Un recente studio ha portato alla luce la vita di un personaggio straordinario ma poco conosciuto: si tratta di Abraham Maimonide, unico figlio di Moshè Maimonide, personaggio decisamente più noto e autore della Guida dei Perplessi, uno dei testi più importanti della filosofia ebraica del 1200.

Ma chi è Abraham e perché vale la pena soffermarsi sulla sua figura?
Certo Abraham Maimonide colpisce per la sua tenacia e il suo spiccato senso umano, di grande esempio e conforto per coloro che lo frequentavano; le testimonianze lasciate dai suoi contemporanei lo descrivono come una personalità amabile, padre degli orfani e delle vedove, con un atteggiamento sobrio, improntato su di un umanesimo laico e allo stesso tempo di fervente religiosità. Ciò che però maggiormente ci interessa dell’operato di questo personaggio carismatico sono gli aspetti nodali, che vedremo tra poco, relativi al messaggio originale dell’ebraismo, che ha tentato di mantenere vivi durante tutta la sua vita come imprescindibili e che risuonano appieno con i principi di una Scuola esoterica che si possa definire tale.
Prima però partiamo da una breve introduzione storica per meglio comprendere il contesto in cui opera Abraham. Abraham Maimonide visse in Egitto da cui osservava con dispiacere quello che era un periodo storico molto difficile per la storia dell’ebraismo, in particolare in Francia, dove la Chiesa cattolica, aveva da tempo adottato verso gli ebrei un approccio persecutorio, affiancato ad una linea conversionistica impattante, ritenendo le idee della Torah orale eretiche e pericolose per i cristiani. A ciò si aggiungeva la corruzione degli ebrei in Provenza, tra i quali spiccavano alcuni rabbini tradizionalisti, che colludevano con gli inquisitori domenicani nel denunciare alcune tendenze filosofiche dell’ebraismo, da loro stessi considerate rischiose per la fede ebraica: unico testo ammesso era la Torah scritta, banditi quindi come deviazione ereticale tutti i commenti e le interpretazioni orali talmudiche. Abraham Maimonide denunciò più volte duramente tale corruzione, intravedendo alla base una deviazione profonda dall’Insegnamento originario dell’ebraismo.
Più tardi, nonostante i suoi tentativi di mediazione, nel 1233 Abraham “vide” andare al rogo a Montpellier, ad opera della Chiesa cattolica francese, tutte le copie trovate della Guida dei Perlessi del padre; qualche anno dopo la sua morte, poi, tra il 1242 e il 1319 andarono alle fiamme ben 42 carri pieni di manoscritti, testi talmuduci e tutti i commenti di Rashì, con tanto di Bolla papale che incitava a ricercare i testi scampati al rogo. Meir ben Baruk, rabbino tedesco del tempo, paragonò la quasi totale distruzione dei testi sacri in Francia alla distruzione del Tempio di Gerusalemme.

In questo clima di tensione, Abraham, eletto successore del padre e nuovo Nagid o guida spirituale, iniziò ad occuparsi della gestione della comunità ebraica in Egitto, senza trascurare la sua professione principale, quella di medico di Al-Fustat, attuale Il Cairo: qui si concretizzò la tenacia del nuovo Nagid che, nonostante fosse oberato di impegni, coltivava il desiderio profondo di recuperare l’Insegnamento originario dell’ebraismo. Da tempo aveva individuato nei Sufi islamici i discepoli spirituali dei profeti di Israele per cui aveva fondato un movimento, inizialmente “sotterraneo” poi di maggiore diffusione, che si ispirava al Sufismo nei riti e nella preghiera; Abraham sosteneva che gli islamici avevano, a differenza degli ebrei, conservato le pratiche originarie della tradizione comune da cui ebraismo e islamismo discendevano, pratiche che andavano recuperate per la salvezza spirituale del popolo ebraico.
Sorse così il Pietismo, ha-sidut, di cui Abraham fu il principale rappresentante, audace nel proporre una riforma che vide introdurre aspetti della vita religiosa islamica all’interno della pratica devozionale ebraica e produrre come effetto la rivitalizzazione del culto ebraico e il risveglio spirituale dopo l’esilio. L’interazione tra le due culture portò ad una forma di simbiosi tra mussulmani ed ebrei tanto che il Pietismo ebraico in Egitto veniva visto come Sufismo ebraico per la somiglianza col Sufismo islamico. Agli esponenti principali dell’ebraismo ortodosso in Egitto, che accusavano il Nagid di becera imitazione di una cultura esterna, Abraham rispondeva che i figli di Ismaele avevano costruito le loro fondamenta sulla fede monoteistica dei figli di Israele per cui era semmai corretto affermare che era la fede islamica a derivare dalla fede ebraica e non viceversa. Il Nagid lottò con tenacia fino alla fine per confutare le accuse di appropriazione religiosa e legittimare il movimento pietista poiché credeva che solo questo avrebbe potuto risvegliare nei fedeli il valore dell’Insegnamento originario.
Fine prima parte (pubblicazione della seconda parte: 11/10/2025)
Bibliografia:
E. Russ-Fishbane, Judaism,Sufism and the Pietists of Medieval Egypt. A Study of Abraham Maimonides and His Times, Oxford University Press, Oxford, 2015.
M. Perani, Dizionario storico dell’inquisizione, Edizioni della Normale, Pisa, 2010, pag. 319-323.
Per non perdere i nostri aggiornamenti settimanali, iscriviti alla newsletter. Tutti i nostri contenuti ed eventi sono e saranno sempre gratuiti.
Ascolta l’articolo in formato podcast:

