Alzò gli occhi e vide, ecco, tre uomini in piedi davanti a lui; [lì] vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò al suolo. Gen, 18.1

Ci viene narrato così il patriarca Abramo, una delle figure senza dubbio più intense, profonde, interessanti e coinvolgenti di tutta la Bibbia. La sua storia ci è raccontata nella Genesi o, per meglio dire, nel libro di Bereshit. Una lettura simbolica della sua figura ci rivela l’uomo alla ricerca costante di un senso più profondo di quello che la sua civiltà può offrirgli, con il costante desiderio di scoprire cosa si cela al di là delle vuote apparenze rappresentate simbolicamente dall’idolatria. E per questo riceve l’ingiunzione, o per meglio dire la missione, di mettersi in viaggio verso se stesso, attraverso se stesso. “Lekh lekha” gli verrà comandato dalla Divinità, ovvero “Và verso te stesso”, và per te, attraverso di te.
E Abramo si mette in viaggio e in questo viaggio avventuroso incontrerà altre persone e altri viaggiatori come lui, in cammino. E non sarà mai stanco di accoglierli, di capirli, di comprenderli e di mostrare loro che è possibile un’altra concezione di se stessi e del mondo, che è possibile vivere in un modo più profondo, più felice, più vero, più vicino alla Divinità.
Nella Torah e nel Midrash ci viene raccontato che la tenda di Abramo era sempre aperta sui quattro lati per poter accogliere ed ospitare. In Gen, 18.19 troviamo:
[…] Poiché lo amo, in quanto istruisce i suoi figli e la sua casa dopo di lui ad osservare la via di Dio, agendo con rettitudine e giustizia, affinché Dio realizzi con Avrahàm ciò che ha detto nei suoi riguardi.
Ecco perché la Tradizione ebraica ritiene il patriarca Abramo la personificazione, il simbolo del Chesed. Tale termine in ebraico è ricchissimo di sfumature e di una profondità che le traduzioni non sono in grado di rendere completamente. Viene infatti tradotto molte volte con amore, carità, misericordia… tutti termini non adeguati e che, purtroppo, risentono di influenze culturali religiose che li connotano subito in un ambito da “catechismo” che non rendono giustizia al suo significato originario.
Forse la traduzione che più si avvicina alla reale profondità del Chesed è il termine benevolenza, cioè quell’atteggiamento di buona disposizione, attenzione verso il prossimo e sincero interesse che può essere riassunto in una parola sola: Servizio.
Abramo incarna tale disposizione d’animo e ne simboleggia le azioni che da essa scaturiscono. Noto è infatti, ad esempio, l’episodio in cui il patriarca intercede con la Divinità che ha deciso la distruzione della città di Sodoma, affinché i suoi abitanti possano essere risparmiati. Non si conosce generalmente tale episodio come una testimonianza di Chesed, né i vari episodi della vita di Abramo sono associati ad esso perché si tratta di attitudini interiori che non appartengono alla nostra cultura; è bene invece sapere che tutti gli episodi narrati mettono in luce e sottolineano come la benevolenza, e dunque il Servizio verso il prossimo, sia una delle qualità più alte ed importanti che possono essere coltivate. Si tratta, infatti, di uno strumento poco conosciuto, ma col potenziale di trasformare le relazioni tra le persone e all’interno della società, portando di conseguenza salute mentale, benessere, coesione. La disposizione interiore alla benevolenza dunque, intenzionalmente ricercata e sperimentata, avrebbe una portata tale da essere veramente rivoluzionaria.
Il Chesed è tale solo se sempre disinteressato, non ha mai un secondo fine. Non vi può essere benevolenza se l’intenzione non è “pura”, se vi è un interesse egoistico, se vi è necessità di un ritorno personale di qualche tipo, se al centro non vi è totalmente il prossimo. Il Chesed è dono totalmente libero. È la forma di Amore più alta che l’essere umano possa coltivare, sperimentare e trasmettere ma allo stesso tempo non è facile da raggiungere, in quanto richiede la rinuncia alla propria volontà per mettersi al servizio di qualcosa di superiore.
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