Felicità: un prato verde da brucare

“In verità in verità vi dico, se il chicco di grano essendo caduto in terra non muore, esso rimane solo; ma se muore, porta molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.” (Gv 12,24).

La cultura odierna ci chiede di essere buone pecorelle, dedite al pascolo; ci procura della buona erbetta tutti i giorni, importante solo non alzare la testa e continuare a brucare, mangiare più velocemente possibile, altrimenti si corre il rischio che arrivi qualcuno e portarci via la nostra razione quotidiana.

Il messaggio per tutte le pecore è chiaro: Felicità, un prato verde da brucare. In altre parole, lottare per attirare le attenzioni e le ammirazioni altrui, cercando di essere sempre più belli, più ricchi, più intelligenti degli altri; cercare di conquistare ogni giorno una porzione di mondo in più, per sentirci più potenti e al sicuro.

Poi leggiamo il passo del Vangelo di Giovanni, e ci chiediamo: cosa voleva dirci?

Proviamo per un attimo, nella parabola presa in riferimento, ad associare l’uomo al chicco di grano. Questo chicco si adatta al piano di vita in cui nasce ma, nonostante sia circondato da altri migliaia di chicchi, si sente solo, e questa solitudine è forse data dalla lontananza da un piano divino differente, la casa del Padre.

Nonostante siamo tutto il giorno circondati da altre pecore, nonostante abbiamo intorno a noi erba fresca tutti i giorni, molti di noi vivono una costante paura di rimanere senza erba e sentono anche una nostalgia, un malessere al quale non sanno dare un nome. Ed ecco che basta uno sguardo mancato, un gesto di indifferenza, un’improvvisa perdita economica, e tutta la nostra “stabilità” così duramente conquistata, cade a pezzi facendoci scoppiare in preda alla rabbia o all’angoscia.

Cerchiamo di fuggire da questi malesseri accaparrandoci sempre più prato da mangiare, senza mai fermarci per osservare la pazzia della nostra vita. Per un po’ funziona, nuova erba uguale nuova energia e una piccola tregua dalle paure, ma è di breve durata. Dopo un po’ la pecorella deve mettersi nuovamente in moto e cercare altra erba fresca, non è mai abbastanza!

La parabola continua dicendo: “se muore porta molto frutto”. Cosa significa questa morte?

Per la nostra amica pecora significa alzare la testa, guardare il cielo e chiedersi se esista qualcos’altro oltre il prato verde da mangiare. Le altre pecore cominceranno a dire che è impazzita, che non c’è erba nel cielo, ma lei non abbasserà più la testa, ha visto il cielo e ha sentito un nuovo profumo nell’aria, ora vuole capire cosa c’è al di là del prato.

Muore così all’identificazione con il ruolo sociale, all’attaccamento per l’erbetta verde in eccesso, muore al riconoscimento, alle maschere che indossava tutti i giorni, muore alla paura di morire di fame e all’idea di un lupo affamato che potrebbe ucciderla oltre il prato. Adesso non ha paura di essere guardata male e allontanata dalle altre pecore, non ha paura di avventurarsi oltre il suo recinto.

Amare la propria vita ordinaria non consente di far emergere la propria parte divina, ma vuol dire rimanere con la testa bassa a pascolare. Se siamo troppo interessati a conservare la nostra vita di pecore, il nostro pezzo di prato, attraverso attaccamenti, paure, rabbia, gelosie, perderemo la nostra vita. “Odiare” significa avere il coraggio di alzare la propria testa al cielo e chiedersi: è veramente tutto qui?

Gesù è uno di quei maestri venuti a risvegliare l’umanità dal suo sonno, e parla con parole chiare: Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.

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9 risposte a "Felicità: un prato verde da brucare"

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  1. Bellissimo e molto attuale.
    Abbiamo la possibilità di essere in questo piano di esistenza e di fare esperienza del desiderio a volte anche struggente che anima l’innamorato ma spesso ci identifichiamo con i nostri quattro stracci e l’immagine di noi che vendiamo e che crediamo d’essere fino a dimenticare le domande esistenziali ed cielo stellato sopra di noi..
    Il vostro articolo colpisce in me un punto centrale…penso che se nella quotidianità riuscissi a spostare il punto di osservazione e di identificazione riuscirei ad essere più presente, ad assimilare meglio la realtà circostante e ad essere meno vorace e più appagato.
    Grazie

  2. Cari amici, un commento controcorrente, sempre con tanta simpatia.
    Quando il chicco-uomo entra in crisi (e la funzione della vita è proprio quella di metterci in crisi …) cerca disperatamente un modo per uscirne, per superare l’angoscia esistenziale che lo attanaglia.
    Dentro di sé, nel profondo, lui lo sa che l’unica soluzione è “morire” poiché, lo sa, è lui stesso che rappresenta l’impedimento a che il suo “essere” “porti frutto”.
    E’ la sua stessa natura egocentrica di chicco-uomo che rappresenta l’impedimento.
    Ma il chicco non vuole “morire, vuole “salvarsi”, vuole, deve, salvare sé stesso.
    Allora con la mente inventa scenari meravigliosi, visioni rarefatte, cosmogonie sempre più raffinate e rassicuranti.
    Inventa Cammini da percorrere, tirocini da praticare, sviluppi spirituali da perseguire attraverso l’esercizio, la pratica, la volontà (la volontà di chi? …).
    Si inventa nuovi modelli di vita e di comportamento, più “spirituali”, meno orientati sulla materia, trovando così una NUOVA GIUSTIFICAZIONE al permanere della propria esistenza.
    Trovando una nuova ragione di vita al chicco che è.
    Ma la semplice sostituzione di contenuti cambia solo apparentemente, solo superficialmente le cose perché non incide sui meccanismi che hanno determinano e continuano a determinare la sua natura di chicco.
    Che determinano in termini di coscienza e personalità la sua egocentrica natura di chicco.
    Il problema vero da porsi , invece, è come arrivare a mettere in crisi quei meccanismi automatici che agiscono in lui, affinché risulti realmente possibile “morire”.
    Risulti realmente possibile andare al là della propria natura.
    Sostituire la vecchia prigione mentale (materiale) con una dorata, profumata di incenso, illuminata dalla luce suggestiva di mille lumini, con il sottofondo di una musica rilassante, seguendo l’insegnamento di Maestri e di Tradizioni di vario tipo, non vale niente, non porta frutto, perché il chicco continua a rimanere chicco.
    La sua natura non cambia.
    Anzi, il chicco si è rinchiuso in una prigione difficile da vedere, una prigione comoda e rassicurante da cui diventa sempre più difficile VOLER uscire.
    Roberto

  3. Grazie Roberto, come avrai visto in molti dei nostri articoli, condividiamo il fatto che la vera liberazione è quella dai propri meccanismi, che ci vivono e ci fanno agire come marionette in un teatrino. Questa è la battaglia della vita, ma come possiamo combattere con un nemico che non conosciamo, ma che anzi ci è stato fedele e nascosto compagno di viaggio fino ad oggi?
    Il primo passo secondo noi è alzare la testa dal prato dorato, o non dorato, che abbiamo davanti, spinti dalle tre fatidiche domande: Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? La ricerca delle risposte a queste domande porterà il chicco o la pecora a conoscere ciò che veramente è, o non è, a conoscere l’ambiente che lo circonda e forse a poter mettere la testa fuori da quella Mente che sembra permeare tutta la sua vita.
    Ovvio, lo dice anche la fisica: un sistema non può conoscersi e trascendersi con gli stessi strumenti contenuti in esso, occorre per forza uno stimolo/shock esterno. A questo sembra pensarci continuamente la vita, ma spesso noi siamo ottusi e a volte un po’ tontarelli, dunque non sarebbe male provare a trovare qualche “aiutino” in questo senso facendo riferimento a qualcuno o qualcosa a cui poter dare un pizzico di fiducia.
    Gli insegnamenti vari ci arrivano spesso annacquati, colorati e sdolcinati perché è così che a noi fa comodo recepirli, perché siamo noi a volerli prendere per cercare certezze e non per metterci in crisi. A nostro avviso invece molte tradizioni, se affrontate seriamente e in profondità (e non ci riferiamo certo ai corsi, corsetti, seminari, e mercati vari con dolcetti e sorrisetti) offrono strumenti per smascherare passo a passo proprio le sbarre dorate di cui tanto amiamo circondarci.
    Saluti

  4. Cari amici del blog,
    conosco la profondità del vostro impegno, la curiosità a 360 gradi e il senso critico che permea ogni vostro agire e il mio commento non era certo rivolto a voi, ma rappresentava una messa in guardia rivolta in generale a coloro che leggendo o frequentando il blog manifestano una particolare per certi temi.
    In realtà quello che mi ha intrigato è il fatto riportato nella parabola che per dar frutto il chicco deve morire…, particolare fondamentale, che non ricordavo.
    Una messa in guardia, comunque, che vale quel che vale, dato che viene da qualcuno che non ha verità in tasca da vendere, che annaspa in questo mondo come tutti e che ritiene, il seminare dubbi, molto più utile (e produttivo …) che coltivare certezze.
    Solo una precisazione: quando parlo di “meccanismi che hanno determinato e continuano a determinare la sua natura di chicco”, non mi riferisco a quei meccanismi psicologici-mentali consci ed inconsci che condizionano profondamente la nostra vita istante dopo istante in termini attenzione e automaticità delle reazioni e che ci rendono, è vero, simili a burattini.
    Mi riferisco a quel meccanismo automatico che comincia ad agire ogni volta che nasce un bambino, in qualsiasi parte del modo, sotto qualsiasi razza, cultura, religione, lingua e ceto sociale e che crea contemporaneamente la coscienza e l’identificazione.
    Che crea l’io.
    L’”io” che noi siamo. (…noi non abbiamo una coscienza, noi SIAMO la nostra coscienza; noi non abbiamo un “io” noi SIAMO l’”io… – è la mente che si inventa quelle distinzioni per salvare il “centro di coscienza” che serve…)
    Quell’”io” che risulta poi condizionato da quei meccanismi psicologici.
    Quel centro di coscienza, nel quale risultiamo identificati in modo assoluto, è il “chicco” in cui siamo imprigionati.
    E se prestare attenzione e “lavorare” sui meccanismi psicologici ci può portare a modificare in qualche modo l’identificazione, se può portarci a rendere “migliore” l’identificazione stessa, questo però non ci fa uscire dalla nostra natura.
    Come è, invece, possibile uscire definitivamente dall’identificazione ?
    Come si fa ad uscire dalla coscienza?
    Nel suo commento Fabio a un certo punto scrive: “se nella quotidianità riuscissi a spostare il punto di osservazione, il punto di identificazione …”
    Se si riuscisse, caro Fabio sarebbe la rivoluzione, corrisponderebbe al morire a sé stessi …
    Non è forse questo il punto fondamentale?
    Non è forse su questo che conviene puntare l’attenzione, concentrare le energie?
    Occuparsi d’altro, porsi degli obiettivi intermedi, non comporta invece una dispersione di forze? Non rappresenta un diversivo fuorviante?
    Non rappresenta una scappatoia per non affrontare il fatto di dover morire?
    Non rappresenta forse questo (il morire a sé stessi) l’unica possibilità che abbiamo per uscire dalla nostra condizione esistenziale, dalla nostra natura di chicco, per andare a vedere cosa c’è dopo?
    Per dare una possibilità al “sistema” che noi siamo (perché per fortuna non siamo solo l’”io”…) , di, almeno teoricamente, aprirsi all’Assoluto?
    Per quanto riguarda i Maestri e le Tradizioni se è di questo si occupano, ben vengano come specchio e come stimolo, ma se invece, al di là di quello che dicono, finiscono per indicarci come “salvarci”, se ci vogliono dire cosa c’è da fare (chi lo fa?)..) per salvarci …
    Personalmente, per quello che vale, rimango comunque convinto che senza libertà assoluta da qualsiasi autorità (compresa/soprattutto la propria .. ) ogni possibilità di liberazione dai noi stessi risulta preclusa.
    Un saluto di cuore.
    Roberto

  5. Il Maestro dice: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”, in particolare la Via dell’amore quello VERO, e SEPARATO (Qadosh) da questo mondo. Perché “tutto è vanità” e tutto è “un correr dietro al vento”. Questo mondo con le sue tradizioni secolari: il lavoro, le “feste comandate”, le sue istituzioni, etc. sono tutte destinate a scomparire, ma solo una cosa rimarrà per sempre: la Parola di Verità.

    E questa Parola si è fatta carne, attraverso il Messia, che appunto ci insegna ed esorta sempre a spogliarci dall’uomo vecchio legato a questo mondo, per il rinnovamento interiore se… viviamo in Lui!!!

    L’uomo vecchio deve morire, per lasciar spazio a l’uomo nuovo che si confà all’immagine del Messia.

    “Non mentite gli uni agli altri, perché vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue opere e vi siete rivestiti del nuovo, che si va rinnovando in conoscenza a immagine di colui che l’ha creato. Qui non c’è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.” (Col 3:9-11)

    “Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. Sappiamo infatti che il nostro VECCHIO UOMO è stato appeso al legno con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato; ” (Ro. 6:4-6)

    1. … non dimenticando però che un eccesso di Verità (o meglio, una presunzione di conoscere la Verità Ultima) rischia di portare proprio verso il suo contrario.
      Ci ha molto colpito a tal proposito un film recente, “Parola di Dio” Kirill Serebrennikov, che mette ben in luce questo delicatissimo aspetto.
      Un caro saluto

      1. In questo solo il Messia Yahushua, poteva sostenerlo, dato che la Potenza e la Grazia era potentemente dimorante in lui.

        Perciò è lui la nostra unica e vera “Lampada”, senza il quale vivremo nelle tenebre…

  6. Ricordo, era ragazzino, avrò avuto 10-11 anni, quando ho visto per la prima volta alla televisione il film “Il pianeta delle scimmie, l’originale, quello con Charlton Heston.
    Nel film c’è una scena in cui l’astronauta umano venuto dal passato, dopo esser riuscito a scappare dalla prigione, assiste ad una cerimonia religiosa del popolo delle scimmie.
    Ad un certo punto il sacerdote (naturalmente uno scimmione…) dice solennemente: “… E Dio creò la scimmia a Sua immagine e somiglianza …”.
    Io ebbi allora una fulminazione perché prendeva improvvisamente corpo, dentro di me, la possibilità che, su queste tematiche, potrebbe anche essere che ce la raccontiamo come più ci fa comodo e, poiché è quello che ci fa comodo, finiamo poi per crederci ciecamente.
    Questo con buona pace della Verità che, incurante dei nostri tentativi di ingabbiarla, è quello che è, ma che, forse, non può che rimanere a noi, per quello che siamo e fino a che rimaniamo quello che siamo , INCONOSCIBILE…

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