Il Goloso consapevole – Chi si accontenta… soffre!

Introduzione

Tutti sanno che i Vizi (o Peccati) Capitali sono saldamente legati alla Tradizione Cristiana, giusto? Eppure… perché Gesù non ne parla e non se ne trova traccia nei quattro vangeli canonici?

Come sempre, diamo per scontate moltissime cose apprese per assimilazione passiva, ma molte di queste potrebbero rivelarsi diverse dalle nostre certezze.

Ad esempio, i termini vizi e peccati sono una formulazione piuttosto recente. In origine, a partire dalle scuole esoteriche babilonesi per passare da successive elaborazioni dei saggi dell’antica Grecia, si parlava piuttosto di ostacoli all’evoluzione.

Tradizionalmente non c’era quindi spazio per ansie o inutili sensi di colpa tanto cari alla nostra cultura attuale. E così dovrebbe essere.

I Vizi Capitali dunque – continueremo a chiamarli in questo modo per familiarità concettuale – sono aspetti della natura umana (che per il vero in antichità erano nove e solo in seguito sono stati accorpati a sette) noti ben prima dell’avvento del Cristianesimo.

In passato non erano correlati alla mitologia del peccato originale, e venivano quindi osservati e studiati nella loro forma di sottili dinamiche interiori che tendono a soffocare l’espansione della coscienza, in altre parole la vitalità dell’anima.

L’obiettivo dichiarato era – ed è – prenderne innanzitutto consapevolezza, non solo del modo in cui si esprimono ma anche nel modo in cui ci influenzano la vita e ci tengono quindi prigionieri in un determinato e limitato stato di coscienza. Insomma, capire come fanno a trasformare qualsiasi super-eroe in personaggi schiavi di se stessi.

Offriremo ora qualche breve stimolo di riflessione, provando a dar voce ai diretti interessati. Benvenuti nel mondo della gola.

A tu per tu con il goloso consapevole

Il mio vantaggio è che tutto sommato suscito benevolenza e simpatia, perché ho imparato a godermi la vita, e i goderecci portano leggerezza e spensieratezza. Non faccio nulla di male a nessuno, anzi, condivido volentieri le mie passioni.

Non è comunque solo a tavola che esprimo la mia illimitata fame. Tutto ciò di cui posso nutrirmi mi attira e stimola in me una deriva sfrenata e una dipendenza compulsiva: bere, leggere, assumere sostanze di vario tipo, eccetera.

Voglio gustare pienamente la vita, anche a costo di corrodere la mia salute degenerando in voracità distruttiva. Saltuariamente la malattia mi bussa alla porta, ma io me ne curo solo il tempo necessario a richiudere la porta per tornare al più presto a mangiare qualcosa.

Le mie abitudini alimentari, la mia dieta, riflettono il mio stato interiore e il mio approccio profondo verso l’esistenza. Voglio tutto! Il cibo, così come ogni altra forma di nutrimento, è solo un modo per prendermi cura di me, un modo per volermi bene. Non chiedo altro che compagnia, conforto, dolcezza, rassicurazione, calore, benessere, amore. Non trovandoli nel rapporto con gli altri – perché non sono capace a cercarli e a coltivarli – li cerco da me, così posso fare di testa mia e decidere in totale indipendenza su ogni cosa.

Quello che gli altri vedono, una dipendenza da qualche sostanza, non è altro che un bisogno di affetto che nessuno è in grado di darmi. Non esagero nel dichiarare che cerco Dio attraverso i frutti che ci ha donato.

Qualcuno pensa che io ho perso il reale gusto di mangiare, di assaporare, perdendomi in cibo vuoto e riempitivo. Ma se anche fosse che importa? La mia, d’altronde, è una forma di meditazione in cui perdo il senso di me stesso per unirmi a Dio. O, almeno, così mi sembra…

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