Il cinguettio più stonato che ci sia: la maldicenza | Pillole di ebraismo

La capacità di comunicare ci garantisce di interagire con gli altri, condividere informazioni, sviluppare relazioni, creare reti, scambi e reciprocità; tutto ciò costituisce di per sé un potenziale molto alto che, se ben espresso, può portare a risultati sorprendenti su più fronti, da quello affettivo a quello professionale.

Tuttavia, spesso trascuriamo un aspetto fondamentale: non solo come comunichiamo, ma soprattutto qual è il vero scopo della comunicazione in determinati contesti e quali conseguenze ne derivano. Sappiamo ad esempio quale sia il veleno principale dei nostri quotidiani scambi con gli altri?

Di cosa si tratta? Si tratta della maldicenza, una forma particolare di scambio molto diffusa in cui a volte ci si trova coinvolti in modo più o meno consapevole, spesso irresistibile quando accompagnata dal ghigno, che produce discorsi malevoli e denigratori a danno della reputazione dei destinatari. È certamente qualcosa di molto comune che fa parte della nostra cultura per cui può essere difficile rendersene conto da soli.

Chiariamo allora subito un punto fondamentale: la maldicenza non riguarda il riferire cose non vere, che in quel caso si chiama calunnia, bensì letteralmente il dire male di qualcuno, cioè il parlare di qualcuno con altre persone riportando fatti ed aspetti reali che riguardano la persona in oggetto… un atteggiamento ostile a tutti gli effetti che investe inesorabilmente il prossimo.

A tal proposito la Tradizione ebraica parte da un assunto ben preciso, ovvero che la maldicenza, in ebraico lashòn harà, è il peccato più grave in quanto sostanzialmente irrimediabile e può letteralmente uccidere una persona, per questo è equiparabile all’omicidio. Tutto ciò può sembrare esagerato di primo acchito, ma una storiella chassidica ci aiuta a coglierne un senso un po’ più sottile che apre le porte ad un nuovo modo di pensare.

“Un uomo andava in giro per il villaggio raccontando bugie ingiuriose sul conto del suo Maestro. Un giorno, sentendosi in colpa, andò dal Maestro e lo pregò di perdonarlo, dicendogli che avrebbe fatto qualsiasi tipo di ammenda che questi gli avesse assegnato.

Il rabbino disse all’uomo: “Prendi un cuscino di piume, taglialo, aprilo e disperdine le piume al vento”.

L’uomo fece come gli aveva ordinato il rabbino. Poi tornò da lui e riferì che aveva obbedito al suo comando.

Il rabbino disse: “Devi fare ancora una cosa: ora raccogli le piume e rimettile tutte nel cuscino”. L’uomo a questo punto capì che non c’era ammenda per il danno che le sue parole avevano provocato, proprio come era ormai impossibile raccogliere le piume disperse al vento”.

Vi ispira qualcosa questo breve racconto?

Secondo l’ebraismo la maldicenza non è un’innocente chiacchiera leggera, ma un cinguettio che non si riesce a tenere a freno di cui si è responsabili anche se si è solo spettatori; come le piume al vento, infatti, le parole si diffondono in modo incontrollato e irreperibile. Nella maggior parte dei casi, inoltre, le parole che “viaggiano” di bocca in bocca si arricchiscono di tratti menzogneri che contribuiscono ulteriormente a diffamare la persona, che si ritrova irrimediabilmente lesa.

La maldicenza, dunque, è un esempio di come si può usare la parola in modo distruttivo; un Midrash (1) la paragona ad una freccia che parte e che non si può più frenare anche se ci si pente subito dopo, perché non si può evitare che arrivi a destinazione.

Un secondo aspetto che riguarda la maldicenza è forse quello meno considerato, perché più nascosto e per questo può sorprendere; fermiamoci allora un attimo a riflettere e poniamoci seriamente una domanda: posto che la maldicenza lede chi ne è destinatario, può considerarsi al sicuro chi la fa? La risposta è no!

Fare maldicenza è infatti un atteggiamento interiore che diventa gradualmente una malattia dello spirito; si tratta di una modalità operativa che, se non gli si pone la giusta attenzione, si radica sempre di più in modo incontrollato. Così, nel giro di poco, diventa un’abitudine che crea alleanze sinistre nelle relazioni e genera un tipo di energia decisamente pesante. È una vera e propria trappola nella quale a volte, quando compare la consapevolezza di esserne attanagliati, è molto difficile uscirne.

Come fare allora?

Mosé Maimonide, grande rabbino e filosofo del 1100 d.C., ammoniva continuamente la sua gente affinché non cadesse nella maldicenza. Riunito tra i suoi adepti, egli diceva che, in genere, le persone che la praticano sono solite parlare tanto e spesso solo di stupidaggini, per cui arriva un momento in cui andare avanti così non reca più abbastanza soddisfazione. Si inizia così a parlare male delle persone e in particolare dei Giusti, perché c’è più gusto a criticare una persona retta, fino ad arrivare a parlare male dell’Insegnamento. La soluzione decisamente pratica, che Maimonide suggeriva, era quella di non parlare di stupidaggini, ma dedicarsi solo alle cose importanti per non correre il rischio di degenerare in modo incontrollato.

Non si tratta di adottare una serietà bacchettona o di evitare completamente i momenti di svago; il punto è che la chiacchiera frivola fatta per riempire il tempo o il vuoto, molto spesso, rischia di far abbassare il livello della nostra coscienza. Questo stato di meccanicità apre le porte ad una grande mancanza di presenza che può finire per sfociare nella maldicenza. Un percorso interiore serio inoltre, non può prescindere dall’attenzione e dal rispetto del prossimo, anche e soprattutto nelle piccole cose quotidiane di tutti i giorni.

Cosa ne dite: è questo un esercizio di presenza che possiamo provare a fare?

Mentre vi lasciamo alle vostre riflessioni in merito, ci accostiamo ancora una volta alle sagge parole di un Midrash secondo cui l’uomo ci mette due anni per imparare a parlare e settanta per provare a smettere: è necessario quindi prestare attenzione all’uso della parola, che è certamente fondamentale perché costitutiva della natura umana e rende nobili se ben usata poiché, come la Tradizione ebraica insegna, il trattenersi dalla maldicenza è paragonabile al rispetto dell’intera Torà.


Bibliografia:

  • D. Taub, ABC per conoscere l’ebraismo, San Paolo Edizioni, Alba (CN), 2008.
  • AAVV, Il Midrash racconta. Libro di Vayikrà. Parte I, Edizioni Mamash, Milano, 2012.

(1) Il Midrash è un metodo di esegesi biblica della Tradizione ebraica, dal verbo darash che significa cercare con passione.

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