La maggior parte degli addormentati diranno naturalmente di avere uno scopo e di seguire una direzione definita. Se un uomo si rende conto che non ha uno scopo e che non va da nessuna parte, è segno che si avvicina ad un risveglio; è segno che il risveglio diventa realmente possibile per lui. Il risveglio di un uomo ha inizio dall’istante in cui si rende conto che non va da nessuna parte e che non sa dove andare.
P. D. Ouspensky (1)
Uno dei primi passi che il lavoro richiede è comprendere ciò che vogliamo. La comprensione è la forza più grande a nostra disposizione che ci può cambiare. Più abbiamo comprensione, migliori saranno risultati dei nostri sforzi.
Possiamo immaginare di andare in un gran negozio con parecchi reparti diversi: dobbiamo sapere ciò che vogliamo comprare. Ma prima di tutto dobbiamo sapere cosa c’è nel negozio, altrimenti ci potrà capitare di chiedere delle cose che non ci vengono vendute.
È necessario ricordare sempre perché abbiamo cominciato. Vogliamo avere cose che possiamo ottenere dalla vita ordinaria o cose diverse? Vale la pena tentare? La nostra capacità di immaginare, generalmente usata in maniera tanto sbagliata, ci può aiutare in questo caso. Nello specifico, ci può aiutare a vedere se veramente vogliamo ciò che diciamo di volere oppure no, perché molto spesso vogliamo qualcosa di diverso o non ci rendiamo conto che una cosa ne porta con sé un’altra.
Soltanto quando sappiamo ciò che vogliamo sappiamo dove stiamo andando e lo sappiamo nella maniera giusta. È necessario sapere. (2)
Posso tranquillamente affermare che la gran parte di quelli che sono qui in questo momento non sanno perché sono qui. Non hanno un desiderio fondamentale. A ogni istante desiderano qualcosa, ma in loro “si” desidera. (…) Posso ottenere ciò che voglio solo mettendo questo desiderio al primo posto, facendone la cosa più importante. Se ciascuno di voi desidera qualcosa e l’Istituto ne è a conoscenza, allora vi si potrà dare un aiuto. Ma se un uomo ha un milione di desideri senza che uno predomini, allora non ne verrà soddisfatto nessuno: infatti, ci vogliono anni perché un singolo desiderio si realizzi, figuriamoci un milione… (3)
Dobbiamo essere consapevoli che l’unico scopo da acquisire mediante il lavoro è il cambiamento di essere. Lo scopo è raggiungere stati superiori di consapevolezza ed essere capaci di lavorare con i centri superiori.
Sarà necessario fare mille cose che sembrano non avere relazione con questo obiettivo, ma sono tutte cose necessarie perché viviamo sotto al livello normale. Dobbiamo prima arrivare al livello normale, poi cercare di sviluppare cose e possibilità nuove.
Spesso quando cerchiamo di pensare a cosa vogliamo, troviamo soltanto un pasticcio di molte cose. È molto difficile definire ciò che si vuole, tuttavia dobbiamo diventare capaci di formularlo. La cosa strana è che di norma la gente non conosce il proprio scopo. Lo scopo può essere formulato solamente se uno sa già qualche cosa circa la propria posizione. Se una persona non si rende conto della sua posizione, tutti i suoi scopi saranno immaginari. È consigliabile quindi pensare al proprio scopo: a ciò che abbiamo pensato su di esso prima e come descriveremmo quello che possiamo ottenere e quello che possiamo cercare di ottenere. (4)
Desidero essere cosciente di me. E tuttavia, così come sono in questo momento, posso conoscere me stesso, posso essere cosciente di me? Non posso, sono troppo frammentato. Non provo niente. Ma vedo che sono addormentato, e vedo i sintomi di questo sonno. Ho dimenticato il senso della mia esistenza, ho dimenticato me stesso. E a questo punto ricevo uno shock: mi sto risvegliando, mi voglio svegliare. Poi, avendo sentito in maniera troppo lieve lo shock, mi sento nuovamente preso, tirato indietro dagli elementi del mio sonno: le associazioni che girano in tondo, le emozioni che mi afferrano, le sensazioni inconsapevoli. (…) Dopo un certo lasso di tempo l’impulso si indebolisce, sormontato dall’inerzia. La nostra comprensione si indebolisce e sentiamo il bisogno di qualcosa di nuovo che ripristini l’interesse, la vita. Il nostro lavoro interno prosegue così a stadi e dipende sempre da nuove forze. È determinato da leggi: dobbiamo liberarci dall’idea che il progresso si svolga in maniera continua e lungo una linea retta. Ci sono stadi in cui l’intensità diminuisce e, se non vogliamo scivolare indietro, deve comparire una forza più attiva. (5)
LA SCELTA DI UNO SCOPO
È inutile descrivere uno scopo che sappiamo di non poter ottenere. Ma se abbiamo uno scopo che possiamo sperare di ottenere, il nostro lavoro sarà consapevole, serio.
Domanda: Che cosa devo fare?
Risposta: Ci sono due modi di fare: uno per automatismo, l’altro per uno scopo. Scelga una piccola cosa che non è in grado di fare e ne faccia il suo scopo, il suo dio. Non lasci che nulla interferisca. Miri solo a quello. (…) Ora come ora, lei ha gli occhi più grandi delle stomaco, mira a cose troppo grandi: non potrà mai farcela. Ciò che la svia dalle piccole cose alla sua reale portata è un appetito anormale. Lo distrugga, dimentichi le grandi cose. Si dia l’obiettivo di vincere una piccola abitudine. (6)
Da principio la gente di solito si propone scopi troppo astratti e remoti. Lo scopo di una persona è al principio come una luce che essa scorge lontana mentre cammina di notte lungo una strada buia. Essa fa di questa luce il proprio scopo e cammina per raggiungerlo. Lungo la strada scorge un’altra luce, tra sé e la prima, comprende che prima deve arrivare alla luce più vicina, e va verso di essa. Dopo un certo tempo, scorge una terza luce, di nuovo fra sé e la luce verso cui sta andando, e così di seguito. Ciò si ripete varie volte finché, all’ultimo, essa vede la luce più vicino a sé, cioè lo scopo che è capace di raggiungere da dove si trova.
Non bisogna quindi avere una visione troppo grande delle cose, guardare troppo lontano potrebbe essere sviante. Non possiamo cominciare a lavorare per un qualche futuro remoto: lavoriamo per domani trovando qualcosa di sbagliato oggi.
Il potere-movente in tutte le nostre azioni è di due tipi: qualcosa ci attrae o qualcosa ci respinge. Non possiamo sapere dove possiamo arrivare nel futuro remoto, ma conosciamo benissimo la situazione in cui siamo. Se lo comprendiamo, ciò ci darà uno scopo preciso. Lo scopo sarà quello di uscire da questa situazione. Possiamo conoscere determinate cose in noi dalle quali dobbiamo cercare di liberarci. Lo scopo deve essere formulato, compreso e ricordato chiaramente. Soltanto allora è possibile ottenere risultati. (7)
Quasi tutti gli altri sistemi cominciano con scopi lontani almeno diecimila miglia, che non hanno significato pratico. Questo sistema comincia in questa stanza: ecco la differenza. Essa va compresa prima di ogni altra cosa. Dobbiamo ripetutamente tornare al problema di ciò che vogliamo dal lavoro. Non serviamoci della terminologia del sistema ma cerchiamo ciò che noi stessi vogliamo. Se diciamo che vogliamo essere consci, ciò va benissimo: ma perché? Cosa vogliamo ottenere dall’essere consci?
Probabilmente non potremo rispondere immediatamente a questa domanda, perché è molto difficile. Ma dobbiamo continuare a tornarci sopra. E dobbiamo comprendere che, prima che venga il tempo in cui saremo capaci di ottenere quello che vogliamo, dobbiamo sapere cos’è. Questa è una condizione assai precisa. Non potremo mai ottenere nulla finché non potremmo dire: “Voglio questo”. Se ricorderemo il nostro scopo, se ci penseremo, se troveremo un numero sempre maggiore di ragioni per cui dobbiamo lavorare, la nostra volontà si muoverà in un’unica direzione e si farà più forte. Quando dimentichiamo il nostro scopo, ci indeboliamo.
Qualsiasi sia la nostra direzione, la prima cosa che otterremo sarà comunque sempre la stessa: vedere noi stessi. Finché non otterremo questo, non otterremo nient’altro. (8)
Perché comincio a lavorare? Per sapere cosa mi spinge a fare uno sforzo, ho bisogno di un’attenzione più cosciente. Quest’attenzione non può essere meccanica, perché per durare deve essere continuamente riadattata. Deve esserci qualcuno che guarda vigile e il guardiano sarà un diverso stato di coscienza. (9)
SCOPO, RICORDO ED ENERGIA
Ricordare uno scopo significa ricordarlo non solo mentalmente ma anche emozionalmente. (10)
Ogni cosa va presa dal punto di vista dello scopo o della decisione: se abbiamo uno scopo in relazione al lavoro, allora tutto ciò che facciamo contro il nostro stesso lavoro è peccato, mentre non lo è se non abbiamo uno scopo. Non è un peccato fermarsi davanti alle vetrine di negozi, ma se dobbiamo trovarci in un determinato posto ad una determinata ora, e fermarci ci farà arrivare tardi, questo è peccato. (11)
C’è poi la questione dell’energia richiesta per il ricordo del proprio scopo.
L’uomo non ha l’energia necessaria per raggiungere gli scopi prefissati, perché tutta la sua forza, accumulata di notte durante lo stato passivo, viene sprecata in manifestazioni negative (…).
Per quelli che sono già capaci di ricordarsi automaticamente il proprio obiettivo, ma non hanno la fora di attenervisi, sedetevi, da soli, per almeno un’ora. Rilassate tutti i muscoli, lasciate scorrere le vostre associazioni, senza farvene assorbire. Dite loro: “se adesso mi lasciate fare ciò che voglio, più tardi vi concederò ciò che volete”. Osservate le vostre associazioni come se appartenessero a qualcun altro, in modo da non identificarvi con esse. Finita l’ora, prendete un foglio di carta e scriveteci sopra il vostro obiettivo. Fate di questo foglio il vostro dio. Che nulla esista, eccetto quello. Prendetelo di tasca e leggetelo continuamente ogni giorno. In questo modo, diventerà parte di voi prima teoricamente, poi realmente.
Per ottenere energia, praticate l’esercizio che consiste nel restare seduti tranquillamente, con tutti i muscoli rilassati, come morti. E soltanto quando tutto dentro di voi sarà calmo, al termine di un’ora, prendete la vostra decisione. Non lasciatevi assorbire dalle associazioni. Darsi volontariamente un obiettivo, e raggiungerlo, dà magnetismo e capacità di “fare”. (12)
Come l’elettricità, il magnetismo può essere concentrato e trasformato in corrente. (13)
Al proprio scopo sarà necessario rinunciare a qualcosa. Sfortunatamente vogliamo conservare tutti vecchi modi di pensare e contemporaneamente averne dei nuovi: ciò non è possibile. Quando il problema non è la mancanza di uno scopo, è che non vogliamo sacrificare nulla. Non possiamo conservare tutto ciò che possediamo e contemporaneamente avere cose nuove. (14)
Prima di scegliersi come obiettivo finale quello di diventare coscienti e sviluppare una relazione con i centri superiori, bisognerebbe pensarci bene. È un lavoro che non ammette compromessi e che richiede una dura disciplina. Bisogna essere pronti ad obbedire ad alcune leggi. (15)
Alcuni non comprendono nemmeno il principio del lavoro e lo prendono nella maniera ordinaria. Ma se si vuole lavorare ogni cosa che ha riferimento con il lavoro deve essere guardata in maniera diversa. (16)
Sentiamo un gran desiderio di conoscere noi stessi. Ma la richiesta non è abbastanza forte, non sentiamo la necessità di uno sforzo cosciente. Sappiamo che c’è qualcosa da fare, uno sforzo da compiere: ma quale sforzo? Non la viviamo davvero questa domanda. Non appena compare, o la eludiamo o cerchiamo di rispondere con i mezzi ordinari. Non capisco che per affrontare la questione devo prepararmi; devo raccogliere tutte le mie forze, ricordarmi di me. (17)
Cosa crea lo stimolo per il lavoro? Il rendersi conto del proprio stato presente. Quando uno si rende conto che inganna se stesso, che è addormentato e che la propria casa è in fiamme, permanentemente in fiamme, e che è soltanto per caso che il fuoco non ha raggiunto la sua stanza proprio in quel momento, quando uno si rende conto di ciò, egli vorrà fare sforzi per svegliarsi e non si aspetterà nessuna ricompensa speciale. Poiché non ci rendiamo conto che la nostra casa è in fiamme ci aspettiamo sempre una ricompensa speciale. Cosa si può fare nel sonno? Si possono avere soltanto sogni diversi: sogni buoni, sogni cattivi, ma nello stesso letto. I sogni possono essere differenti, il letto è lo stesso. (18)
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(1) P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, 1976 (pgg. 176-7).
(3) G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale, Neri Pozza, 2000 (pg. 154).
(4) P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 174).
(5) J. de Salzmann, La realtà dell’essere, Astrolabio (pgg. 21-2)
(6) G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale, Neri Pozza, 2000 (pg. 96).
(7) P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pgg. 173-5).
(8) P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pgg. 303-4).
(9) J. de Salzmann, La realtà dell’essere, Astrolabio, 2011 (pg. 30)
(10) P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 307).
(11) P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 49).
(12) G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale, Neri Pozza, 2000 (pg. 97).
(13) G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale, Neri Pozza, 2000 (pg. 98).
(14) P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 408).
(15) J. de Salzmann, La realtà dell’essere, Astrolabio, 2011 (pg. 20).
(16) P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 322).
(17) J. de Salzmann, La realtà dell’essere, Astrolabio, 2011 (pgg. 36-7).
(18) P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pgg. 314-5).
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Nota: L’articolo qui esposto rappresenta un tentativo di ricomporre alcuni dei Frammenti dell’insegnamento di Gurdjieff con le sue stesse parole e con i numerosi contributi di chi ne ha seguito la Via. I riferimenti sono tutti rintracciabili nelle note a fondo articolo. Le eventuali modifiche apportate sono solo di natura stilistica, mai concettuale. L’associazione Per-Ankh, pur trovandosi in sintonia con la maggior parte degli insegnamenti della Quarta Via, non si considera tuttavia un gruppo Gurdjieffiano.