Il ritorno a casa

Il viaggio di ritorno del giovane apprendista fu molto turbolento. Aveva rischiato di allontanarsi dalla scuola del Drudi per orgoglio personale. Si era affidato ad uno sconosciuto, incontrato nella foresta, pensando di poter diventare un druido più potente del suo Maestro, tornare indietro non era facile adesso. Questi erano i suoi pensieri mentre cercava di rimanere collegato all’energia della terra. Aveva trovato il contatto con le linee di forza quasi subito e sentiva di aver riacquistato un’unione più intima con la natura che lo circondava. Certo, i rumori della notte non lo lasciavano sereno. La cosa che più lo spaventava, erano le ombre che gli ricordavano la sua parte oscura appena incontrata e della quale aveva, adesso, una tremenda paura. L’altro aspetto che lo spaventava era l’ululato dei lupi in lontananza, che gli rievocavano, insieme alle ferite, l’avventura appena passata.

Due, forse tre volte pensò di mollare, di cambiare strada, cercare un altro villaggio e cambiare vita. Con che coraggio si sarebbe presentato dinnanzi al suo Maestro? Cosa gli avrebbe raccontato? Questi pensieri non gli davano tregua quando si fermò per passare la notte. Accese un piccolo fuoco per proteggersi e scaldarsi, ma la foresta ed i suoi rumori continuavano a tormentarlo. Improvvisamente, come uscite dal nulla, gli vennero in mente le parole del suo Maestro: “I druidi vivono in simbiosi con la foresta e tutti i suoi abitanti. Un druido che ha paura della foresta non è degno di essere chiamato con tale nome”. Quell’improvviso ricordo fece abbassare ulteriormente la sua autostima, già ai minimi livelli e come se non bastasse dal buio spuntò una figura umana che lo spaventò ulteriormente; un ragazzo, di qualche anno più giovane di lui, apparve tra gli alberi e gli si avvicinò chiedendo di riposare al suo fuoco.

Dopo l’iniziale timore, lo fece accomodare e gli chiese cosa lo portasse nel bosco di notte da solo. Il giovane raccontò di essere tra quei luoghi da qualche mese, per incontrare colui che voleva diventasse il suo Maestro: il Saggio Druido. Aveva sentito parlare della sua fama al suo villaggio natìo, molto lontano da quelle terre, ma dopo aver girovagato non era riuscito ad incontrarlo ed aveva deciso di rinunciare, era ora sulla via del ritorno. “Sono arrivato a pensare che i racconti che ho sentito su questo Maestro Druido siano inventati, è da mesi che giro in queste terre e non sono riuscito ad incontrarlo. Ogni villaggio mi manda al villaggio seguente e così via oramai da mesi”. Il giovane apprendista capì subito che si trattava del suo Maestro, ma rimase in silenzio. Pensava fosse meglio così, non voleva certo dare la possibilità al suo Maestro di sostituirlo con questo ragazzo, proprio adesso che ne aveva tutte le ragioni. Oltretutto, questo nuovo apprendista, aveva dimostrato molto coraggio e un sincero desiderio di incontrare il Saggio Druido.

Affrontando i pericoli di un viaggio solitario tra le foreste avrebbe sicuramente ricevuto l’attenzione del Maestro che sempre apprezzava chi era disposto a lasciare il conosciuto per lo sconosciuto. Decise così inizialmente di stare in silenzio e lasciare che il ragazzo partisse, ma oramai, doveva fare i conti con la sua parte risvegliata e la voce della coscienza parlò al suo posto: “Vi devo dare due buone notizie: la prima è che il Saggio Druido esiste, la seconda è che vi accompagnerò io da lui e sono certo sarà felice di vedervi”. Il giovane straniero non stava in sé dalla gioia e non finiva più di ringraziare il suo nuovo amico. I due uomini passarono entrambi la notte svegli ma per motivi completamente differenti.

All’alba i due partirono ed il giovane apprendista capì benissimo cosa significava quello che il Maestro ripeteva essere lo stato interiore di ogni uomo quando usava l’espressione “Vivere separati in casa”. Una parte di lui era felice di aiutare quel ragazzo, l’altra assolutamente no. Lo avrebbe volentieri abbandonato nel bosco e sarebbe fuggito verso il villaggio il più velocemente possibile. Questi alterni stati d’animo ed il fatto di dover affrontare il Maestro non lo rendevano sereno ed il viaggio proseguì in un costante silenzio.

Arrivarono al villaggio sul far della sera; il giovane allievo trovò una sistemazione per il suo compagno e si diresse con passo lento, molto lento, verso la casa del Maestro. Stette sulla porta un tempo indefinito analizzando i mille pensieri che gli frullavano nella testa. Un ramo di vischio era stato messo a seccare sull’uscio e pensò che la festa di Samahin fosse vicina. Probabilmente i preparativi, che lui si era perso, erano già stati fatti e i due giovani bianchi tori da sacrificare sotto il sacro albero, dove il vischio veniva raccolto dal druido con un falcetto dorato, erano già avvenuti. Ritornò con la mente alle ore passate con il saggio a conoscere le piante sacre, tra le quali il vischio ritenuta dai druidi la più sacra tra tutte per le sue qualità curative e magiche. Quei ricordi lo spinsero a superare le sue resistenze, per cui decise di entrare ed affrontare se stesso. La capanna era illuminata da un piccolo fuoco. Il Maestro, seduto sulla sua sedia, intagliava un pezzo di legno e non lo degnò neanche di uno sguardo. Dopo qualche minuto in cui l’allievo rimase impalato sull’uscio non sapendo se entrare o fuggire nei boschi, il Saggio Druido gli disse: “Entra, avrai fame, la minestra è pronta sul tavolo”.

L’allievo si sedette a mangiare, sentendosi ancora più in colpa; dopo tutto quello che aveva combinato il Maestro gli aveva fatto trovare anche un piatto caldo ed effettivamente la fame era molta, erano due giorni che non toccava cibo. La cena fu, comunque, il momento più pesante da sostenere di tutta la sua vita. Il Maestro di spalle a guardare il fuoco e a intagliare il legno. Lui che, dopo ogni cucchiaio, cercava di trovare il fiato per iniziare il discorso. Non riuscendo a far uscire la voce, prendeva un altro cucchiaio e restava lì, impalato, a guardare la schiena del Maestro. Quanto avrebbe voluto sentire la sua voce. Quanto avrebbe voluto che si girasse, anche un solo istante, a guardarlo. Avrebbe dato tutto perché fosse lui ad iniziare il discorso. Poteva accettare tutto dal Saggio Druido, in quel momento, tranne il suo silenzio che, purtroppo, era l’unica cosa gli veniva offerta insieme a quel piatto caldo di minestra.

L’allievo si accorgeva che il tempo scorreva in una modalità diversa dall’usuale, così differente che non era nemmeno quantificabile; infatti, non avrebbe saputo dire se fosse trascorsa un’ora o cinque minuti da quando era entrato. Anche questo faceva parte dell’Insegnamento del Saggio Druido che molte volte aveva spiegato al giovane allievo che il tempo sulla Terra non si muove in maniera lineare, come per convenzione noi lo intendiamo; il tempo si muove a spirali e come noi lo percepiamo è totalmente dipendente dai nostri stati d’animo. Adesso capiva esattamente di cosa parlava il Maestro quando diceva che colui che trova il suo centro, il suo Testimone Interiore, è in grado di controllare il tempo. Alla fine la cena, tra mille pensieri e patimenti, finì ma nemmeno una parola da parte del Maestro.

Poi l’allievo si fece forza e trovò il coraggio di parlare. Gli sarebbe sembrato troppo uscire senza dire una parola, anche se l’idea gli balenò nella mente almeno un paio di volte: “Maestro… mi dispiace”. La sua voce si fece flebile e faceva fatica a controllarla. “Sono stato nel bosco tutte queste notti e… ho pensato cose terribili su di voi, anche di lasciarvi”. Deglutì la saliva a fatica: “Pensavo… sì, insomma…pensavo che voi non volevate che io progredissi nel mio percorso per diventare druido”. “Altro?” disse il Maestro, alla stessa maniera con cui avrebbe risposto se l’apprendista gli avesse detto di aver rovesciato l’acqua sul tavolo. Il giovane allievo avrebbe voluto fermarsi pensò subito di non aggiungere altro, in fondo tutto il resto era ormai passato, che beneficio poteva avere raccontare tutti i particolari? Così rispose: “Nient’altro Maestro…”.

Nel frattempo, passato qualche secondo, quella parte dentro di lui che aveva preso vita, non gli dava tregua. Sentiva che avrebbe dovuto raccontare tutta la verità e che solo così avrebbe potuto cominciare una nuova vita. Doveva semplicemente prendere atto di come era realmente fatto, lasciare l’importanza personale e, senza trascurare nessun particolare, raccontare tutta la verità. Solo così la sua parte oscura sarebbe venuta alla luce, solo così avrebbe potuto vederla completamente. “Maestro… in realtà ho pensato che voi avevate paura del mio potere, che io divenissi più forte di voi”. Poi raccontò, con dovizia di particolari, quanto successo in quei giorni: Corvo Rosso, l’incontro con i lupi, la battaglia con il lupo nero. Il Maestro ascoltava senza battere ciglio e il giovane apprendista non riusciva a scorgere nemmeno una minima espressione di sorpresa, rabbia o delusione nel suo volto; aveva la netta impressione, come molte altre volte era successo, che il Maestro sapesse già tutta la storia nei minimi particolari. Alla fine, con ciò che sembrava uno sguardo di dolcezza e comprensione, il Maestro disse: “Adesso vai a riposare, ci vediamo domani all’alba”. L’allievo aveva già aperto la porta e stava per uscire quando si fermò sull’uscio: “Maestro, se non fossi tornato, sareste venuto a cercarmi?”. Il Maestro interruppe per un secondo il suo lavoro, alzò lo sguardo e rispose: “L’ho fatto!”. Poi, abbassando la testa nel pezzo che stava intagliando, disse: “Domani voglio vedere anche il nuovo venuto che hai portato con te”; come sempre il Maestro sapeva tutto in anticipo.

L’allievo, ancora stordito da quella risposta, uscì dalla capanna con lo sguardo perso nel vuoto: “Che voleva dire il Maestro con “L’ho fatto”? Quando sarebbe venuto a cercarmi?”. Poi, come se qualcuno gli avesse suggerito la soluzione dell’enigma all’orecchio si mise a piangere disperatamente. Vide chiaramente tutto, mentre ripeteva tra sé e sé: “Il falco, il falco, il falco…”.

Restò così, in ginocchio, singhiozzante mentre trovava in ogni segno l’impronta del Maestro, la sua silenziosa presenza. Senza mai interferire il Saggio Druido era rimasto sempre al suo fianco. Quante piccole “corde” trovò tra i suoi ricordi. Oltre al falco, che l’aveva risvegliato con i suoi richiami, il saggio aveva disseminato intorno a lui innumerevoli segnali: dai fili d’erba piegati a forma di Ansuz, la Runa del Maestro, fino al vecchio che lo aveva medicato sotto il sacro albero Yggdrasill, senza contare il frastuono delle gazze, due, che il Maestro aveva sempre definito le sue amiche, che lo avevano perseguitato tutti i giorni lanciando i loro richiami in ogni dove. Solo adesso vedeva che la natura tutta si era mossa per risvegliarlo dal suo torpore, ma il maestro d’orchestra era, senza dubbio, lui, il Saggio Druido. Quando si riprese, si asciugò le lacrime, andò dal nuovo arrivato e gli disse: “Domani il Saggio Druido ci aspetta all’alba, fatti trovare pronto”.

Il sole doveva ancora sorgere, ma i due ragazzi erano pronti davanti alla casa del Maestro, mentre quest’ultimo dava il benvenuto al giovane arrivato. L’allievo si stupì di non sentire nessuna gelosia nei suoi confronti, nemmeno quando il nuovo arrivato, ancora prima di presentarsi, chiese al Saggio Druido di diventare suo allievo.

Poi si presentò con il suo nome, Bran, ma era da tutti conosciuto come Colui che Corre Veloce. Questo nome non era dovuto al fatto che il ragazzo fosse un abile corridore, anche se comunque lo era, come la maggior parte della gente della foresta. Il suo nome significava “Colui che farà molte esperienze nella vita grazie alla sua curiosità e voglia di conoscere”. Il lato oscuro, invece, di quel nome era che la smania di nuove esperienze portava con sè il rischio di non approfondire nulla e di vivere superficialmente. I nomi venivano dati, sì, per caratteristiche fisiche ma sempre corrispondevano ad un possibile sviluppo spirituale e contemplavano, allo stesso tempo, i possibili ostacoli.

Il Maestro condusse i due ragazzi nel bosco sotto una grande quercia, poi chiese loro: “Cosa sono queste piantine che nascono vicino al tronco della quercia?”. I due risposero all’unisono: “Sono piccole querce che crescono protette dalla loro grande madre”. Poi il Saggio Druido prese con sè il giovane allievo lasciando in disparte il nuovo arrivato e continuò: “Mio giovane allievo, oramai è qualche anno che sei protetto dalla grande quercia, adesso il tuo fusto è forte. È arrivato per te il momento di prenderti cura di una piantina, sarai tu il tutore del nuovo arrivato, sarai tu il suo responsabile e lo inizierai al nostro Insegnamento”. Il giovane rimase stordito: “Ma… mio saggio signore, io non sono adatto, non saprei da dove partire, inoltre, ho appena rischiato di lasciare la Scuola, che mai potrei condividere con lui?”. Impassibile a quei lamenti il druido rispose: “La tua esperienza, solamente la tua esperienza”. Poi, voltandosi, tornò verso il nuovo arrivato: “Nostro giovane amico, farai parte della Scuola, hai finalmente trovato un fratello maggiore e farai riferimento a lui, ricordati che è il tuo testimone esteriore fino a che non ne costruirai uno tuo, interiore, che ti parli direttamente”. I due ragazzi annuirono, così era deciso.

Il giovane allievo passava le giornate tra il Saggio Druido e il nuovo arrivato, condividendo molte volte il Maestro con Colui che Corre Veloce. Più i giorni passavano più notava come l’affetto verso il suo fratello minore crescesse; era comunque un nuovo tipo di sentimento, che non aveva mai provato prima. Ogni momento della giornata, ogni suo pensiero, era dedicato a trovare modi per aiutarlo, cercando di non interferire direttamente nella sua vita e nelle sue scelte, cosa per lui difficilissima. Aiutare qualcuno a conoscere se stesso, vedendo chiaramente le sue dinamiche senza poterle esprimere direttamente era molto difficile.

Il Maestro, comunque, era stato chiaro quando aveva chiesto chiarimenti su come portare avanti l’Insegnamento con il nuovo arrivato: “Tu puoi condividere solo la tua esperienza, nulla di più. Il resto deve essere la sua esperienza che tu non puoi evitargli per nessuna ragione, puoi solo evidenziare delle sue caratteristiche che emergono nelle diverse occasioni; starà a lui, e solo a lui, scegliere che farsene. Riuscire a mettere da parte se stessi, i propri bisogni, il proprio ego, accettando che l’altro faccia la propria esperienza senza interferire, è amicizia. Questa è l’unica cosa che puoi offrire tu al momento, dovresti sapere bene cosa intendo io per amicizia”. “Certo!”, disse l’allievo con un amaro sorriso, “Peccato che il mio nuovo amico abbia idee diverse sul concetto di amicizia e mi rinfacci continuamente di trattarlo male perché voglio che se ne vada”. “Benvenuto nel mondo dei druidi, mio giovane allievo”, e continuò dicendo: “Questo genere di aiuto è il più grande gesto di amicizia che si possa compiere verso un’altra persona, ma si tratta di un’operazione chirurgica interiore delicatissima che richiede estrema decisione e sensibilità allo stesso tempo. Non c’è posto per la pietà ma solo per una compassione attiva in grado di trascendere le comuni convenzioni” (1). Tutto era estremamente chiaro e, allo stesso tempo, estremamente difficile.

Più tardi, approfittando di un momento di solitudine, il giovane allievo chiese al Saggio Druido della Runa Laguz, che tanto scuotimento aveva provocato: “Maestro, il giovane che mi avete affidato mi chiede delle Rune, io posso raccontare molte cose su di loro e la mia esperienza mi dice di non inciderle fino a che non si conoscono; sinceramente, però, non ho ancora capito perché Laguz, la Runa che avevo intagliato, avrebbe creato tutta questa situazione e da cosa ve ne siete accorto che era lei la Runa che avevo inciso?”. Il Maestro assunse quella posizione, che l’allievo conosceva e per cui sapeva stesse per dire una cosa molto importante: “Mio giovane allievo tu conosci delle Rune la parte teorica, conosci perfettamente tutti i loro nomi e magari qualche aspetto più nascosto, ma non hai capito fondamentalmente nulla del loro reale significato, soprattutto riguardo a Laguz. Stiamo parlando di energia, della forma più pura di energia, che si materializza, nel nostro campo di vita, attraverso una semplice incisione, ma che racchiude in essa un simbolo molto potente che si esprime attraverso tre aspetti: il suono, la forma e il significato. Tutti ne conoscono il significato ordinario ma è il significato simbolico che tu, come druido, sei chiamato a conoscere. I primi tre aspetti sono alla portata di tutti, quest’ultimo no ed è anche l’unico che ti aprirà le porte al mondo della magia. Adesso guarda!”.

Dinnanzi a loro, vi era un piccolo laghetto. L’allievo assunse quell’espressione di chi sta cercando nel suo cervello una connessione neurale che gli permetta, per qualche azione miracolosa, di vedere qualcosa all’istante. Sperava di poter dare al Maestro la risposta giusta, purtroppo, anche quella volta, niente successe e l’allievo si ritrovò con la sua espressione disorientata dinnanzi al Maestro che continuò: “Guarda questo stagno, come ti sembra? L’allievo osservò dinnanzi a sé, poi disse: “Bellissimo, un luogo di pace”. Per il Maestro non era sufficiente: “Vieni, avviciniamoci alla riva, guarda l’acqua e dimmi cosa vedi”. L’allievo scrutò la superfice del lago poi esclamò: “Non vedo il fondo”. “Cioè?”, chiese il Maestro. “Vedo la superficie, ma le acque sono troppo scure e profonde e non vedo il fondale, la bellezza, la pace, l’armonia che percepivo da lontano guardando la superficie; adesso si è trasformata in un senso di inquietudine”. I due rimasero a fissare l’acqua scura per un po’ di tempo, sulla cui superficie si riflettevano, come un lucente specchio, le piante che li circondavano. “Vedi, l’essere umano è fatto nella stesso maniera: una bella superficie limpida che riflette mille luci e colori, ma cosa si nasconde nelle sue profondità nessuno lo conosce. È la paura di andare al proprio interno, di sondare quelle oscurità che fa sì che gli esseri umani si aggrappino disperatamente alla superficie. Dimmi qualcosa sull’oscurità di queste acque?”.

L’allievo rimase in silenzio; quell’oscurità diventava, con il passare del tempo, sempre più inquietante, fino a che distrasse lo sguardo e disse: “Mi spaventa!”. Lo disse con una convinzione che stupì anche se stesso, poi continuò: “Che creature si nascondono o Saggio Druido in quelle profondità?”. “Le stesse che vivono dentro ogni uomo, anche dentro di te. Energie che la maggior parte degli uomini non conoscerà mai perché non avranno mai il coraggio di osservarle, dopo un po’ devono distogliere lo sguardo, proprio come stai facendo tu”. L’allievo alzò lo sguardo sconfortato: “Maestro, ma se è così, mi chiedo se esisterà mai un momento in cui un uomo avrà il coraggio di guardare nelle profondità oscure di se stesso…”. “Esiste, se è questo che ti interessa sapere”. L’allievo parve disorientato, poi disse: “No! Quello che io voglio sapere è quando un uomo desidera guardare”.

Il Saggio Druido lasciò che il vento si alzasse e muovesse le chiome degli alberi, poi disse: “Quando un uomo perde l’importanza personale perché scopre che al suo interno vivono mille personalità e che lui non ne controlla nessuna, anzi è controllato, a seconda delle occasioni, ora dall’una ora dall’altra. Quando l’uomo scoprirà che è succube delle sue passioni che lo spingono in mille direzioni una opposta all’altra, quando l’uomo scoprirà che vive a livello di istinti, controllati da una morale che lo imbavaglia e allo stesso tempo lo protegge dallo scannarsi vicendevolmente, in quell’istante, forse, spaventato dalla consapevolezza di ciò che ha visto di se stesso, potrà trovare il coraggio di entrare nelle sue paludi. Il Maestro attirò l’attenzione del giovane allievo su una mantide religiosa che si stava avvicinando all’acqua e gli disse: “Osserva!” La mantide, dalla foglia su cui era appoggiata, si lanciò in acqua. Immediatamente dal suo ventre cominciò ad uscire un verme parassita della lunghezza doppia del corpo della mantide (2); poi, quando fu completamente uscito, il povero insetto rimase immobile, senza vita, a galleggiare nell’acqua, mentre il verme scivolava via alla ricerca di un nuovo ospite.

Il Maestro fissò l’allievo, che aveva impressa nel volto l’espressione della paura: “Hai capito adesso? La mantide è arrivata all’acqua pensando di essere lei a volerlo, pensando di avere sete o di avere bisogno di un bagno rinfrescante, ma chi era in realtà che comandava i suoi movimenti? Il parassita che viveva dentro di lei! Ed è così che vive l’uomo, spinto a soddisfare le mille voci che risuonano nel suo cervello, voci comandate, a loro volta, da tutti i parassiti energetici che vivono dentro e fuori di sé”. Niente poteva essere più chiaro di quell’esempio, niente gli sarebbe rimasto impresso nella mente più di quella scena, come diceva sempre il Maestro: “Le parole, ad un certo punto, non servono più, conta solo l’esperienza personale”.

 “Ti ricordi perché siamo qui?”. L’allievo trasalì, la sua mente cercò di risalire velocemente al filo del discorso, fino a che, con un sospirò di sollievo disse: “Laguz”. Il saggio continuò: “Questa Runa nel suo significato più profondo rappresenta colei che porta alla superficie il nostro lato nascosto, colei che scende nelle profondità del nostro inconscio e porta la luce tra le nostre stanze segrete. È facendo ciò che emergono i nostri demoni. Tu hai risvegliato, incidendola, la sua forza. Hai richiamato il suo potere che non conoscevi e non eri in grado di controllare; il problema dell’uomo è che non conosce se stesso. Se non conosci ciò che vive dentro di te, come farai a riconoscerlo quando si presenterà nella tua vita? Come la mantide, darai significati che permettono a queste energie di sopravvivere e crescere al tuo interno, fino a che sarai completamente vittima della loro volontà”.

L’allievo adesso capiva molte cose; tutti quei pensieri sul Maestro, sull’Insegnamento, erano cominciati molto tempo prima, piccoli sussurri, piccoli gesti che, via via non visti, prendevano forza e crescevano insieme alla sua energia. Provenivano da quella parte di lui che viveva nelle sue oscurità e che lui, aveva certamente percepito, ma non aveva voluto osservare. Era molto meglio guardare la superficie, dove i suoi accresciuti poteri lo facevano sentire speciale agli occhi della gente del villaggio.

 “Saggio Druido, da cosa l’avete capito che avevo inciso proprio Laguz?”. Il Maestro lo guardò con severità: “Non è importante per te sapere queste cose, potrebbero darti informazioni che creano uno schema mentale che sarà difficile da togliere e, in futuro, assoceresti per sempre Laguz a queste parole. Nel nostro mondo, uno più uno non fa sempre due. L’unica cosa che posso dirti è quello che ti ho sempre insegnato in questi anni: Osserva i particolari. Osserva con attenzione ciò che succede intorno a te, senza dare nulla per scontato. Stupisciti, come un bambino, della realtà che ti circonda e vedrai molte cose che al momento non riesci a scorgere”.   


(1) Tratto da, L’Alleanza Sacra, Associazione per Ankh, 2019.

(2) Per approfondire l’argomento si rimanda al link allegato sul comportamento della mantide in acqua.

Leggi i capitoli precedenti dei Dialoghi con il Druido:

Ascolta il racconto in formato podcast:

Ascolta tutti i Dialoghi in formato podcast nella playlist dedicata:

Una risposta a "Il ritorno a casa"

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  1. Bellissimo ❤️
    Ho appena finito di leggere l’articolo,sono emozionata e felice di avere la possibilità di accedere a queste letture .
    Da quando ho iniziato questo viaggio è una continua scoperta non sempre facile , anzi Voglio fare questo viaggio perché non ho più tempo
    Grazie per quello che condividete, grazie per chi con estrema pazienza mi sta aiutando in questo percorso ❤️

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