Il popolo eletto (ma non dalla maggioranza)

Quale bizzarro motivo mi porta a considerare la religione cui appartengo indubbiamente la migliore fra le tante? E non sto qui parlando di un ragionamento ponderato, dato che certamente non affermerei mai consapevolmente o apertamente una cosa del genere (almeno lo spero…), ma parlo di una sorta di predisposizione viscerale.

Già, nel momento in cui mi immergo in un sistema filosofico o spirituale, dedicando ad esso molto del mio tempo e delle mie preziose energie, rivoluzionando la mia intera visione della vita grazie ad esso, ecco che di pari passo si fortifica in me la convinzione che non esiste nulla di meglio al mondo, non solo per me stesso, ma oggettivamente per tutti quanti.

Ogni altro luogo o sistema diventa automaticamente più limitato, situato ad un livello di sviluppo sicuramente inferiore, se non addirittura esplicitamente menzognero. La cosa buffa in tutto questo, è che non ho certo vissuto tutti gli altri percorsi spirituali; forse mi sono in passato imbattuto in qualche gruppetto qua e là, magari anche senza approfondirne troppo la filosofia, ed ora mi faccio forte dei pochissimi rudimenti di cui dispongo per innalzare il mio credo ed abbassare quello altrui.

Se poi qualche “passante” osa superficialmente criticare o mettere in discussione il mio, ecco che diventa per me incomprensibile il come possa giudicare senza aver prima vissuto a fondo l’esperienza, e senza aver inoltre compreso i molteplici meccanismi personali che possono influire nel plasmare l’opinione sul percorso, nel bene o nel male. Il fatto che il mio atteggiamento sia in molte occasioni esattamente identico, non è stranamente sufficiente a far vacillare le mie stupide convinzioni.

Insomma, perché non posso fare a meno di considerarmi un eletto appartenente ad un “popolo” altrettanto eletto? Quale parte di me non sopporta l’idea di non sentirsi speciale fra tanti mediocri? Certo, questa idea rende più facile accettare di buon grado le diverse difficoltà e demotivazioni che si incontrano su ogni cammino, ma non sarò così illuso da credere che un nucleo spirituale abbia veramente bisogno di sentirsi tale?

Eppure, che lo voglia riconoscere o meno, ogni aggregato di persone, siano esse in buona o cattiva fede nella loro ricerca spirituale, concorrono inevitabilmente ad alimentare la favola della loro unicità ed eccezionalità. Come a dire: ogni corrente spirituale ricerca la stessa scintilla divina, la stessa verità, ma la “mia” la ricerca nel modo sicuramente migliore.

Ho un bel parlare e predicare sul non giudizio, se poi volgo lo sguardo ad altri percorsi con i superbi occhi compassionevoli di un universitario che osserva i bambini dell’asilo pensando in cuor suo: eh, ne avete ancora di strada da fare prima di arrivare dove sono io

Ma ora voglio compiere la follia di provare a vestire i panni di colui che non avverte nessun bisogno di sentirsi eletto, perché in fondo, ma proprio in fondo, ho come la sensazione che questo atteggiamento sia l’abito di una paura ancora celata nell’ombra, di insicurezze mal comprese e continuamente tenute a bada grazie anche ai rinforzi degli altri compagni di ventura.

Che leggerezza! Ora posso quasi annusare come un soave profumo gli onesti sforzi che si annidano dietro ogni sistema spirituale. Posso finalmente smetterla di pormi sulla difensiva ogni qual volta i miei passi si incrociano con quelli altrui. E posso finalmente intravedere ciò mi spinge a ricercare sempre conferme sulla mia appartenenza ad un’elite.

Ecco, sì, ora lo vedo più chiaramente. Ora mi basta vivere la mia scelta senza per questo doverla decretare come la sola scelta possibile. Ora posso comprendere quanto sia infantile giudicare la scelta altrui, anche se molto diversa dalla mia, e quanto in realtà quella scelta possa portare alla medesima condizione interiore cui conduce la mia, o forse anche più in profondità, perché non sarà tanto il sistema o la filosofia spirituale, ma l’intima serietà di ricerca di colui o colei che si pongono su quel cammino. Ora sì che posso accogliere più facilmente e sinceramente ogni altro percorso senza per questo rinnegare il mio, ma arricchirlo grazie al confronto, mettendo in discussione il mio modo di viverlo, il mio modo di pormi nell’esistenza stessa.

Anche perché, in realtà, qualcosa dentro di me sa perfettamente che il non riuscire ad accettare la validità di altri percorsi, equivale a non riuscire in fondo ad accettare completamente la validità del mio. Questo è il motivo per il quale ho allora bisogno di ricercare continuamente i limiti degli altri (che si illudono di ricercare Dio dando però spazio solo all’ego) e gli infiniti pregi del mio (che indica chiaramente Dio scavalcando l’ego).

Che sciocco: non c’è salvezza al di fuori della chiesa cui appartengo, in altre parole… non c’è salvezza al di là delle mie convinzioni sulla vita, c’è solo incertezza, e l’incertezza mi terrorizza, mi destabilizza, quindi è pericolosa, sbagliata, inaccettabile. E quando questa incertezza mi si avvicina sotto le sembianza di un credo diverso dal mio – di qualsiasi genere esso sia – non posso fare altro che ridimensionarlo nel profondo di me stesso, classificarlo entro precisi parametri, e dunque snaturalo, sminuirlo, se non addirittura screditarlo e ridicolizzarlo. So bene quanto sia facile in tal senso trovare fedeli complici tra i miei “colleghi” eletti.

A ben vedere, infatti, gli automatismi sono sempre e ovunque gli stessi. Quando qualcuno aderisce al mio credo dopo averne magari sperimentati altri in passato, è naturale che tenda a sminuirli perché non ha trovato in essi ciò che cercava, ed io ovviamente confermo con fierezza il suo pensiero. Ma quando questo qualcuno decide di lasciare il mio sistema spirituale per le stesse ragioni, allora no, le cose cambiano, vuol dire che non ne ha sicuramente colto in profondità il messaggio oppure non è stato in grado di fronteggiare le difficoltà del percorso.

Non mi accorgo che la cieca identificazione nell’organismo spirituale cui appartengo, è già sintomo di una marcata separazione tra me e il resto del mondo, quindi un chiaro sintomo di carenza di spiritualità. Ciò mi impedisce di ascoltare gli altri e di osservare la vita con semplicità, e mi conduce ad aggrovigliarmi all’interno di rovi concettuali dai quali mi sforzo costantemente di giustificare tutte le incoerenze del mio credo per proteggerlo da ogni messa in discussione.

E giungo infine all’amara ma fondamentale consapevolezza di come quel nucleo essenziale che vive in me, quell’unica vera parte spirituale, non abbia niente in comune con tutti questi miei fragili e meschini meccanismi che vorrebbero tanto essere riconosciuti come qualità divine. Sicuro allora di non essere mai stato eletto da nessuno, né tantomeno di voler eleggere qualcuno, mi sento follemente libero dal dovermi sentire eccezionale a tutti i costi.

Le Fou

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