
Spesso ci avviciniamo al cibo per motivi che sono oscuri alla nostra mente, e che non sono legati alla fame che possiamo avere in quel momento; facciamo questo magari perchè vogliamo a tutti i costi esprimere uno stato d’animo, dimostrare qualcosa a qualcuno, controllare o reprimere qualcosa che in quel momento ci rende tristi oppure evitare un argomento che riguarda noi stessi e che ci teniamo stretto dentro.
Spesso ci sentiamo talmente inutili e impotenti nell’affrontare la nostra vita a tal punto che per raccontare al mondo qualcosa di noi, che ci rode dentro, utilizziamo un messaggio che per forza di cose è visibile alle persone che ci circondano, ovvero il “mangiare”, l’abbuffarsi. Questa forma che utilizziamo attira l’attenzione delle persone che ci circondano, e a volte se qualcuno è più attento riesce a capire perchè si sta comportando così.
Esiste un detto talmudico: si può giudicare il carattere di una persona dalla “sua coppa, la sua tasca e la sua collera” (in ebraico: kosso, kisso e ka’aso). Chiara allusione a tre sfere principali di scambio che avvengono tra esseri umani e universo.
La coppa sta ad indicare le bevande e il cibo e in sostanza lo scambio che avviene tra l’essere umano e l’universo. La tasca simboleggia il denaro ovvero il rapporto di potere che abbiamo con il mondo. La collera identifica il metodo da noi utilizzato nell’affrontare emozioni negative.
Spesso queste sfere entrano in conflitto tra di loro e si sovrappongono, causando disfunzioni nell’essere umano.
I rabbini a tal proposito hanno inserito delle “diete” che non sono vere e proprie restrizioni alimentari ma sono basate su concezioni olistiche dove vengono considerati obesi coloro che avvertono un disagio nel rapportarsi con il cibo e la salute, andando a toccare il piano fisico, emotivo, sociale e spirituale.
La parola qabbalah significa “ricezione”. Secondo la tradizioni ebraica è molto importante capire il significato di “ricevere” e metterlo in pratica a tal punto che il concretizzare è considerato sacro e deve essere applicato e perfezionato durante tutto l’arco della vita.
Ricevere vuol dire instaurare un rapporto diretto con la natura e la terra in cui viviamo, non significa quindi trarre ricavo da qualcosa ma, scambiare qualcosa.
La difficoltà maggiore sta nel ricevere. Spesso non siamo in grado di accogliere ciò che ci viene dato. Non saremo in grado di ricevere fino a quando non avremo imparato a dare, a tal proposito si deve instaurare un rapporto di scambio con l’universo che è intorno a noi e che a sua volta ricevendo farà si che avvenga il nostro inserimento all’interno della catena ecologica che ci nutre e ci mantiene in vita.
Una volta l’uomo si nutriva mediante l’uso dell’istinto. La società moderna, ha fatto sì che gli uomini si aprissero ad altri stati di coscienza che hanno così inibito l’istinto.
Lo stato di consapevolezza oggi, ci fa scegliere quale tipo di cibo è più adatto a noi e quale si confà di più al nostro modo di vita. Questo nuovo modo di vivere ha portato l’umanità ad un grosso mutamento che ha modificato l’approccio uomo cibo e suo nutrimento. La società oggi è in grado di veicolarci nella scelta di un cibo e noi utilizzando la coscienza al posto dell’istinto lo acquistiamo con le migliori intenzioni che esso possa far bene all’organismo anche se a volte non è proprio vero.
In un mondo dove il consumismo ha preso il sopravvento, dobbiamo risvegliare il nostro istinto e far emergere la parte primordiale che è racchiusa dentro ognuno di noi.
Quando ci troviamo di fronte ad una tavola imbandita, siamo nell’attimo presente ed è come se ci trovassimo davanti ad un banchetto, che è la nostra vita, preparato apposta per noi. Siamo attratti da ciò che vediamo e spesso ci troviamo nella condizione di non sapere come procedere e di non essere però in grado di ritirarsi, perdendo così di vista la corretta via da percorrere. In quel momento dobbiamo essere in grado di controllarci e di prendere in mano le redini della nostra vita. Non ci troviamo semplicemente di fronte ad un momento di scambio ma, in esso è racchiusa anche la consapevolezza di riuscire o meno a mantenere in vita questo ciclo di ricezione e donazione che è parte del nostro nutrimento fisico e interiore.
Come la Tradizione Ebraica insegna, non dobbiamo preoccuparci di ciò che possiamo o dobbiamo fare di fronte al banchetto, perchè ognuno di noi è parte di quel banchetto e dobbiamo comprendere che il ciclo di scambio che si viene a creare non possiede nessuno e non è posseduto da nessuno.
Il cibo non va divorato ma, assaporato. I sapori, come una musica, si devono mescolare tra di loro, il dolce con il salato, il caldo con il freddo in modo da avvicinarci armonicamente al nostro banchetto della vita.
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Bonder Nilton, La teoria della felicità gastronomica, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2000.