La parola tradimento evoca nelle nostre menti un significato negativo e un senso di disagio. Chi perpetra il tradimento è, nel nostro immaginario culturale, il peggiore essere umano con cui si possa avere a che fare, così come l’essere traditi una delle più terribili condizioni.
Ma esiste anche un altro significato di tradimento, estremamente più profondo e interessante, che lo pone come vera necessità dell’Anima.
Il rabbino Nilton Bonder, nel suo libro l’Anima Immorale, ci aiuta ad osservare l’infedeltà da questa prospettiva in contro-corrente morale, attraverso la voce della millenaria Tradizione Ebraica.
Per l’autore, infatti,
l’anima produce un desiderio complesso: rendersi immortale attraverso la trasformazione.
E la trasformazione non è mai indolore, è un abbandonare una terra conosciuta (di cui spesso ci lamentiamo ma alla quale siamo ormai abituati e “affezionati”) per viaggiare verso una nuova terra; è un lasciare una casa per costruirne un’altra; è un abbandonare e tradire dei vecchi valori per seguire i dettami e gli impulsi di quel principio evolutivo e trasgressore che è l’Anima.
L’anima è la custode del tradimento e dell’evoluzione.
Noi siamo continuamente sottoposti a dei contratti: a partire dall’essere figli, che sott’intende l’onorare un contratto ed i suoi termini. Ad esempio, il processo di individuazione e di crescita impone che l’adolescente cominci a rinegoziare i termini del contratto fino a quando infine lo romperà e lo tradirà per sottoscriverne uno nuovo, formando così una nuova famiglia.
Potremmo spingerci a dire che il processo evolutivo stesso è un continuo susseguirsi di contratti sottoscritti e poi sciolti (o rinegoziati) al momento giusto, quando la vita stessa lo richiede. Paradossalmente, è proprio il voler rimanere ostinatamente attaccati ai vecchi parametri – quando questi ultimi risultano non più adeguati – che crea quell’inspiegabile sofferenza esistenziale.
Quante volte ci sarà capitato di desiderare ed evocare ardentemente una situazione esistenziale diversa, migliore, ma poi, quando la vita finalmente apre le porte invitando a fare un piccolo passo oltre la soglia per scoprire qualcosa di nuovo, noi ci guardiamo indietro timorosi di perdere qualcosa ed infine restiamo dove siamo aggrappandoci a mille scuse?
A tutti noi piace sentirci spiriti liberi, ribelli e coraggiosi eroi anticonvenzionali. Il problema è che quando si crea l’opportunità di andare concretamente al di là degli schemi, ecco che emergono tutte le resistenze del caso (“chissà cosa perderò”, “tutto sommato qui non è poi così male”, “forse non sono ancora pronto”, eccetera).
Insomma, la fedeltà più ostinata a volte può tramutarsi nel peggior trauma per l’Anima. È per questo motivo che anche per la Tradizione Ebraica il viaggio dell’essere umano comincia proprio da una trasgressione, da un tradimento. Adamo ed Eva non sono puniti per aver trasgredito un ordine divino; sono portati e condotti a farlo in libertà perché è attraverso quella scelta che comincia la possibilità della trasformazione.
La Tradizione Ebraica ed il libro sacro a cui fa riferimento, la Torah, è costellata da tradimenti, traditori e traditi illustri, ma Rabbi Nilton Bonder ci dice che
il tradito rappresenta la polarità del conformismo, mentre il traditore è il testimone di una scelta di rottura, pertanto un fedele cavaliere dell’Anima.
L’essere umano è un mutante, il senso del suo essere è la mutazione ed il cambiamento. L’Anima è il principio, il seme che spinge l’uomo a rompere le cristallizzazioni, che assumono la forma ed il colore della morale sociale, familiare, coniugale e personale, con tutti i significati che ne derivano. Prima o poi diventa quindi necessario tradirli per rispondere all’impulso di quel principio e dare atto al processo di trasformazione, perché
l’Anima ci rende immortali con una piccola clausola; non è esattamente noi che perpetua, ma ciò che in noi si è trasformato.
Chiave di questa trasformazione è però la capacità di riconoscere e percepire i “luoghi interiori” cristallizzati del conformismo, delle abitudini, della buona moralità (che ci fa apparire accettabili e stimati agli occhi degli altri) e della fedeltà ipocrita. La Tradizione Ebraica rappresenta e racchiude simbolicamente tutti questi aspetti nella terra d’Egitto, infatti il termine ebraico Mitzraym significa appunto “luogo stretto”.
La nostra insensibilità prospera quando non si rompe nessuna convenzione con ciò che ferisce i codici della morale animale. Ogni volta che facciamo ciò che è atteso, rinsaldiamo un modello automatico di torpore. Esiste in noi una tendenza a compiacere noi stessi, gli altri e la morale della nostra cultura. In questo modo noi perdiamo progressivamente noi stessi. E il risvegliarsi è la capacità di percepire situazioni spaventose nelle nostre vite, tanto sul piano privato che su quello sociale e culturale. Da questo spavento sorge un nuovo modo di essere, un nuovo tipo di «famiglia», un nuovo tipo di «proprietà» e un nuovo tipo di «tradizione». L’immutabilità dell’essere e della famiglia, della proprietà e della tradizione è la proposta disperata di negare la natura umana che è mutante e richiede nuove forme di «morale».
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