Se l’uomo immagina di avere qualcosa, non si impegnerà a conquistarla.
M. Nicoll 1
La nostra principale illusione, il maggiore errore che facciamo riguardo a noi stessi è considerarci come uno; parliamo di noi stessi come io, e supponiamo di riferirci sempre alla stessa cosa, mentre in realtà siamo divisi in centinaia e centinaia di io differenti. In un certo momento, quando dico io, sta parlando una parte di me; e in un altro momento, quando dico io, è completamente un altro io che parla.2
L’uomo è un essere multiplo. Solitamente, parlando di noi stessi, diciamo “io”. Diciamo: “io” faccio questo, “io” penso quello, “io” voglio fare quell’altro. Ma è un errore. Questo “io” non esiste, o meglio, in ciascuno di noi ci sono centinaia, migliaia di piccoli “io”.
Interiormente siamo divisi, ma soltanto con l’osservazione e lo studio possiamo riconoscere la pluralità del nostro essere. In un certo momento, agisce un “io”, il momento dopo un altro “io”. I nostri “io” sono contraddittori: ecco il motivo del nostro funzionamento disarmonico.
Ordinariamente viviamo soltanto con un’infima parte delle nostre funzioni e della nostra forza, perché non ci rendiamo conto che siamo delle macchine e non conosciamo la natura e il funzionamento del nostro meccanismo.3
I nostri differenti io sono collegati con i nostri sentimenti e desideri, i quali non hanno un io che li controlla. Questi io cambiano continuamente. Uno soffoca l’altro, uno rimpiazza l’altro, e tutta questa lotta forma la nostra vita interiore.
Gli io che vediamo in noi stessi sono divisi in vari gruppi. Alcuni di questi gruppi sono legittimi, appartengono alle giuste divisioni dell’uomo, mentre altri sono del tutto artificiali e sono creati da insufficiente conoscenza e da certe idee immaginarie che l’uomo ha di sè.4
L’alternarsi di questi io, le loro lotte manifeste, di ogni istante, per la supremazia, sono comandate dalle influenze esteriori accidentali. Il calore, il sole, il bel tempo richiamano subito tutto un gruppo di io. Il freddo, la pioggia, la nebbia richiamano un altro gruppo di io, altre associazioni, altri sentimenti, altre azioni. E non c’è niente nell’uomo che sia in grado di controllare i cambiamenti di questi io, principalmente perché l’uomo non li nota, o non ne ha alcuna idea; egli vive sempre nell’ultimo io. Alcuni, naturalmente, sono più forti degli altri, ma non della loro propria forza cosciente. Essi sono stati creati dalla forza degli avvenimenti o dagli stimoli meccanici esterni. L’imitazione, l’educazione, la lettura, l’ipnotismo della religione, delle caste e delle tradizioni, o la seduzione degli ultimi slogan, danno origine nella personalità dell’uomo a degli io molto forti che dominano intere serie di altri io più deboli.5
Quando una persona che va a letto tardi decide assolutamente di andare a letto presto la notte seguente, e poi quando questa viene si regola diversamente, si ha un esempio di differenti io operanti.6
Provate a decidere di fare qualcosa: il vostro io intellettuale può prendere una decisione, ma quando viene il momento di eseguirla, con ogni probabilità vi sorprenderete a fare esattamente il contrario. Se le circostanze sono favorevoli alla vostra decisione, può darsi che riuscirete ad eseguirla, ma se sono sfavorevoli, farete tutto ciò ch’esse imporranno.7
L’ALLEGORIA DELLA CASA
Allo scopo di chiarire lo scopo del lavoro a proposito degli io, possiamo servirci di un’allegoria orientale. In essa l’uomo è paragonato ad una casa piena di servitori, senza padrone o maggiordomo che li controlli, i servi perciò fanno quello che vogliono e nessuno fa il proprio lavoro.
La casa è in uno stato di caos completo perché tutti i servi cercano di fare il lavoro di qualcun altro senza essere capaci di farlo. Il cuoco lavora nelle stalle, il cocchiere in cucina e così di seguito. L’unica possibilità che le cose migliorino è se un certo numero di servi decide di eleggere uno di loro Maggiordomo Interinale dandogli in tal modo il controllo degli altri servi. Questi può fare soltanto una cosa: mettere ciascun servo al posto che gli compete e così essi cominceranno a fare il loro giusto lavoro.
Quando ciò è stato fatto, c’è la possibilità che arrivi il vero Maggiordomo a rimpiazzare il Maggiordomo Interinale e a preparare la casa per il Padrone. Non sappiamo cosa significhi il vero Maggiordomo o cosa significhi il Padrone, ma assumiamo che la casa piena di servi e la possibilità di un Maggiordomo Interinale illustrino la nostra situazione.
Tra il presente stato di pluralità e quello di un solo io controllante che vogliamo raggiungere, esistono determinate fasi di sviluppo che dobbiamo studiare. Ma prima dobbiamo comprendere che esistono certe formazioni in noi, non conoscendo le quali non possiamo comprendere come alla fine arriviamo dal nostro stato presente allo stato di un solo io, sempre che ciò sia per noi possibile.
I nostri io, sebbene non siano collegati tra loro e non si conoscono l’un l’altro, sono divisi in gruppi. Ciò non significa che siano divisi consapevolmente, ma sono divisi dalle circostanze della vita. Questi gruppi di io si manifestano con i ruoli che l’uomo recita nella sua vita. L’uomo stesso raramente nota queste differenze.
Ad esempio uno ha il proprio ruolo per il proprio lavoro, un altro per la propria casa, un altro tra i suoi amici, un altro si interessa di sport e così di seguito. Tutte le persone, che lo sappiano o no, che lo desiderino o no, hanno determinati ruoli che essi recitano. Questa recitazione è inconscia. Se potesse essere conscia sarebbe completamente differente, ma uno non si accorge mai che passa da un ruolo all’altro o, se se ne accorge, egli persuade se stesso che lo sta facendo apposta, che è un’azione conscia. In realtà il cambiamento è sempre controllato dalle circostanze, non può essere controllato dall’uomo stesso, perché egli stesso non esiste ancora.
A volte ci sono evidenti contraddizioni tra un ruolo e un altro. In un ruolo uno dice una cosa, ha determinate opinioni e convinzioni; poi egli passa in un altro ruolo ed ha convinzioni assolutamente differenti e dice cose completamente diverse, senza accorgersene, oppure pensando di farlo consapevolmente.8
Ecco perché uno dei primi e più importanti fattori nel cercare di cambiare se stessi è questa divisione di noi stessi in io e in qualunque sia il nostro nome. Se non viene fatta questa divisione, se uno la dimentica e continua a pensarsi nella solita maniera, o se egli si divide nella maniera sbagliata, il lavoro si arresta.9
LA PLURALITÀ E L’INIZIO DEL LAVORO INTERIORE
Quando iniziamo a renderci conto di non essere uno ma di essere parecchi, di poter sapere qualcosa con certezza al mattino e di non sapere nulla nel pomeriggio, allora questa comprensione è l’inizio del lavoro. Questo non significa che se ci rendiamo conto di tale pluralità possiamo cambiarla e diventiamo diversi, ma solo che questa comprensione è il primo passo.
Nel Sistema, la parola io può essere detta in cinque maniere, in cinque livelli diversi.
L’essere umano nel suo stato ordinario è una molteplicità di io: questo è il primo significato.
Quando una persona decide di lavorare, appare un io osservatore o gruppo di io, come mostrato in nero nel diagramma. Questo è il secondo significato.
Il terzo significato, indicato dal circolo più piccolo, è quando appare il Maggiordomo Interinale.
Il quarto significato, indicato dal circolo mediano, è quando appare il Maggiordomo, che ha il controllo di tutti gli io.
Il quinto significato è quello del Padrone, rappresentato dal grande circolo esterno, che ha un Corpo-Tempo. Egli conosce il passato e anche il futuro, sebbene ci debbano essere diversi gradi di ciò.
Queste centinaia di io formano determinati gruppi in cui i vari io lavorano insieme. Alcuni di questi gruppi sono naturali, altri artificiali, e alcuni sono addirittura patologici. La prima divisione naturale degli io è in base alle funzioni: intellettuale, emozionale, istintiva e motoria.
Lo scopo del lavoro è di collegare gli io interessati ad esso e aiutarli a diventare uno solo. Se parecchi io diversi sono interessati e non si conoscono reciprocamente, un io o gruppo di io può fare una cosa e un altro un’altra cosa, senza saperlo.10
Il piccolo gruppo di io interessati al lavoro vanno coltivati facendo giusti sforzi di studio e sviluppando un numero più grande di io, di modo che questo piccolo gruppo di io possa crescere e dopo qualche tempo divenire sufficientemente grande e forte da controllare l’intero e mantenere la direzione.11
Si può infatti dire io parlando di se stessi solo in relazione al proprio lavoro per uno scopo preciso: studio di sé, studio del Sistema e così via. In altre cose bisogna rendersi conto che esso non è realmente noi, ma solo una piccola parte di noi, quasi tutta immaginazione. Quando si apprende questa distinzione, quando questa diviene una costante abitudine, sentiremo noi stessi nella maniera giusta. Ma se diciamo sempre io a tutto senza discriminazione, ciò aiuta soltanto le nostre tendenze meccaniche e le rafforza.12
In condizioni ordinarie quindi, quando diciamo “Io non desidero”, sarebbe bene chiedersi “Quale dei miei io non desidera?”. In tal modo ricordiamo costantemente a noi stessi questa pluralità. Il principio della conoscenza di sè è conoscere chi parla in noi e di chi ci possiamo fidare. 13
PERTURBARE I RUOLI
Ogni essere umano ha un repertorio definito di ruoli che recita nelle circostanze ordinarie. Egli ha una parte per ogni genere di circostanze in cui si trova abitualmente, ma se lo si mette in circostanze leggermente differenti, sarà incapace di trovare una parte che si addice alla situazione, e per un breve istante egli diverrà sé stesso.
Lo studio delle parti che ciascuno recita è un aspetto indispensabile della conoscenza di sé. Il repertorio di ogni uomo è estremamente limitato. Vedere i propri ruoli, conoscere il proprio repertorio e soprattutto rendersi conto della sua limitatezza è già sapere molto. Ma il punto essenziale è che l’uomo al di fuori del suo repertorio, cioè non appena qualche cosa lo fa uscire dalla sua routine, non fosse che per un solo momento, si sente terribilmente a disagio, e fa di tutto per ritornare al più presto all’una o all’altra delle parti abituali. Ricade così nelle sue abitudini e immediatamente tutto riprende per lui a scorrere senza urti; ogni sentimento di difficoltà e di tensione scompare.
Accade sempre così nella vita. Ma nel lavoro, per osservare se stessi, è necessario assolutamente accettare questa difficoltà e questa tensione, e non più temere questi stati di disagio e di impotenza. Soltanto attraverso essi un uomo può realmente imparare a vedersi. Ed è facile comprenderne la ragione. Ogni qualvolta un uomo non recita una delle sue parti abituali e non può trovare nel suo repertorio il ruolo che conviene ad una data situazione, si sente come spogliato. Ha freddo, ha vergogna, vorrebbe fuggire affinché nessuno lo veda. Tuttavia sorge la questione: che cosa vuole? Una vita tranquilla o lavorare su se stesso? Se vuole una vita tranquilla, innanzi tutto non deve mai uscire dal suo repertorio. Nei suoi ruoli abituali si sente a suo agio e in pace. Ma se vuole lavorare su se stesso, deve distruggere la sua pace: il lavoro e la pace sono incompatibili. L’uomo deve fare una scelta, ma senza ingannare se stesso come spesso accade. A parole sceglie il lavoro, ma in realtà non vuole perdere la sua pace. Il risultato è che sta seduto tra due sedie. Di tutte le posizioni, questa è la più scomoda.
L’uomo normalmente non fa alcun lavoro e neppure ha una certa comodità. Purtroppo gli è difficilissimo mandare tutto al diavolo e cominciare un lavoro reale. Ma perché è così difficile? Prima di tutto perché la sua vita è troppo facile. Anche se egli la considera difficile, vi è abituato; e in fondo che essa sia dura non ha più importanza poiché egli la conosce. Ma qui vi è qualche cosa di nuovo e sconosciuto, da cui non sa nemmeno se potrà ricavare o no un risultato. E inoltre, cosa più difficile ancora, deve necessariamente obbedire a qualcuno, sottomettersi alla volontà di un altro. Se un uomo potesse inventare, per se stesso, delle difficoltà e dei sacrifici potrebbe, talvolta, andare molto lontano. Ma in realtà ciò non è possibile.14
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1 M. Nicoll, Commentari Psicologici, vol I, 1941 (pg. 18).
2 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 9).
3 G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale, Neri Pozza, 2000 (81).
4 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 9).
5 P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, 1976 (pg. 69).
6 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 13).
7 G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale, Neri Pozza, 2000 (81).
8 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pgg. 43-44).
9 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 205).
10 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 195).
11 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 357).
12 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 195).
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Nota: L’articolo qui esposto rappresenta un tentativo di ricomporre alcuni dei Frammenti dell’insegnamento di Gurdjieff con le sue stesse parole e con i numerosi contributi di chi ne ha seguito la Via. I riferimenti sono tutti rintracciabili nelle note a fondo articolo. Le eventuali modifiche apportate sono solo di natura stilistica, mai concettuale. L’associazione Per-Ankh, pur trovandosi in sintonia con la maggior parte degli insegnamenti della Quarta Via, non si considera tuttavia un gruppo Gurdjieffiano.
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