Il giorno della memoria… di sé

Non so voi ma io sono un po’ stanco delle solite ricorrenze. Vi prego, non fraintendetemi subito, non è certamente mia intenzione screditare il significato di certe commemorazioni nate con l’intento di ricordare all’uomo di quali bestialità sia capace. Il problema è che reputo illusoria la convinzione che possano servire per prevenirne delle altre.

Quando una pentola a pressione improvvisamente ed inaspettatamente scoppia, non è certamente tutta colpa del caso, né della pentola, né di chi l’ha costruita, né del vapore, né del fuoco, né di chi l’ha acceso. Certo, sarebbe molto più facile identificare ed isolare un unico elemento per condannarlo e scagionare così tutto il resto, primo fra tutti la propria responsabilità in gioco. In effetti è quello che generalmente accade.

Ma la banalità a me non interessa, e sono più propenso a pensare che le vere cause scatenanti di uno scandalo siano da ricercarsi nella somma di tante piccole cose, che vedono ciascuno di noi partecipe in prima persona.

Potremmo infatti discutere di storia e di politica per giorni interi, ma quello che mi preme non è stabilire con precisione le date, i nomi e i passaggi storici che conducono alle tragedie, bensì  osservare nel profondo dell’essere umano quello che accade, che è sempre accaduto e che, presumibilmente, potrebbe accadere.

C’è un odore di ipocrisia nell’aria quando si assiste alle cerimonie commemorative, con tutte quelle facce serie, tristi, afflitte dalla rievocazione di eventi che, in molti casi, non hanno nemmeno vissuto direttamente. L’impressione è che si stia recitando un copione.

A volte mi verrebbe voglia di buttarmi tragicomicamente nella mischia schiaffeggiando qualcuno a random per poi rivolgermi alla massa con tono solenne come ad un cavaliere durante l’investitura: “affinché non dimentichiate!”. E poi? Il giorno dopo? È probabile che sia io che loro riprenderemmo il solito tran tran esattamente come due giorni prima.

Certamente si terranno gli occhi ben aperti per non compiere più discriminazioni verso una certa etnia, a parte ovviamente quegli zingari sotto casa, quei libici che sbarcano dai gommoni e quei musulmani che ci vorrebbero bombardare (meno male che ci pensiamo prima noi). In tutti questi casi si tratta infatti di scienza antropologica che non ha nulla a che vedere con i più bassi pregiudizi razziali!

Ah, dimenticavo di aggiungere alle eccezioni anche quegli untori degli evasori fiscali italiani, il vero male del nostro tempo, è tutta colpa loro se il mondo è sull’orlo di un precipizio economico (ricordo ancora con odio il viso soddisfatto e truffaldino di quella fruttivendola che tredici anni fa non mi fece lo scontrino di settemila lire; oggi il suo negozio è chiuso, non è riuscita a sostenere la crisi, ben le sta, il karma è karma, in parte è anche colpa sua se non riuscirò a comprarmi l’ultimo modello di iPhone).

Ecco, al di là di queste “insignificanti” eccezioni sono fiducioso che la civiltà umana abbia fatto realmente esperienza degli errori commessi in passato, e che un altro olocausto non si ripresenterà più, mai più. Saranno banditi per sempre i simboli come la svastica e il fascio e le strutture dei campi di concentramento, e il futuro dell’umanità sarà protetto per sempre.

Ed ogni qual volta si riaffaccerà il timore di qualcuno con la faccia brutta e la voce inquietante (non sto parlando del Papa), non avremo di che preoccuparci, perché i nostri paladini della democrazia saranno subito pronti per una guerra santa, benedetta dal petrolio consacrato. Tutte le stragi di innocenti, le città distrutte e le ingiustizie commesse, fanno purtroppo parte dei sacrifici necessari in virtù di un futuro più prospero. E poi, diciamocelo, tutti i resoconti di guerra raccontati attraverso il tecnologico orifizio divino – il televisore – movimentano anche un po’ la nostra noiosa quotidianità.

Non sono infatti molto soddisfatto della vita che conduco. Nonostante non mi manchi nulla, tutto intorno a me mi fa desiderare molto di più. Ma sapere che molte altre persone nel mondo stanno decisamente peggio di me, un po’ seda la mia avida smania.

Ma qualcosina sta cambiando, e passo dopo passo si sta attenuando quel profondo abisso che separava il nostro primo mondo dall’altro terzo mondo, e ci stiamo tutti insieme avvicinando verso un unico secondo mondo. La differenza diminuisce e la tensione aumenta, ma lentamente, silenziosamente.

Quando tutto questo sarà evidente, quando ogni speranza di ulteriore crescita economica sarà svanita, cosa potrà contenere la belva che è in noi? La necessità psicologica di un capro espiatorio su cui riversare la rabbia rimarrà l’unico scopo di vita, e allora saranno guai per le nuove figure demonizzate (siano essi politici, stranieri, evasori fiscali, vecchi, donne o bambini).

E di una cosa potremo star certi: continueremo a commemorare le stragi del passato, magari a fianco di nuovi ghetti (sociali o psicologici). L’importante sarà cambiare i nomi, le forme, dare significati diversi. Checché se ne dica… è l’abito che fa il monaco. Quello che si nasconde dietro il saio, non solo non interessa quasi a nessuno, ma spaventa a morte.

E sapete perché ci spaventa? Perché impone di guardarci allo specchio, senza troppi alibi, senza falsi moralismi, toccando con mano che i cicli della storia umana, così come i cicli nella nostra vita, si ripetono sempre, anche se ogni volta sono dipinti con colori più tenui, artisticamente (ed astutamente) più belli, più puri.

Perché guardarci allo specchio non ci impone solo il ricordo di una serie di tragici fatti passati, ma la visione chiara di noi stessi, della nostra personalissima responsabilità in gioco all’interno del sistema mondo

Ma solo così il Giorno della Memoria potrà diventare il Giorno della Memoria di Sé, e solo da quel momento tutti gli accadimenti passati potranno divenire reale esperienza, aprendo le porte ad una reale crescita, una reale maturazione, non certo economica ma interiore e, quindi, decisamente più preziosa.

Non vi è infatti nessuna differenza di valore tra un piccolo evento e un evento di proporzioni mondiali, tra i nostri piccoli razzismi e i grandi olocausti, anzi i primi sono proprio il seme che conduce inesorabilmente ai secondi. Esattamente come quando ci si lamenta del magna magna generale, e poi dietro l’angolo ci si mette in tasca qualche euro approfittando indebitamente di una situazione (“ma si, cosa vuoi che sia, certo mi comporterei diversamente se si parlasse di grandi somme di denaro”, pia illusione!)

Quando avremo il coraggio di riconoscere che nessun dittatore o mostro della storia si è mai seduto a tavolino pensando: “da oggi perseguirò solo il male e farò soffrire migliaia di persone”, ma è sempre stato mosso da avide ambizioni ricoperte di celestiali propositi; quando avremo la forza di accettare il fatto che tutti i malvagi della storia sono stati (o sono) esseri umani esattamente come noi, e che ciò che li ha “ispirati” è qualcosa che vive potenzialmente dentro ciascuno di noi, ecco, solo allora il Giorno della Memoria di Sé potrà dare i suoi frutti.

Per non dimenticare… che ciascuno di noi è protagonista e non spettatore di questa realtà, e che un nuovo mondo può nascere solo dalle nostre piccole scelte quotidiane e crescere solo con i nostri piccoli gesti. Sì, proprio quelli più banali a cui comunemente non diamo peso, spesso compiuti lontano dagli sguardi altrui, e che spesso accompagniamo dal pensiero: “ma si, cosa vuoi che sia, non sarà certo questo a cambiare le cose…”.

Le Fou

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