella forma.
Gli utensili base che vengono utilizzati durante la cerimonia del tè sono:
- la ciotola per il tè (chawan),
- il contenitore del tè (natsume),
- il frullino di bambù (chasen),
- il dosatè di bambù (chashaku),
- il bollitore (kama),
- il recipiente per lavare gli utensili (kensui),
- il fazzoletto di seta (fukusa).
La stanza del tè deve essere per sua natura sobria, semplice ed essenziale, non vi devono essere colori o musiche che turbino il ritmo delle cose e neppure un gesto che ne comprometta l’armonia. Il motivo è legato al fatto che essa è considerata la dimora della creatività, priva di attaccamenti, una sorta di dimora del vuoto, del “non-mente”; infatti al vuoto materiale deve corrispondere il vuoto mentale (consapevole e privo di preoccupazioni e attaccamenti di tipo mondano). Proprio per questo motivo nella stanza del tè si è tutti uguali, ci si deve tutti inginocchiare e attenersi alle stesse regole, inoltre tutti devono entrare disarmati. La stanza del tè viene anche considerata la dimora della pace, con l’obiettivo di diffondere l’umiltà.
Nella stanza del tè sono gli ospiti che, dando spazio alla propria sensibilità con la loro immaginazione, ne completano l’effetto di insieme.
Il Maestro del tè, ogni volta, prima di iniziare la cerimonia, fosse anche la millesima che si appresta a fare, pone innanzi a sé il chashaku, osservandolo come se fosse uno specchio, e si domanda: “Sarò all’altezza di condurre questa Cerimonia del Tè?”. Solo dopo questo grande gesto di umiltà la cerimonia può iniziare.
Vi lasciamo con i video costruito su questo articolo:
BIBLIOGRAFIA
Kakuzō O., Lo Zen e la via del tè, Lindau, Torino, 2018.
Nakamura J. V., La cerimonia del tè, Stampa Alternativa, Viterbo, 1997.
De Giorgi M., La via del tè nella spiritualità giapponese, Editrice Morcelliana, Brescia, 2007.
Kakuzō O., Lo Zen e la cerimonia del tè, Feltrinelli, Milano, 2018.
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