Conferenza sulla sapienza dell’antico Egitto

Dopo i due incontri tenuti sulla Tradizione Egizia il 10 e il 17 dicembre 2010 a Casalborgone (TO), con titolo Il messaggio nascosto nei simboli della scrittura geroglifica, abbiamo pensato di pubblicare qui di seguito una brevissima sintesi dell’argomento trattato per tutti coloro che ci hanno scritto interessati senza avere però avuto la possibilità di partecipare direttamente alle serate. Confidiamo comunque nel fatto che potranno esserci nuove occasioni nel corso del 2011.

L’antico Egitto è un ambito di studi che affascina moltissime persone. Alcune decidono di dedicare ad esso un preciso percorso di studi di carattere storico-archeologico, assumendo  infine il titolo di egittologi; altre persone – apparentemente un numero molto più esiguo – cercano invece di esaminarne gli aspetti simbolici, più inerenti ad un messaggio di ricerca interiore.

Inutile dire che questi due fronti si sono nel tempo più volte scontrati. Inutile anche precisare che la nostra finalità sia quella di approfondire la scienza egizia focalizzando l’attenzione sui testi, sulle immagini e sull’architettura da un punto di vista simbolico. Ma nel fare questo, non riteniamo produttivo né corretto assumere una posizione oppositiva.

Secondo il nostro parere, la tradizione egizia serba conoscenze per nulla inferiori all’antica cultura indo-vedica, mostrando diverse similitudini alla cultura ebraica. Potremmo oltremodo azzardare a ritenerla la culla della tradizione cristiana.

Così come siamo grati all’archeologia che continua a fornire nuovi interessanti strumenti di riflessione, una visione simbolica potrebbe aiutare nel superare alcuni paradossi interpretativi, mostrando una possibile fuoriuscita da vicoli ciechi accademici.

Renè Schwaller de Lubicz ha saputo meglio di chiunque altro lottare per un risveglio di ciò che rappresenta realmente l’Egitto, ossia

una precisa “Qualità dell’Intelligenza”; un altro modo di esistenza dell’Intelligenza umana. Questo “Egitto” non ha niente a che vedere con i tempi storici (anche se questa Intelligenza si espresse nella terra del Nilo in una precisa epoca storica), ma rappresenta piuttosto un ben preciso Luogo/Stato di coscienza. Per entrare in questo Egitto, eternamente presente, l’uomo deve imporre a se stesso una disciplina. Egli deve, abbandonando la coscienza dialettica, risvegliare un rapporto interiore vivente con l’oggetto della propria ricerca, quella che Renè Schwaller de Lubicz definiva “Intelligenza del Cuore”. Questo era lo scopo: risvegliare, con un lavoro su di sé, l’Intelligenza del Cuore, giungere con essa all’essenza vivente dei fenomeni, e quindi poter giungere all’Essere Universale. Se l’uomo riesce a penetrare nel proprio “Cuore”, riesce anche a penetrare nel “Cuore” delle cose.

Il nostro desiderio è quello di poter cogliere e riportare alla luce nuove sfaccettature della Tradizione Egizia attraverso un riesame della civiltà stessa, una sorta di rievocazione della vita dell’epoca attraverso occhi completamente diversi da quelli con cui comunemente siamo abituati a guardare il mondo e la vita.

Volgendo lo sguardo a questa antichissima civiltà con i nostri parametri culturali attuali, con i nostri pregiudizi di fondo nei confronti dell’esistenza e con le nostre morali, non potremo che scontrarci con molteplici bizzarrie, le quali non troveranno giustificazione se non attribuendo alla civiltà egizia una sorta di mentalità superstiziosa e per certi versi preistorica.

Eppure, anche quest’ultimo tipo di visione veste stretto, troppo stretto. Sappiamo infatti che grandi uomini come Platone, Pitagora e Plutarco (per citare i più significativi) studiarono e si formarono in Egitto; così come Giuseppe e Mosè nella Bibbia. Ed ecco apparire un monito proprio da una di queste voci autorevoli:

Perciò quando ascolterai le storie che gli egiziani raccontano sugli dei – peregrinazioni, smembramenti e altre avventure del genere – dovrai ricordarti di quello che abbiamo detto, e non credere che quanto essi affermano corrisponda a fatti realmente accaduti. (…) solo così potrai sfuggire alla superstizione, che è un male certo non inferiore all’ateismo stesso.

Proviamo allora a mettere da parte – come per gioco – la nostra indiscussa certezza di appartenere ad una civiltà estremamente avanzata, la cui evoluzione culturale e spirituale è di gran lunga superiore in confronto agli antichi popoli.

Per fare questo, immaginiamo per un attimo di ritrovarci nei panni di un uomo del futuro che, all’oscuro dell’esistenza della nostra attuale civiltà, si imbatte casualmente in un cartello pubblicitario di una nota azienda petrolifica in cui compare una tigre che viene inserita nel serbatoio di una macchina.

Una mente logica, razionale, “evoluta” e con i piedi per terra, potrebbe imbattersi in una rappresentazione quanto meno fantasiosa. Quale assurdità credere di poter inserire una tigre all’interno di un piccolo forellino di una strana specie di veicolo! È evidente che una civiltà del genere non può essere che mentalmente squilibrata od estremamente bizzarra.

In un semplice esempio come questo, laddove viene ipotizzato un uomo del futuro privo di un concetto di “pubblicità” per noi dato per scontato, sorgerebbero continui ostacoli interpretativi nell’analizzare buona parte della nostra cultura. Chi mai potrebbe immaginare che il cartello è una rappresentazione simbolica della forza della tigre iniettata tramite un carburante all’interno di un’automobile?

La vastità della Tradizione Egizia pervenuta fino a noi, necessita secondo il nostro parere di uno sforzo di coscienza interpretativa pari a quella dell’uomo del futuro di fronte ad una rappresentazione pubblicitaria.

Così come le immagini e l’architettura, anche la scrittura geroglifica impone una lettura di gran lunga più approfondita, considerando diversi angoli di osservazione che possano dispiegare via via degli aspetti esistenziali (più che concettuali) inesprimibili attraverso un linguaggio lineare e razionale. Scrive a tal proposito Luigi Anzoli:

Il vasto campo simbolico attinente al geroglifico che esprime la propria idea attraverso immagini, non potrà vedersi racchiuso né risolversi in un arido scritto “tecnico”, poiché un ideogramma non appartiene ad alcun schema precostituito… ogni tentativo rivolto in questo senso porterà a scontrarsi con l’impossibilità della spiegazione totale e completa che il segno sfigmico può trasmettere. Il linguaggio egizio deve essere “vissuto” nella sua rappresentazione figurata e, nel contempo, dovrà essere indagato in tutte le possibili accezioni che ognuno di noi potrà cogliere e approfondire.

Ecco allora che le moltitudini di immagini di battaglie potrebbero non rappresentare delle guerre come comunemente le intendiamo, ma bensì delle lotte simboliche, degli scontri interiori cui siamo involontariamente immersi in diverse occasioni della nostra vita: indecisioni, incoerenze tra il nostro pensiero e le nostre azioni, ecc. Ci siamo mai chiesti il motivo per cui sorge spontaneo in noi esprimerci in alcune circostanze con la frase mi sento combattuto?

Ma ciò non rappresenta che una piccola provocazione per mettere in discussione le nostre certezze interpretative. Ed è qui che una nuova ed affascinante avventura può avere inizio.

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Joannes Yrpekh, Il Cammino di Maat. Luci sull’antica sapienza egizia, Edizioni Ester, Torino.

L’Egitto di Schwaller de Lubicz, su http://www.accademiehermetichekremmerzianeunite.org/

Luigi Anzoli, Neith. Custode dell’ultimo segreto alchemico, Kemi, Milano, 1999.

Plutarco, Iside e Osiride, Adelphi, Milano, 2002.

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