Riportiamo qui di seguito la splendida testimonianza di una persona passata attraverso l’esperienza della cosiddetta pazzia, e con profonda lucidà ne esamina il processo:
Sono convinto di essere io stesso la causa della mia malattia. Nel cercare di penetrare nell’altro mondo incontrai i suoi guardiani naturali, le personificazioni delle mie debolezze e delle mie colpe. Sulle prime credetti che questi demoni fossero degli umili abitanti dell’altro mondo che avrebbero potuto giocare con me come una palla, dato che ero arrivato in quelle regioni impreparato, ed avevo perduto la strada.
Più tardi pensai che fossero delle parti staccate della mia mente stessa, che vivevano vicino a me, libere nello spazio, e che si nutrivano dei miei sentimenti.
Credevo che ciascun altro li avesse ma che non se ne accorgesse grazie alla protezione di un riuscito inganno fatto alla coscienza dell’esistenza personale.
Pensavo che questi ultimi fossero dei prodotti artificiali della memoria, dei complessi di pensieri, ecc., dei pupazzi abbastanza graziosi visti dal di fuori, ma che non avessero nulla di reale dentro di sé.
Nel mio caso personale il mio Io si era fatto poroso a causa dell’indebolimento della coscienza. Per mezzo di ciò volevo avvicinarmi a più alte sorgenti di vita.
Mi sarei dovuto preparare a questo molto tempo prima, cercando di far sorgere dentro di me un Io più elevato, impersonale, perché il nettare non è un cibo per labbra mortali.
Ciò agì in modo deleterio sull’Io animale-umano, e lo spezzò nelle sue parti componenti. Queste a poco a poco si disintegrarono: il pupazzo era realmente rotto, ed il corpo era danneggiato. Avevo forzato troppo l’accesso alla sorgente della vita e la maledizione degli dei era scesa su di me.
Mi ero accorto troppo tardi che oscuri elementi vi avevano preso parte: li riconobbi quando ormai avevano già troppo potere. Non c’era modo di tornare indietro.
Mi trovai in quel mondo di spiriti che avevo voluto vedere. Demoni salirono su dagli abissi a vietare come dei Cerberi l’ingresso al non ammesso.
Decisi di accettare la lotta per la vita e la morte, il che significò per me, alla fine, la decisione di morire, perché dovevo eliminare tutto ciò che manteneva in forze il nemico, ma si trattava anche di tutto ciò che mi manteneva in vita.
Volevo morire senza diventare pazzo e fronteggiai la Sfinge: o andrai tu nell’abisso, o vi andrò io!
Allora venne l’illuminazione. Digiunai e in questo modo compresi la vera natura dei miei seduttori: erano ruffiani e truffatori del mio caro io personale che mi apparve, al pari di loro, come una cosa da nulla.
Emerse un Io più ampio e comprensivo, e potei quindi abbandonare la mia personalità precedente con tutto il suo seguito. Vidi chiaramente che la mia personalità di prima non avrebbe mai potuto entrare nel regno della trascendenza.
Il risultato di ciò fu un dolore terribile, come una mazzata che mi annientasse, ma ero salvo, i demoni si raggrinzirono, di dissolsero, perirono. Per me incominciava una nuova vita, e da allora mi sentii diverso dall’altra gente.
Crebbe di nuovo in me un Io fatto di menzogne convenzionali, finzioni, autoinganni, immagini mnemoniche, un Io del tutto simile a quello degli altri, ma dietro e sopra di questo restava un Io più grande e comprensivo, che mi diede una piccola impronta di ciò che è eterno, immutabile, immortale ed inviolabile, e che da allora è sempre stato il mio protettore ed il mio rifugio.
Credo fermamente che sarebbe un bene per molti quello di conoscere un Io più alto di questo genere, e che vi sono persone che hanno egualmente raggiunto questo traguardo pur con mezzi meno drastici.
Tratto da Ronald Laing, La Politica dell’esperienza, Feltrinelli, 1990.