Gli Esseni non avevano specchi

È indubbio che, nell’epoca in cui viviamo, le informazioni, di qualunque genere, siano disponibili e viaggino con una velocità impensabile fino a qualche anno fa. La velocità è diventata un’esigenza: tutto e subito. La superficialità è il prezzo da pagare.

Di pari passo, sempre più settori della vita umana sono stati commercializzati, e la spiritualità non è stata immune da questa contaminazione. Già nel 1979 Battiato cantava in Magic Shop: “Supermercati coi reparti sacri, che vendono gli incensi di Dior”, ed oggi la situazione non si può certo dire migliorata.

Nel nome di questo frenetico mercato delle illusioni, le antiche tradizioni iniziatiche vengono scimmiottate: si crea un prodotto appetibile, che deve essere soprattutto facile e rapido, e gli si dà un packaging il più possibile autorevole e con una parvenza di mistero finalmente svelato.

Uno degli esempi più lampanti di questo sistema può essere ravvisato nella teoria dei Sette Specchi Esseni. Ecco le testuali parole che si trovano in uno di essi:

“Per scoprire noi stessi possiamo guardare la relazione che abbiamo con gli eventi e le persone della nostra vita. Gli specchi esseni ci aiutano a capire il significato interiore delle nostre relazioni. Gli Esseni è il popolo da cui discende Gesù, un’antica comunità spirituale la cui conoscenza mistica fu tramandata nel corso degli anni dalle varie popolazioni. Gli Esseni avevano una profonda conoscenza esoterica e nei 7 specchi esseni si racchiude il significato profondo delle relazioni umane. Comprendere i 7 specchi esseni, infatti, ci permette di capire meglio le relazioni con le persone della nostra vita e con noi stessi.”

Non è difficile diagnosticare da queste parole due delle malattie interiori tra le più gravi dei nostri tempi: l’approssimazione e la superficialità. Viene dato per scontato ed assodato che Gesù discenda dagli Esseni (il che apporta un valore aggiunto a tutta la questione), come viene dato per scontato che possedessero la conoscenza mistica ed esoterica dei Sette specchi giunta fino a noi in non si sa quale modo.

Detto per inciso, gli Esseni furono una delle correnti del Giudaismo sicuramente attive al tempo in cui visse Yeoshua ben Yosef (Gesù figlio di Giuseppe, nominato qui con il suo nome ebraico visto che di ebreo trattavasi).

A quei tempi il Giudaismo era costituito da svariate correnti dottrinali anche apertamente in contrasto tra di loro. I Vangeli ne riportano tre: i Sadducei, i Farisei e gli Zeloti. Accanto ad altre scuole minori vi erano gli Esseni. Di loro non si sa molto purtroppo. Le fonti storiche che ne parlano sono molto scarne.

Sicuramente una delle ipotesi è che molti potessero essere i punti di contatto fra la loro dottrina e quella di Yeoshua ben Yosef e con i suoi primi seguaci ma da lì a darlo per scontato di acqua sotto i ponti ne passa…

Un grande impulso alla ricerca sugli Esseni lo diede sicuramente la scoperta dei Rotoli del Mar Morto che fu effettuata a Qumran nel 1947. In tale sito furono ritrovati intatti svariati manoscritti appartenenti ad una comunità che alcuni studiosi hanno identificato con gli Esseni.

In nessuno di questi testi vi è però la benché minima menzione dei Sette Specchi. Infatti in realtà il primo a parlarne fu il noto divulgatore ed autore Gregg Braden nel 1997. Nello specifico, questo autore desume i Sette Specchi dando un’interpretazione di alcuni versetti del Vangelo di Tommaso, che però è uno dei codici gnostici cristiani e pagani ritrovati nel 1945 a Nag Hammadi, in Egitto.

Braden fa quindi un minestrone facendo risalire la paternità degli Specchi agli Esseni ma basa la loro costruzione su versetti di un testo gnostico cristiano (i codici di Nag Hammadi non sono di sicuro testi esseni).

L’origine della teoria è quindi trattata con approssimazione estrema e produce l’effetto di banalizzare, appiattire e quasi ridicolizzare una tradizione complessa e avvolta dal mistero. Entrando poi nel vivo degli Specchi le sorprese possono essere molte. Il primo Specchio infatti recita:

“Il primo specchio esseno, dei rapporti umani, è quello della nostra presenza nel momento presente. Il mistero del Primo specchio è incentrato  su cosa noi inviamo nel momento presente, alle persone che ci stanno accanto. Quando ci troviamo circondati da individui e modelli di rapporto di comportamento in cui domina l’aspetto della rabbia o della paura, lo specchio funziona in  entrambi i sensi, potrebbe invece trattarsi di gioia, estasi e felicità, ciò che vediamo nel primo  specchio è l’immagine di quello che noi siamo nel presente. Chi ci è vicino ce lo rimanda, rispecchiandoci.”

A pensarci bene non sembra una cosa molto mistica. Pare piuttosto essere, liberato dall’estenuante retorica new age, un buon consiglio del tipo: guarda come è messa la gente intorno a te perché non sei il centro del mondo e se magari la vedi arrabbiata chiediti se non sei per caso tu a farla arrabbiare. Forse detta così sarebbe più onesta, diretta e magari di aiuto.

Rimane invece di dubbia utilità e di inquietante faciloneria la lettura inversa. Il fatto di riuscire a rendere il nostro prossimo gioioso e felice è certamente una possibilità, ma il risultato di un cammino fatto di scelte di vita importanti e di un serio lavoro interiore.

Questo è un esempio della superficialità con la quale sono affrontate le tematiche dal moderno mercato della spiritualità, superficialità che può sfociare in una inutile ed ampollosa verbosità pericolosamente scarna di contenuti.

Senza entrare nel merito dei restanti Specchi (un’analisi completa richiederebbe molto tempo), si può affermare che da essi sono derivati per gemmazione altri mirabolanti prodotti del merchandising spirituale quali la Legge dello Specchio e The Secret, teorie che poco hanno a che fare con la ricerca interiore e che al massimo possono annoverarsi come psicologia spicciola e pensiero positivo.

La Conoscenza Iniziatica però non è fatta di pensieri perché questi non hanno mai prodotto alcun cambiamento interiore. Essa può essere ricercata unicamente quando si diviene capaci di accettare la propria fondamentale responsabilità in gioco nella propria vita (principio basilare in tutte le tradizioni autentiche) e si accetta la sfida di scoprire il copione che si sta recitando senza accorgersene.

La moderna deriva del consumismo spirituale propugna invece, per essere appetibile, un costante disimpegno giustificato dal pensiero che tutto è già perfetto. Così il moderno consumatore spirituale si culla in questa illusione pensando di essere già uno con il Tutto. Pensare una cosa però non significa viverla e così finisce per esistere come un ranocchio dentro un piccolo stagno che pensa di essere il principe del mare.


Bibliografia essenziale per approfondire:

Andrea Colamedici e Maura Gancitano, Tu non sei Dio, Edizioni Tlon, 2016.

Perrotta R., Hairéseis, EDB, Bologna, 2008.

 

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