
Non possiamo non stupirci ogni anno con l’avvento della primavera, osservando la forza che esprime un germoglio verde, chiaro e tenero. Dopo il periodo invernale in cui tutto era fermo e spoglio, tanto da sembrare morto, avviene questo processo, spettacolare e sacro per l’uomo che riesce a cogliere e sentire riprodurre in sé gli stessi fenomeni che avvengono nella natura.
Se proviamo a paragonare il risveglio della natura con il processo di risveglio che avviene nell’essere umano che decide di fare un vero e serio lavoro di ricerca del Sé, comprendiamo il senso del passaggio da quella che possiamo definire una morte simbolica, rappresentata dall’inverno, alla conseguente rinascita che si esprime nella primavera. Questa connessione ci aiuta a capire il motivo per cui la primavera coincide con la ricorrenza pasquale, che simboleggia la resurrezione di Gesù come esempio di come l’uomo può rinascere e rigenerarsi attraverso l’abbandono degli attaccamenti, il cambiamento delle proprie abitudini, la rinuncia al proprio ego e alle sue certezze.
Questo è ciò che ci insegna la natura in primavera, ed è ciò che cerca di trasmetterci il Vangelo in relazione al simbolismo della crocifissione e della successiva resurrezione, così come in molti altri riferimenti presenti nelle Scritture che sono legati alla natura: il seme, il fico, il grano e gli uccelli, solo per citarne alcuni.
Gesù conosceva la natura e vedeva in essa l’essere umano in divenire. Troviamo questo processo anche nel Vangelo di Tommaso, precisamente al loghion n.4.
Gesù disse: “Il vecchio, alla sua età, non esiti a interrogare il fanciullo di sette giorni sul Luogo della Vita, ed egli vivrà. Poiché molti dei primi saranno ultimi, e diventeranno Uno”. (v.Tom. 4)
Possiamo interpretare questo passo ponendoci due semplici domande:
- Il nostro vecchio modo di agire è disposto ad interrogare il fanciullo?
- Il vecchio è disposto a morire, a farsi da parte, a lasciare emergere il piccolo seme, il germoglio, perché possa diventare grande, diventare il futuro albero?
Se, come la natura che ogni anno si rinnova, anche noi siamo disposti a lasciare andare tutte le nostre convinzioni, le idee che ci hanno guidati fino ad oggi procurandoci infelicità, allora abbiamo compreso un grande insegnamento e siamo disposti a perdere per rinascere.
Chi sceglie di cambiare la propria esistenza, ogni volta che combatte con i propri istinti più bassi – e cioè quando lotta tra il si e il no, tra il bene e il male – mette in atto un cambiamento, dà ascolto al fanciullo e chiede al vecchio di farsi da parte. Questo è risorgere ed è un processo ininterrotto: ogni volta muta una parte di noi per lasciare spazio al nuovo.
Se abbiamo sperimentato anche per un attimo la differenza tra l’andare in profondità e il vivere con superficialità la nostra vita, abbiamo scoperto che esistono un prima ed un dopo. Il prima lo possiamo definire il vecchio, il dopo è il fanciullo, quella parte di noi che abbiamo cominciato da poco a riconoscere.
Il vecchio è ciò che fino ad oggi ha regolato, ha agito e imposto le regole, vivendo secondo logiche e pensieri non nostri, idee e regole trasmesse dai nostri genitori, insegnanti e ideologie sociali. Il nuovo è da sempre dentro di noi, ci accompagna in silenzio, a volte ha fatto la sua comparsa nei momenti più difficili, nelle scelte importanti: ha cercato di suggerirci qualcosa che per noi era troppo difficile da attuare, ci ha chiesto di rinunciare alle luci della ribalta, di scegliere la strada più dura, di mettere l’altro al primo posto, di imparare dalla vita, invece di volerla sempre insegnare.
Abbiamo sperimentato che vivere in superficie è un vivere incompleto, che non ci rende felici e che ci lascia un pugno di mosche tra le mani. La curiosità, il desiderare di più e il non accontentarsi, ci ha spinti a contemplare e a cercare l’Insegnamento.
È il momento dunque di interrogare “il fanciullo di sette giorni sul Luogo della Vita”. Questo passaggio richiede molta consapevolezza, significa eliminare l’orgoglio e aver compreso uno degli insegnamenti più difficili delle Sacre Scritture.
Alla domanda del giovane ricco a Gesù: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” Gesù risponde: “Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” (Mc.10,17)
Questo vendere tutto è la chiave, è il concetto sopracitato, ossia abbandonare gli attaccamenti, le convinzioni, svuotare lo zaino e partire più leggeri verso il viaggio più avventuroso ed entusiasmante che possiamo intraprendere: il viaggio dentro noi stessi.
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Grazie! Mai lettura è capitata così in sintonia e così azzeccata con il mio vivere attuale. La consapevolezza di dover lasciare andare ciò che sembra appartenermi poco oggi e il guardare avanti con nuova fiducia e nuovo nutrimento. Sono pronta? Un passo alla volta arriverà anche questa risposta.
Grazie infinite.
Ne siamo davvero molto lieti. A presto Manuela
Oggi ho letto questo articolo, questa email,capita coincide con gli interrogativi che mi pongo, quasi li abbiate ascoltati.
Quando ci si allontana da alcuni io,si ha una prospettiva diversa, anche se provano a tornare in auge, sembra come la sindrome dell’arto amputato, si avvertono comunque sensazioni anche. se l’arto ,(gli io) , non c’è più
Grazie Alessandra
Grazie Alessandra. Troviamo particolarmente azzeccata la metafora dell’arto amputato, molto interessante.
Un caro saluto