Pillole di ebraismo: Avodah

Dopo Leck Leckà, il secondo appuntamento con le nostre pillole di ebraismo ci porta a vedere da vicino che cosa sia l’Avodah, termine ebraico la cui radice significa lavoro, fatica, servizio. Tali termini sono sicuramente famigliari al ricercatore curioso che ha già appreso che lavoro e fatica corrispondono ad uno sforzo consapevole e costante di indagine interiore attraverso il quale si punta il faro sui propri limiti e maschere, per liberarsi delle sovrastrutture che sono tanto inutili quanto ostacolanti.


Il temine Avodah è tanto importante nella Tradizione ebraica che il Pirqè Avot o Massime dei Padri, un trattato del Talmud che raccoglie insegnamenti rabbinici tra i più antichi della storia, si apre con il detto di Shim‘òn il Giusto: Il mondo si fonda su tre cose: sulla Torah, sull’avodah e sulle opere di misericordia.


È utile dedicare un attimo di tempo per approfondire la questione; questi tre elementi sono secondo la Tradizione ebraica alla base e condizione necessaria per l’evoluzione dell’essere umano e non a caso sono presentati in quell’ordine: Torah, avodah, opere. Infatti la Torah (i primi cinque libri della Bibbia) rappresenta lo studio e il confronto con l’Insegnamento che dà struttura e senso all’esistenza. Avodah rappresenta il lavoro su se stessi che si può compiere in maniera efficace solo se si ha a disposizione un Insegnamento e le opere di misericordia rappresentano le azioni con cui si concretizza il lavoro su se stessi facendo qualcosa per gli altri senza aspettarsi una ricompensa.


Si tratta di una triade i cui punti saldi sono strettamente interconnessi, la cui presenza di uno giustifica e vincola l’esistenza dell’altro; il ricercatore che si approccia a comprendere qualcosa in più di sé deve compiere l’Avodah, ovvero un lavoro su se stesso atto a ripulirsi attraverso una vera e propria opera alchemica di trasformazione interiore grazie al bisturi dell’Insegnamento. Secondo l’ebraismo l’insegnamento della Torah è imprescindibile per un consistente lavoro su di sé che destruttura la sovrastrutture apprese nel tempo e apre all’intelligenza del cuore.


A tal proposito una storia chassidica racconta di come a Rabbi Mendel di Kotzk un visitatore chiese spiegazioni circa un giovane che passava tutti i suoi giorni immerso in una preghiera intensa e sincera. Il visitatore obiettava: “Non dovrebbe fare qualcosa? Sicuramente potrebbe fare qualche lavoro!”. Il Rebbe replicò prontamente: “Ma non vedi quanto lavora duramente? Sta scavando un foro nel suo cuore!”. Così Rabbi Mendel di Kotzk fece intendere che essere un chassid voleva dire lavorare su se stessi.


Avodah è lavoro interiore, è servizio divino che ogni ricercatore compie nel momento in cui prepara se stesso ad accogliere qualcosa di nuovo da donare poi agli altri.


Avodah è forare il cuore, attraversarsi interiormente, svuotarsi faticosamente per poi riempirsi della gioia della Torah, insegnamento e salvezza con cui danzare in armonia con le leggi divine.

Bibliografia:

Cipriani H. F., Voce di silenzio sottile, Giuntina, Milano, 2013.
Pirkè Avòt, Lezioni dei Padri, Morashà, Milano, 1996

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2 risposte a "Pillole di ebraismo: Avodah"

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  1. Grazie x i vostri articoli
    Sono degli ottimi promemoria, questo lavoro mi aiuta molto, è stato come trovare la strada giusta da seguire ,ora so che c’è una possibilità di una vita più autentica, grazie

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