
Introduzione
Tutti sanno che i Vizi (o Peccati) Capitali sono saldamente legati alla Tradizione Cristiana, giusto? Eppure… perché Gesù non ne parla e non se ne trova traccia nei quattro vangeli canonici?
Come sempre, diamo per scontate moltissime cose apprese per assimilazione passiva, ma molte di queste potrebbero rivelarsi diverse dalle nostre certezze.
Ad esempio, i termini vizi e peccati sono una formulazione piuttosto recente. In origine, a partire dalle scuole esoteriche babilonesi per passare da successive elaborazioni dei saggi dell’antica Grecia, si parlava piuttosto di ostacoli all’evoluzione.
Tradizionalmente non c’era quindi spazio per ansie o inutili sensi di colpa tanto cari alla nostra cultura attuale. E cosi dovrebbe essere.
I Vizi Capitali dunque – continueremo a chiamarli così per familiarità concettuale – sono aspetti della natura umana (che per il vero in antichità erano nove e solo in seguito sono stati accorpati a sette) noti ben prima dell’avvento del Cristianesimo.
In passato non erano correlati alla mitologia del peccato originale, e venivano quindi osservati e studiati nella loro forma di sottili dinamiche interiori che tendono a soffocare l’espansione della coscienza, in altre parole la vitalità dell’anima.
L’obiettivo dichiarato era – ed è – prenderne innanzitutto consapevolezza, non solo del modo in cui si esprimono ma anche nel modo in cui ci influenzano la vita e ci tengono quindi prigionieri in un determinato e limitato stato di coscienza. Insomma, capire come fanno a trasformare qualsiasi super-eroe in personaggi schiavi di se stessi.
Offriremo ora qualche breve stimolo di riflessione, provando a dar voce ai diretti interessati. Benvenuti nel mondo della superbia.
A tu per tu con il superbo consapevole
Sotto sotto, mi sento perfetto, o poco mi manca. Indubbiamente, se mi confronto con la maggior parte delle persone che mi circondano, la mia superiorità è innegabile:
- Se conosco un argomento, lo conosco meglio degli altri.
- Se sono sensibile, lo sono più degli altri.
- Se ho sofferto, ho sofferto più degli altri.
- Se ho avuto un’esperienza trascendentale, mi ha portato sulle vette spirituali più elevate…
… e così via.
Anche solo un piccolo successo nella vita può darmi le vertigini e farmi perdere il contatto con la realtà di me stesso, tanta è la gioia che provo nel poter aggiungere un’altra prova della mia indiscussa superiorità.
Un’insaziabile curiosità mi caratterizza. La conoscenza mi attrae, ma non quella con la “C” maiuscola, che offre strumenti per indagare sempre più in profondità dentro se stessi. No di certo, mi attraggono le informazioni rare e pompose, quelle che mi possono garantire sempre quel leggero vantaggio verso il mio prossimo, una schiera di poveracci talmente inetti da non aver ancora compreso la mia natura superiore.
Il mio desiderio di perfezione, di salire sempre sul podio più alto, posso facilmente mascherarlo da tensione verso Dio – e sono anche ammirato per questo.
A volte soffro, e anche profondamente, quando qualcuno o qualche evento mi ferisce nell’animo. In quei momenti mi sento profondamente incompreso nella mia unicità e grandezza. Sofferenza del cuore? No, è solo il dolore dell’orgoglio ferito.
È per me molto difficile (se non impossibile) poter fare affidamento su qualcuno, perché nessuno è al mio livello, sono tutti troppo stupidi e imbambolati. Raramente infatti mi capita di incontrare qualcuno degno della mia stima ed ammirazione, ma se poi mi accorgo che la sua idea su di me non corrisponde alle mie aspettative, sono pronto a sputarlo fuori dalla mia vita in un battito di ciglia.
Non disdegno frequentare le persone, posso essere infatti molto socievole e piacevole. Ad ogni modo, provo verso la maggior parte di loro un sottile disprezzo, e per non darlo a vedere ho imparato a fingere in modo impeccabile. Nella mia vita non c’è spazio per sentimenti come dolcezza, commozione e affetto sinceri.
Non ho tempo né voglia di innamorarmi veramente di qualcuno, men che meno di dovermene poi prendere cura, perché le mie energie sono tutte tese a cercare di fare innamorare gli altri di me. È cosi anche il mio rapporto con Dio: se non mi sento la sua creatura prediletta, non ho problemi ad espellerlo dalla mia vita come una sciocca idea irrazionale.
Nel breve periodo so camuffarmi benissimo. Sono infatti maestro delle giustificazioni e delle velate menzogne. Il problema nasce nel lungo periodo, quando i miei interlocutori più sensibili iniziano a percepire una falsità per alcuni atteggiamenti che contraddicono le mie parole mielose.
La disapprovazione è la mia kriptonite, come per Superman. Appena si orienta verso di me divento acido e risentito, e a stento riesco a mascherare questo mio stato interiore con un sorriso strozzato o con una battuta vendicativa. Non nascondo di sentirmi spesso perseguitato ed odiato da coloro che non vogliono riconoscere le mie doti.
Chi mi conosce superficialmente mi ammira per le mie virtù, per la mia forza di spirito, per la mia sicurezza interiore e per la mia volontà di progredire. In realtà trovo repellente la disciplina, specialmente quando comporta obbedienza a qualcuno o a un principio di vita che non mi mette al centro e che minaccia la mia superiorità.
Pensi forse che l’umiltà sia l’opposto della superbia? Anche qui riesco a fregarti. Superbia ed umiltà sono spesso due facce della stessa medaglia. Adoro infatti apparire maestosamente umile, fragile e insicuro, purché questa mia elevata umiltà sia ben visibile a tutti.
Mi viene spesso criticato il fatto di non sapere che cos’è la gratitudine. Ma di cosa dovrei mai essere grato? Ciò che mi appartiene mi spetta di diritto, come un regno passa in eredità di sangue al principe; ciò che invece vorrei ma non ho, è la prova che la vita è ingiusta.
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