Non molto tempo fa, un Rabbi se ne stava seduto con il suo giovane nipote. Il tono della loro conversazione era lieve e riguardava molti argomenti.
Quasi come se parlasse da solo, il Rabbi disse:
“Sai, nipote mio, è possibile apprendere delle grandi verità perfino dalle cose inanimate. Ogni cosa può insegnarci qualcosa.”
Interpretando la dichiarazione del Rabbi come una sfida, il giovane chiese:
“Dimmi, nonno, cosa mai potrei imparare da un treno?”
“Che per un solo secondo potresti perdere tutto”.
“E dal telefono?” chiese subito dopo. “Dimmi cosa mai potrei apprendere dal telefono”.
“Che quello che dici può sicuramente essere udito anche in luoghi distanti da te”.
“Dalla televisione?”
“Che la stupidità di qualcuno può catturare l’immaginazione di molti”.
“Dalla pubblicità?”
“Che i sazi possono essere trasformati in affamati con semplici immagini”.
“Da Internet?”
“Che si può perdere la saggezza in un eccesso di informazione.” [1]
Oggi, il nipote gli chiederebbe:
“Nonno, cosa mai potrei imparare dalla storia di questo virus?”
Probabilmente, il Rabbi gli direbbe di mettersi comodo, prima di iniziare…
“Che sull’altare della paura siamo disposti a sacrificare i nostri ideali e la nostra libertà, in altre parole a venderci l’anima.
“Che senza un intento chiaro e una disciplina di vita, le abitudini del momento possono divorarci trascinandoci in luoghi lontani e indesiderati.
“Che le parole ci affascinano, ci attraggono o ci spaventano molto di più dei fatti concreti.
“Che l’isolamento è una strada che conduce sempre lontano dalla felicità.
“Che le difficoltà inaspettate sono l’unità di misura del proprio livello spirituale.
“Che le conquiste interiori richiedono anni di lavoro, mentre bastano pochi secondi per gettarle tutte al vento.
“Che è molto facile prendere in giro le persone, mentre è molto difficile aiutarle a capire di essere state prese in giro.
“Che spesso tendiamo ad ammirare e ringraziare chi ci inganna, e allontaniamo e disprezziamo chi tenta di farci aprire gli occhi.
“Che siamo capaci di adeguarci a qualsiasi tipo di prigionia, arrivando anche al punto di difenderla e desiderarla.”
[1] Tratto da: Un silenzio straordinario. Racconti chassidici, a cura di Rami Shapiro, Giuntina, 2004.
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