Anche se non è certo piacevole sentirselo dire, è ri-giunto il momento di farlo: in realtà noi (figli della cultura cristiana), della Bibbia non sappiamo niente!
Tutta la nostra fede in questo libro, oppure il nostro astio, la nostra indifferenza, le nostre interpretazioni religiose o storiche, si basano semplicemente – per essere ottimisti – su oneste menzogne.
Ci concediamo continuamente di spargere opinioni e conclusioni senza però conoscere in profondità quello di cui parliamo. Spesso poi, certi argomenti non li conosciamo nemmeno superficialmente. Quanti sedicenti cristiani hanno letto almeno una volta la Bibbia, o anche solo il Vangelo (forse il libro religioso più semplice e breve che sia mai stato scritto)?
Siamo fatti così. Ci sentiamo grandi esperti su argomenti di cui non conosciamo praticamente nulla. Lo facciamo su tutto, figuriamoci poi quando si entra nel delicato mondo dei testi sacri. Ecco che si scatenano le più banalizzanti critiche o interpretazioni da bar esoterico.
Le prove della loro sacralità non le avremo mai a priori, per tale ragione non è possibile sminuirne la portata senza prima indagarne in profondità le diverse e sottili sfumature in essi contenute.
Ad esempio la Bibbia, o meglio la Torah (ossia il Pentateuco), è in realtà intraducibile. Chiunque abbia mai visto infatti la Torah scritta, formata semplicemente da consonanti sulla pergamena, è consapevole del fatto che servono strumenti non comuni per accedere ai suoi diversi possibili significati.
Alcuni di questi strumenti sono indicati solamente dalla tradizione trasmessa oralmente, tra cui le vocali, essenziali perché le stesse lettere-parole senza le vocali potrebbero avere significati diversi. Ma ve ne sono altri di carattere analogico, simbolico, e così via.
Questo vuol dire che una qualsiasi traduzione deve necessariamente prendere in considerazione elementi che non possono limitarsi ad una sola conoscenza grammaticale della scrittura. In altre parole, la traduzione deve considerare la Torah orale, che è la chiave di accesso alla Torah scritta. In caso contrario, ogni dissertazione è una divagazione lontana dal testo originale.
Tutti questi ed altri elementi hanno fatto sì che, nella mancanza di conoscenza o di rispetto di essi, siano nate delle traduzioni che in molti casi non hanno alcun senso. Troviamo traduzioni letterali con significati dogmatici e forzati a uso e consumo di istituzioni religiose che non hanno niente a che vedere con la genuina spiritualità originaria.
La traduzione dei 70, cui fa riferimento la versione cristiana della Bibbia, fu commissionata per tradurre la Torah come un qualsiasi altro libro. In realtà la Torah è però intraducibile, e la versione arrivata fino a noi è stata una tragedia perché ha praticamente precluso la reale essenza della Torah al mondo.
Giunti a questo punto, ci si sentirà forse sentire un po’ spaesati, limitati, estremamente ignoranti e privi di strumenti, con la sensazione di non sapere da quale punto partire per iniziare a capirci qualcosa in più. Bene, questa sensazione sarebbe già un ottimo risultato!
Ma non gettiamo la spugna e non perdiamo le speranze, e lasciamoci con una riflessiva storiella – guarda caso – di tradizione ebraica.
Rabbi Mendel di Kosk raccontava la storia del cacciatore che il profeta Elia incontrò nella foresta e a cui chiese perchè vivesse senza insegnamento e senza legge. Il cacciatore si giustificò:
“Non ho trovato la porta che conduce al cospetto di Dio, quindi certamente non esiste e non vale più la pena cercarla”.
“Ma anche cacciatore non sei nato”, disse Elia, “e di dove ti è venuta l’intelligenza per questo mestiere?”
“La necessità me l’ha insegnato”, rispose il cacciatore.
“E se tu”, disse il profeta, “avessi avuto una necessità altrettanto grande di Dio da cui vaghi lontano, pensi che egli non ti avrebbe mostrato la via che porta a lui?”
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Vedi anche Un insolito approccio alla Torah
D’accordo sulla lingua consonantica, ma questo articolo sottovaluta senza argomentazioni gli uomini che hanno portato la bibbia fino a noi. Se Gesù era un rabbi volete che non conoscesse il significato della bibbia e che non l’abbia trasmesso? La bibbia ha un valore sacro? Chi ha detto che ha un valore sacro? Non certo la bibbia dice di sé di avere un valore sacro. Si crede che valga la pena di carpirne i segreti perché si crede a chi dice che ha un valore sacro, e normalmente è gente che la interpreta in modo convenzionale. Se l’esoterista crede che vi siano significati nascosti deve portare anche le prove del suo valore sacro, della sua autorevolezza, non teorie a priori cui adattare il testo qua e là. La chiesa porta come prova il dogma della tradizione e chiede onestamente un atto di fede. Onestamente finché non pretenda di imporlo. Un maestro, un esoterista dovrebbe fare altrettanto. Oppure provare che la bibbia dice altro: provare, senza bisogno di conoscenza a priori, che da sé stessa mostra a tutti la sua sacralità, purché la si legga nel modo giusto. A mio parere, dire «La bibbia non è quello che crediamo» e sottintendere «perché crediamo che sia altro» non ha senso, se ciò che si critica è l’atteggiamento fideistico. Si dovrebbe dire «non ha senso credere nella bibbia perché non ha senso credere agli esegeti fin qui vissuti che la interpretano non sapendo cosa essa sia». Oppure ci si limita a criticare non la fede ma il contenuto della fede: «noi sappiamo cos’è, perciò si deve credere a ciò che noi sappiamo (e diciamo) della bibbia». Oppure, senza chiedere la fede, «perché noi vi dimostriamo cosa essa sia in realtà».
Domande tutte leggittime, alla fine dell’ articolo nella storia del cacciatore, credo si trovi la risposta a cui ognuno deve giungere.