Il Verbo degli Uccelli

Nel poema più famoso del mistico persiano sufi Farid al-Din ‘Attar – Il Verbo degli Uccelli – si delinea un’impareggiabile metafora del Cammino che si prospetta di fronte a colui che decide di mettersi alla ricerca di se stesso.

Lungi dall’idea di poterne fare una sintesi esaustiva, illustreremo brevemente qui di seguito i punti chiave del poema, evidenziandone la simbologia sottesa.

Il poema si apre quando tutti gli uccelli del mondo decidono di radunarsi in una grande assemblea, ormai consci della necessità di trovare un re, per poter dare un senso e portare armonia nelle loro vite:

Dobbiamo unirci in fraterno sodalizio e partire alla ricerca di un re, essendo ormai chiaro che l’ordine e l’armonia non regnano tra sudditi privi di un sovrano.

L’Upupa (simbolo del Maestro, messaggero della realtà divina), l’uccello più saggio tra tutti, li convince ad intraprendere un difficile viaggio alla ricerca di un leggendario uccello (simbolo dell’Assoluto) che vive sull’albero dell’immortalità, l’unico in grado di rivestire a pieno diritto il titolo di re:

Noi abbiamo un re senza rivali che vive oltre la montagna di Qaf. Il suo nome è Simurgh (l’Amato) ed è il sovrano di tutti gli uccelli. Egli ci è vicino, ma noi siamo a una distanza infinita da Lui. La sua dimora è protetta da gloria inviolata, il suo nome non è accessibile a ogni lingua! Più di centomila veli celano Lui, che è oltre la luce e la tenebra.

Come potrebbe l’intelletto di un uccello volare là dove egli risiede? Quando mai scienza o ragione potranno giungere alla sua dimora? Non si conoscono vie che conducano a Lui, eppure senza di Lui non è possibile vivere!

Un viaggio così straordinario necessita uccelli dal cuore di leone, giacché lungo è il cammino e cosparso di abissi sconosciuti. Si procede nello stupore, continuamente cadendo e risorgendo. Scoprire una traccia di Lui costituisce un dono prezioso, giacché senza di lui la nostra vita si consuma vanamente.

Ed è così che tutti gli uccelli prendono a fantasticare eccitati sul quel glorioso re e sul viaggio avventuroso che li attende.

Ma proprio durante i preparativi della partenza, quando il momento si fa concretamente più vicino, ecco che iniziano a farsi prendere dai dubbi, dai timori e dall’angoscia, e molti di loro si tirano indietro rivelando la loro natura più infima.

L’Usignolo si loda di avere già il cuore colmo di passione per la bellezza degli esseri che lo circondano, e che quindi non gli serve cercare lontano altri oggetti d’amore.

Il Pappagallo si accontenta di una vita normale in cui poter trovare senza sforzi i semplici appagamenti ai bisogni ordinari.

Il Pavone è così tronfio di se stesso da lamentarsi del fatto che dovrebbe essere Simurgh a scendere verso di lui, e preferisce quindi aspettare quel momento nell’attesa del paradiso terrestre, piuttosto che salire verso l’immensità.

L’Oca teme di lasciare il luogo in cui si trova per rinunciare alla sua bellezza, per timore di giungere in un luogo in cui potrebbe perdere questa posizione ora riconosciuta da tutti gli altri uccelli.

La Pernice è avida di possessi già conquistati e a lungo accumulati, e non ha il coraggio di partire per lasciarseli alle spalle.

L’Huma è prigioniera dell’orgoglio e si illude di poter vivere come un dio in terra, senza il bisogno di concepire e cercare qualcuno più grande di lei.

Il Falco desidera servire un padrone qualunque, purché lo faccia sentire forte, ma non si preoccupa di servire i principi virtuosi che solo l’Amato può incarnare.

L’Airone si fa affossare dalla malinconia per il luogo in cui vive e ha vissuto, ed ha quindi il timore di non poter resistere lontano da esso.

La Civetta considera un’illusione l’esistenza di Simurgh e reputa impossibile che possa esistere un così alto livello di amore.

Il Fringuello è ipocrita e menzognero con se stesso, e cerca quindi di rivelarsi indegno e troppo fragile per un viaggio che in realtà non osa affrontare.

E fu così che molti uccelli desistettero.

Coloro che invece si misero in viaggio al seguito dell’Upupa, dovettero attraversare le Sette Valli, la rappresentazione simbolica delle dimensioni di esperienza che ogni iniziato si ritrova ad affrontare e che è chiamato a superare.

La Valle della Ricerca. Si affrontano i più duri contrasti interiori, dovendo rinunciare a tante vecchie abitudini fondate sulle apparenze. In questo luogo c’è continua tensione e non c’è modo di riposarsi un attimo. Occorre una curiosità che trascenda i limiti e occorre purificare il proprio intento, in modo che sia pulito da aspettative diverse da una semplice ed onesta ricerca interiore.

La Valle dell’Amore. Occorre innamorarsi ardentemente e giocare tutto in ogni istante per questo sentimento, imparando però ad orientarlo unicamente verso l’Amato, perché se rimane attaccato a singole persone non ci si potrà spingere oltre questa valle. Occorre aprire un nuovo occhio ed imparare a staccarsi dal mentale per spingersi oltre ad esso, perché se l’amore è fuoco, l’intelletto è fumo, e quando il primo appare il secondo si dissolve.

La Valle della Conoscenza. Difficile non smarrirsi nell’intrigo delle sue strade, d’altronde nessuna delle vie che conducono all’Amato sono simili. Quando il sole della conoscenza comincia a risplendere, in ogni atomo dell’Universo si potrà scorgere l’Amato, ma fino ad allora occorre non farsi abbagliare da false luci.

La Valle del Distacco. Qui si leva un impetuoso vento che in un lampo può cancellare un intero reame. Occorre lasciare la parola “voglio”, poiché davanti a questa formula si chiudono i portali che celano i segreti della vita.

La Valle dell’Unificazione. Uno sconfinato deserto dove si attraversano le stazioni della segregazione e dell’isolamento. La solitudine affascina offrendo un apparente senso di sicurezza interiore, ma tiene distanti anche dall’Amato. Solo chi passa oltre potrà scorgere il reale senso di unità del tutto.

La Valle dello Stupore. Qui si smarrirà la traccia di ogni cosa apparentemente reale, persino della propria idea di persona. Lo stupore è la crisi irreversibile che sorge dalla chiara consapevolezza della perduta comunione con l’Amato e la conseguente urgenza del ritorno a Lui. Il rischio di questa valle è di precipitare nell’abisso della disperazione.

La Valle della Privazione e dell’Annientamento. Dove le infinite ombre sono annullate in un unico sole. Naufragare in questo mare infinito vuol dire perdersi in una pace eterna e vedere il proprio cuore dolcemente smarrirsi tra i flutti. Se un impuro affonda però in questo mare, rimarrà intrappolato dentro i confini di se stesso trattenuto dalle sue stesse impurità. Il movimento del puro si uniforma invece a quello del mare, assaporando un mistero che sfugge a immaginazione e intelletto.

Uno su centomila riuscì infine a superare le Sette Valli e giungere alla meta. Dell’immenso stuolo di uccelli molti si fermarono durante il viaggio… uccisi, illusi, dispersi, eccetera. Solo 30 uccelli arrivarono a destinazione. Erano 30 corpicini ormai privi di ali e di penne, deboli e malati, con i cuori spezzati e le membra e l’anima distrutte, e però conobbero un’ineffabile presenza posta al di là dei confini dell’intelletto. Al termine del loro viaggio, essi stessi diventarono e si fusero con Simurgh, l’Amato.

2 risposte a "Il Verbo degli Uccelli"

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