I Dieci Comandamenti smascherati: quinto

Onora tuo padre e tua madre, affinché si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che Hashèm [1] il tuo Dio ti concede.

(Es 20,12)

Di primo acchito non è certamente facile pensare a queste parole in un modo diverso da quello a cui siamo abituati a pensare, inzuppati di discorsi moralistici che fanno leva sul senso del dovere; tuttavia, se mossi dalla curiosità di scoprire qualcosa di nuovo, ci si addentra un po’ nella comprensione della quinta Parola, si viene immediatamente ripagati dello sforzo compiuto.

Procediamo dunque per gradi partendo dal fulcro della questione, che è il verbo onorare che apre la quinta parola; in ebraico esso corrisponde alla parola kabed o kaved, che significa essere pesante, peso, moltitudine.

Da qui si evince una traduzione letterale che equivale a dire: “Rendi pesanti tuo padre e tua madre, affinché si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che Hashèm il tuo Dio ti concede”. Cosa significa rendere pesanti il proprio padre e la propria madre? Ebbene si tratta di un invito che il testo sacro in qualche modo cela ai nostri occhi, ma non può sfuggire all’attento ricercatore che ha scelto di togliersi dagli occhi stessi i veli dell’ignoranza.

Scendendo più nel dettaglio, dunque, scopriamo che si tratta di dare loro il giusto peso, di pesarli bene, pesare ovvero valutare con cura le loro azioni, affinché possa svelarsi a noi quello che realmente sono e di cui si fanno portatori; è questa la via per prendere coscienza degli aspetti interiori, spesso spigolosi, che vengono tramandati di generazione in generazione nell’atto educativo e che vanno a costituire quel “testimone” di cui bisogna liberarsi per essere realmente degli individui liberi.

È evidente che, se si portano con sé determinati pesi irrisolti o incompresi, non è possibile vivere la propria vita con serenità e, soprattutto, non è possibile vivere realmente la propria vita perché si sarà profondamente condizionati. La Parola ci esorta dunque a pesare bene l’eredità dei nostri genitori: i loro limiti e meccanismi, cioè modalità di comportamento e reazione di cui non siamo consapevoli, che ereditiamo e che ci ostacolano nella possibilità di svilupparci pienamente compiendo il viaggio che siamo chiamati a fare.

Nella Tradizione ebraica ciò si inserisce pienamente nel concetto di rapporto di “filiazione” secondo cui la responsabilità del genitore non è solo quella di occuparsi del sostentamento o dell’istruzione, ma quella di fare in modo che sia libero dall’eredità, per poi poter intraprendere il suo viaggio… esattamente come fa il patriarca Abramo quando, esortato dalla divinità, parte lasciandosi alle spalle la famiglia d’origine per andare verso se stesso!

Per far questo è necessario dunque “liberarsi” su due fronti: bisogna liberarsi come figli, rompendo le catene dei pesi che vengono trasmessi, poiché diversamente non solo non si sarà liberi, ma si amplificheranno i meccanismi che diventeranno macigni per i figli; bisogna liberarsi come genitori, divenendo consapevoli di avere il dovere di lavorare su se stessi per non passare l’eredità della pesantezza ai propri figli, quindi alleggerirli così che essi avranno meno fardelli di cui doversi liberare. E’ uno splendido servizio per se stessi e per l’altro.

Un ultimo spunto interessante è quello che fornisce Marc Alain Ouaknin, rabbino e filosofo francese, che mette in relazione le parole maledire e alleggerire, a partire dal fatto che hanno in ebraico la stessa radice.

Con il termine “alleggerire” intende il contrario di appesantire, di rendere pesanti padre e madre, dunque vivere con superficialità e frivolezza. A tale atteggiamento corrisponde il “maledire”, ovvero il fatto che vivere in questo modo, peccando di leggerezza verso il proprio dovere di figlio e genitore, costituisce una maledizione per se stessi e per le generazioni a venire, per le implicazioni che abbiamo visto appena prima. Qui si trova il senso della seconda parte della quinta Parola, laddove asserisce che si prolungheranno i giorni che la Divinità concede sulla terra onorando il padre e la madre, ovvero cercando di divenire consapevoli degli schemi comportamentali non evolutivi e spesso fonte di sofferenza che si tramandano di generazione in generazione. Non si tratta di un premio o di una punizione ma di un fatto tecnico: non si può vivere realmente se si è vissuti da modelli comportamentali automatici che non abbiamo scelto, ma che abbiamo appreso nei primi anni della nostra vita.

Concludiamo allora sentendo di poter affermare che la vita deve essere una continua conquista di leggerezza, ma non di frivolezza, cosa che non deve essere confusa con la prima! Si tratta di una leggerezza che è liberazione dai pesi interiori nostri ed altrui, una conquista individuale e collettiva nel percorso che ognuno ha la possibilità di percorrere.


[1] Ricordiamo che per la Tradizione ebraica il Nome della Divinità è impronunciabile e, quando deve essere trascritto, si ricorre a dei sostitutivi uno dei quali è Hashem che significa semplicemente “il Nome”.


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