Giordano Bruno – L’er(m)etico errante

“Ch’io cadrò morto a terra, ben m’accorgo, ma qual vita pareggia al morir mio?”

Giordano Bruno: personaggio estremamente interessante e singolare.

Non staremo qui a raccontarne la storia, reperibile – tra l’altro – attingendo alle varie pubblicazioni, scolastiche e non.

Ahimè, conosciuto, specie nel nostro paese, solo per essere stato condannato per eresia e bruciato a Roma, in Campo dei Fiori, nell’anno 1600.

Poeta, astrologo, astronomo e filosofo.

Soprattutto filosofo: amava in modo furente Dio e la Filosofia, argomenti che lo infiammavano (non solo interiormente), e in difesa dei quali scendeva in campo aperto contro tutto e tutti; irascibile, scorbutico sino ad essere chiamato dai suoi detrattori “cane rognoso”.

Convinto che la conoscenza dovesse essere un fatto diretto, di prima mano, non risparmiò nulla a quanti, secondo lui, avevano una conoscenza di seconda, terza ed ennesima mano.

Li chiamava pedanti e li accusava di “indossare” barbe bianche e toghe lunghe ai piedi, per farsi credere dotti e conoscitori di tutto.

Considerava i metodi utilizzati dalla “conoscenza” inadeguati, e inflisse un durissimo colpo alle teorie aristoteliche, definendole non adatte alla realtà, poiché si allontanavano dalla natura e si basavano sull’immaginazione.

Un paradosso, se pensiamo che lui, invece,basava la sua filosofia sul metodo platonico.

Platone, che parla del mondo delle Idee, di un mondo interiore, mentre Aristotele si limita a considerare e misurare le forme.

Solo oggi, con l’avvento della meccanica quantistica, si può comprendere una minima parte di quanto affermato dal Bruno.

Tutto proviene dall’infinitamente piccolo, da cui – attraverso alleanze e simbiosi cellulari – si arriva alle forme, che sono il risultato finale  o la causa efficiente di un dato processo.

Consideriamo inoltre il fatto che gli eventi sono frutto dell’interazione tra le sostanze e la volontà individuale: strada questa, aperta da Werner Heisenberg e percorsa con notevole profitto  da quella che è stata definita la “nuova fisica”, e che ha fatto scandalizzare persino l’immenso Einstein!

L’uomo non è più solo un osservatore, ma diviene partecipe.

Tutto ciò Bruno lo aveva già compreso allora, ma aveva altresì compreso che per giungere – attraverso lo studio – alla comprensione della natura, sarebbe stato necessario un cambiamento di metodo.

Ci sono voluti cinquecento anni per comprendere quello che il filosofo intendeva dire.

La scienza si accingeva a muovere i primi passi, e con Galileo e Cartesio si entrò nel razionalismo puro; ma non era quella la strada, anzi!

Il meccanicismo che induce Laplace ad affermare  che l’uomo non ha affatto   dell’ipotesi di Dio, porta quella scienza in un vicolo cieco.

Tutto ciò che scaturì da questo metodo convinse i più  che il metodo indicato dal Bruno fosse totalmente errato e basato su false credenze – quali cabala ed ermetismo.

Per studiare e comprendere la natura è necessario mutare totalmente atteggiamento e abbandonare ogni pregiudizio.

Rispetto ai sistemi fino ad allora in auge, basati su un universo statico e immobile, con la terra a fare da perno, l’universo bruniano è dinamico e infinito.

La sua visione non è né geocentrica, né eliocentrica, ma policentrica: essendo l’universo infinito, il suo centro è dappertutto.

Compito della filosofia è portare l’uomo a superare il dualismo dei contrari per giungere direttamente alla fonte; per realizzare questo, è necessario focalizzare il punto della situazione per comprendere cosa è possibile fare e cosa no, e – nel caso del no – è una condizione assoluta, oppure è superabile?

La ragione umana è, normalmente, impossibilitata a raggiungere la sorgente a causa dell’enorme distanza esistente tra la nostra attuale condizione e la sorgente.Per superare tale distanza è necessario procedere per gradi.

Il policentrismo di Giordano Bruno presuppone che ogni cosa sia osservabile da molteplici punti di vista e prospettive.

L’uomo deve poter accettare la sua attuale condizione: quella che si presenta ai suoi sensi è un’immagine  distorta dai chiaroscuri in cui si è ridotto a vivere.

Egli ha bisogno della luce ma questa, come dice anche Platone,  la si può raggiungere e comprendere solo per gradi e man mano che si procede; la natura pensa a forgiare gli organi capaci di captare le diverse situazioni.

Il metodo bruniano mira a superare tutte le difficoltà, e una delle prime è quella di risvegliare la coscienza perché sia in grado di ascoltare la voce proveniente dall’interno.

Il suo compito era quello di svegliare queste coscienze. Ecco il motivo, tra l’altro, del perché ogni suo libro, al proprio nome, Giordano Bruno, aggiungeva il termine “Nolano” che indicava sì il suo luogo di nascita, ma soprattutto per il doppio senso del termine “nola” che in latino significa “campanella” quindi “frate scampanellatore”, che risveglia gli uomini dal sonno dell’ignoranza.

Ma che cosa può dare all’uomo la possibilità di vincere la propria cecità? È la conoscenza e l’uso che se ne fa!L’Insegnamento ermetico dice:
” Ed ecco perché, solo fra quanti esseri vivono sulla terra, l’uomo è duplice, mortale nel corpo, immortale nella sua essenza, l’anima.” E Pico della Mirandola aggiunge “sommo miracolo è l’uomo”.

Cosa significano queste frasi?

Giordano Bruno, per spiegare questa dualità corpo-anima, ricorre ad un’immagine molto semplice ed esplicativa: l’anima è nel corpo come il nocchiero nella nave il quale,  essendo mosso insieme alla nave, si può dire sua parte, considerato, invece, come colui che la governa e la fa muovere,  non si intende parte fissa, ma elemento efficiente proveniente dall’esterno.

Riguardo al Pico poi, egli definisce l’uomo “Miracolo”  in quanto in grado di prendere in mano le redini del proprio destino e decidere,  una volta raggiunto il discernimento, da quale parte stare.

Tornando ancora una volta alla fisica quantistica, scopriamo che quanto detto è nelle possibilità dell’uomo, finora prigioniero di teologie monche e di scienze statiche e pedanti. E Pico, nell’Orazione sulla dignità dell’uomo, dice: “Il Padre infuse all’uomo ogni specie di semi e ogni germe di vita, quali di questi saranno da lui coltivati, cresceranno e daranno i loro frutti…”

Questa Signore e Signori, era la musica che risuonava continuamente nelle orecchie del filosofo. La stessa musica che non smetteva di suonare in ogni corte e università d’Europa.

Per aggiungere sale, se ce ne fosse ancora bisogno, a questo personaggio immenso e stupefacente, diciamo che è stato tra i principali – se non il principale – ispiratore della corrente rosacrociana: basta fare due più due.

Ospite ascoltato ed apprezzato nelle università di mezza Europa, soprattutto inglesi, francesi  e germaniche, nei suoi famosi discorsi tenuti nei vari atenei parla continuamente – in un ambiente in piena riforma – della riforma  del mondo, dell’universo e dell’uomo.

Nei vari posti da lui toccati durante le continue peregrinazioni tra Svizzera, Francia, Inghilterra e Germania, ha modo di crearsi una lunga lista di nemici, ma anche, contemporaneamente, un gran numero di proseliti.

Si sa della grande influenza da lui esercitata in Inghilterra  su Elisabetta I, su Robert Fludd, Francis Bacon, e su Shakespeare, le cui opere assunsero un altissimo valore esoterico  dopo l’incontro col Nolano.

In Germania si assiste alla nascita di un movimento detto dei “Giordanisti” che da più parti si mormora trasformatosi vent’anni dopo negli “Invisibili”, i Rosacroce.

In particolare le idee contenute nello “Spaccio della bestia trionfante” e le esperienze ermetico-filosofiche di Bruno sono facilmente rintracciabili  nei famosi Manifesti, in particolar modo nel loro Prologo, il settimo capitolo dei “Ragguagli di Parnaso” di Traiano Boccalini (tradotto per l’occasione da Valentino Andreae in tedesco), e nel viaggio del giovanissimo frate in Medio Oriente, di cui si racconta nella Fama Fraternitatis.

Il suo sogno era quello di costituire una sorta di insegnamento che eliminasse dogmi e partigianerie, basato principalmente su due pilastri: il Cristianesimo e l’Ermetismo, l’Amore e la Conoscenza assoluti.

Chiuderemo con una poesia che qualcuno dice essere stata scritta dal filosofo  stesso alcuni giorni prima di passare in Campo dei Fiori e altri la considerano a Lui dedicata come una sorta di epitaffio.

“Vola piccolo gabbiano,

vola

sin dove si fondono cielo e mare

e vento e onde cantano e piangono l’accordo della nostalgia

vola su questa mesta quiete,

dove il mare giace silente,

sino a quando di te la volontà e la speme

sconfiggeranno lo spazio infinito.

vola piccolo gabbiano,

da colei che più di tutte ho amato

leggero come un uccello è l’animo mio se presto saremo uniti.”

I commenti sono chiusi.

Blog su WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: