È indubbio che l’uomo occidentalizzato è molto diverso dagli uomini appartenenti alle antiche culture. Se non altro perché vivere in quest’era ha ottenebrato in modo molto marcato sensibilità, modi di vivere e di intendere la vita che sono quasi impensabili al giorno d’oggi.
Per l’uomo biblico, per il semita che viveva seminomade nel deserto, era normale alzarsi al mattino e dire: “Tutta la terra è piena della tua Gloria” (Is 6,3). Senza dubbio non era per lui un atteggiamento dettato da una fede sterile. Egli sentiva questa Gloria, il Kavod… La percepiva, la viveva in ogni momento ed impostava la sua vita su questo fondamento. L’uomo biblico intendeva con Kavod, Gloria per l’appunto, la Potenza immanente del Sacro, la Presenza palpabile in ogni cosa vivente e non, della Divinità.
L’essere umano è poi cambiato, i suoi sensi spirituali si sono atrofizzati o meglio, si sono sempre più assopiti. Quella Gloria è più difficile da percepire, quel rapporto con Lei più difficile da ricercare e stabilire o forse, ancora meglio, occorre sapersi mettere in ascolto e cercare oltre i molti frastuoni esteriori ed interiori per udire il sussurro di quella che ora la Tradizione ebraica chiama Shekinah.
La potenza del Kavod è divenuta la Shekinah… Essa permea tutte le cose ma è discreta, sottile come la Voce di Silenzio che si è manifestata al profeta Elia (1 Re 19,12). La Divinità non si manifestò infatti a lui in maniera roboante ed evidente ma in una leggera brezza, una voce di silenzio sottile per l’appunto. La si può udire certo, ma occorre essere attenti, occorre aver fatto pulizia di tante voci assordanti e grida e caos che ci urlano dentro e fuori.
Per incontrarla però occorre fare qualcosa di più. Come possiamo pretendere di percepire la Presenza della Divinità se il nostro mondo interiore è popolato da schemi meccanici di reazione e comportamento disfunzionali? Tali modalità automatiche di interpretazione e reazione alla vita e a ciò che ci accade ci caratterizzano così tanto che in noi non vi è spazio per accogliere altro. Inoltre generalmente, siccome costituiscono il nostro orizzonte da così tanto tempo, non conosciamo altro e vi siamo completamente identificati. Vogliamo assolutamente tenerci tutto ciò e siamo incapaci di constatare quanto siano distruttivi per noi e per chi ci sta vicino.
Prima di tutto, dunque, occorre essere determinati a vederlo, prenderne coscienza, rendersene conto; successivamente occorrerà sacrificare ogni modalità automatica, rinunciandovi consapevolmente, mettendo al loro posto modalità di funzionamento evolutive. Sacrificare infatti significa rendere sacro. È attraverso il Lavoro interiore serio e costante che avremo dunque la possibilità di rendere sacro il nostro spazio interiore e potremo cominciare ad accorgerci che attorno a noi e dentro di noi il mondo pulsa della Presenza della Shekinah.
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