Atteggiamenti positivi e negativi nella Quarta Via

Il cambiamento inizia quando si prendono le cose comuni in modo nuovo.

M. Nicoll (1)

ATTEGGIAMENTI POSITIVI

LA SERIETÀ

Dobbiamo lottare per liberarci se vogliamo lottare per conoscerci. Conoscere e sviluppare se stessi costituiscono un impegno così importante e così serio, cui bisogna dedicare uno sforzo così intenso, che assumerselo nel modo solito, in mezzo a tutte le altre cose, è impossibile. L’uomo che si assume questo impegno deve metterlo al primo posto nella propria vita, perché la vita non è così lunga da poterla sprecare in cose inutili.

Che cosa permetterà all’uomo di consacrare utilmente il proprio tempo alla ricerca, se non la libertà da ogni attaccamento? Libertà e serietà. Non la serietà delle sopracciglia aggrottate, delle labbra tirate, dei gesti accuratamente calcolati, delle parole misurate fra i denti, ma la serietà che vuol dire determinazione e perseveranza nella ricerca, intensità e costanza, in modo che l’uomo, anche nei momenti di riposo, persegua il suo obiettivo principale. (2)

La serietà è spesso definita come un’attitudine seria verso le cose. In realtà è esattamente il contrario. Avere un’attitudine seria verso le cose non significa assolutamente essere seri, essendo stabilito che tutta la questione è di sapere verso quali cose. Un grandissimo numero di persone ha un atteggiamento serio per cose insignificanti. Si può forse dire che siano seri? Certamente no.

L’errore proviene dal fatto che il concetto serio è preso in senso troppo relativo. Quanto è serio per l’uno non lo è per l’altro e viceversa. In realtà, serio è uno di quei concetti che non possono mai in alcuna circostanza essere assunti in senso relativo. Una sola cosa è seria per tutti ed in ogni tempo.

L’uomo può rendersene più o meno conto, ma la serietà delle cose non sarà minimamente alterata per questo. Se l’uomo potesse comprendere tutto l’orrore della vita delle persone ordinarie che girano in tondo in un cerchio di interessi e di scopi insignificanti, se potesse comprendere ciò che perdono, comprenderebbe che non vi può essere che una sola cosa seria per lui: sfuggire alla legge generale, essere libero.

Per un uomo in prigione e condannato a morte, cosa può esservi di serio? Solo una cosa: come salvarsi, come fuggire. Nient’altro è serio. (3)

LA SINCERITÀ

Le persone non realizzano il posto immenso che nella loro vita prende la menzogna, o per lo meno la soppressione della verità. Sono incapaci di essere sincere sia verso se stessi che verso gli altri. E non comprendono neanche che imparare a essere sinceri quando ciò è necessario, è una delle cose più difficili al mondo. (4)

Il Lavoro si basa sulla sincerità interiore. Uno sforzo che nasce dalla sincerità interiore e da un’infrangibile valutazione del Lavoro, produrrà un cambio d’essere e cambierà la posizione dell’uomo nell’universo, perché è qualitativo, e si distingue da qualsiasi quantità di sforzi esterni, mancanti di sincerità o deboli. Per tale motivo in questo Lavoro si porta la gente al punto di decisione. Questo significa che tutto l’esterno, ad un certo punto, gli sarà contrario, e così ci saranno molti motivi di lamentela e di critica e una quantità di ragioni per trovare difetti negli altri – e, di fatto, questo punto può essere creato artificialmente, se non nasce inevitabilmente, come succede in generale. Poi tutto dipende da cosa il Lavoro ha fatto nascere in loro ed è veramente interiore: se è così, lo sforzo conduce veramente ad un cambio di essere – cioè, ad una nuova crescita dell’essenza – perché si fa a spese della personalità. Una volta Gurdjieff disse:

Dobbiamo arrivare ad un punto nel Lavoro, in cui anche se troviamo ostacoli e ritorsioni, mai dobbiamo dimenticare il nostro scopo. Qui è dove si presenta la nostra attitudine verso il Lavoro – per questo Lavoro eterno. Non è evidente che un tale momento esige lo sforzo più qualitativo e sincero? Se la nostra attitudine è superficiale, come l’affronteremo? Pensiamo, senza che nessuno ci aiuti, a cosa significa questo e su cosa si basa il Lavoro – il cambiamento interiore, e tutto ciò che esso significa – anche se non lo avevamo pensato prima. Il cambiamento non è un’addizione, ma un vero cambio di livello di persona da come si è, e per questo è così doloroso. E solo i momenti più sinceri hanno utilità qui. (5)

Occorre considerare inoltre che non ci si può svegliare da soli. Un certo numero di persone che vuole destarsi si deve mettere d’accordo che quando una di loro è addormentata, qualcun’altra deve essere sveglia e deve dare gli scossoni. Ma fare un accordo del genere richiede sincerità; quelle persone devono realmente volere svegliarsi e non devono essere arrabbiate o offese quando ricevono gli scossoni. (6)

IL SILENZIO

Qui c’è un regola: qui la nostra vita è eccezionale. Quello che diciamo qui, quello che facciamo, non deve saperlo nessuno. (7)

Ai membri di un gruppo che sta per organizzarsi vengono imposte delle condizioni: condizioni generali per tutti e condizioni speciali per i singoli. Le condizioni generali poste all’inizio del Lavoro sono abitualmente di questo tipo: si spiega dapprima a tutti i membri dei gruppi che devono tenere segreto tutto ciò che intendono o imparano nel gruppo, e non solamente fino a quando ne sono membri, ma una volta per tutte e per sempre.

È questa una condizione indispensabile il cui principio deve essere assimilato fin dall’inizio. In altre parole, essi devono comprendere che non vi è in questo il minimo tentativo di fare un segreto di ciò che non è essenzialmente un segreto, come non si tratta di una deliberata intenzione di privarli del loro diritto di scambiare idee con i loro parenti o amici.

La semplice ragione di questa condizione è il fatto che essi sono incapaci di trasmettere correttamente ciò che è detto nei gruppi. Ben presto però, e per loro esperienza personale, cominciano a valutare quanti sforzi, quanto tempo e quante spiegazioni sono necessarie per arrivare a comprendere ciò che è detto nei gruppi. Diventa loro chiaro, da quel momento, che non sono capaci di dare ai loro amici un’idea giusta di ciò che essi stessi hanno imparato. Al tempo stesso, cominciano a comprendere che, dando ai loro amici idee false, li privano per sempre di ogni possibilità di avvicinarsi al Lavoro o di potervi comprendere qualcosa; senza contare che in questo modo creano a loro stessi per l’avvenire ogni sorta di difficoltà e molti dispiaceri.

Se un uomo, malgrado questo avvertimento, tenta di trasmettere ai suoi amici ciò che ha udito nei gruppi, non tarderà a convincersi che tentativi di questo genere danno risultati del tutto inattesi e indesiderabili. O le persone cominciano a discutere con lui e senza volerlo ascoltare, si sforzano di imporgli le loro teorie, oppure interpretano male tutto ciò che viene detto loro, attribuendo un senso interamente differente a quanto hanno sentito. Allorché un uomo si rende conto di questo e comprende l’inutilità di tali tentativi, comincia a riconoscere la legittimità di questa condizione.

Vi è d’altronde un’altra ragione, non meno importante: è molto difficile per un uomo tenere il silenzio sulle cose che gli interessano. Vorrebbe parlarne a tutti quelli ai quali, per abitudine, confida i suoi pensieri. Questo è il più meccanico di tutti i desideri e, in tal caso, il silenzio è la più difficile forma di digiuno. Al contrario, se un uomo lo comprende o quanto meno segue questa regola, questo sarà per lui il migliore esercizio per ricordarsi di sé e per lo sviluppo della volontà. (8)

Il silenzio in generale, inoltre, è un metodo per conoscersi ed interrompere alcune abitudini meccaniche. Ouspensky in Frammenti di un insegnamento sconosciuto, riferisce:

Per la maggior parte di noi la principale difficoltà, come ben presto si vide, era l’abitudine di parlare. Nessuno vedeva questa abitudine in se stesso, nessuno poteva combatterla, perché era sempre legata a qualche caratteristica che l’uomo considerava positiva in se stesso.

Se parlava di se stesso o degli altri, era perché voleva essere sincero, oppure perché desiderava sapere ciò che pensava un altro, oppure perché voleva aiutare qualcuno, ecc…

Mi accorsi subito che la lotta contro l’abitudine di chiacchierare o, in generale, di parlare più del necessario, poteva diventare un centro di gravità del lavoro su di sé, perché questa abitudine si intrometteva in tutto, penetrava tutto ed era per molti tra di noi la meno notata.

Era veramente curioso osservare come, qualsiasi cosa l’uomo intraprenda, questa abitudine (dico abitudine, in mancanza di un’altra parola, sarebbe più corretto dire questo peccato o questa calamità) s’impossessi subito di tutto. (9)

IL DESIDERIO

Orage, in Insegnamenti di Gurdjieff, spiega:

Gurdjieff parla del desiderio dell’essenza e della voglia della personalità. La mia essenza ha tre centri, è una replica in miniatura del mondo, di Dio, nella mia essenza non posso che avere lo stesso desiderio che Lui ha. Devo scoprire questo desiderio dell’essenza. (10)

In merito ad una domanda sulla possibilità di essere coscienti, Gurdjieff rispose:

L’obiettivo è la capacità di desiderare veramente, e può essere raggiunto solo da chi realizza la propria nullità. Dobbiamo riesaminare i nostri valori, e per fare questo dobbiamo basarci su un vero bisogno.

L’uomo non può affrontare da solo questa rivalutazione. Io posso consigliarla, ma non posso aiutarla; e nemmeno l’Istituto la può aiutare. L’Istituto potrà aiutarla quando lei sarà sulla via, ma lei non è ancora sulla via.

Prima di tutto deve decidersi: la via le è indispensabile o no? Come si fa per scoprirlo? Se vuole essere serio, deve cambiare punto di vista, deve cambiare modo di pensare, e individuare il suo obiettivo, ammesso che esista. Da solo non può farcela. Deve contare su un amico che sia in grado di aiutarla. Chiunque può essere d’aiuto, ma soprattutto due amici possono aiutarsi reciprocamente a rivedere i propri valori. (11)

ATTEGGIAMENTI NEGATIVI

VANITÀ E AMOR PROPRIO

Ho detto che abbiamo ogni sorta di nemici, ma i principali e i più attivi sono la vanità e l’amor proprio. Esiste persino un insegnamento che li definisce rappresentanti e messaggeri del diavolo.

Per particolari ragioni, essi sono anche chiamati Signora Vanità e Signor Amor proprio.

(…) Personalmente, vi consiglio di cercare di liberarvene senza inventare inutili teorie, aiutandovi con la semplice riflessione, con la riflessione attiva. (12)

Prima di tutto sulla vanità e l’orgoglio dobbiamo dire che è necessario studiarli in noi stessi per mezzo dell’osservazione personale. Abbiamo forse una conoscenza teorica di essi senza avere la minima idea della forma in cui si manifestano in noi. Ogni persona ha le sue proprie forme di vanità ed orgoglio che differiscono secondo i diversi casi, ed è necessario ricordare che all’aspetto sono molto naturali.

Tanto l’orgoglio come la vanità sono relazionati con l’amor proprio, ma anche in queste relazioni le loro manifestazioni possono essere così differenti che una può opporsi all’altra; per esempio, ci fanno un elogio e la nostra vanità si sente lusingata ma l’orgoglio ci fa sentire infastiditi.

(..) L’orgoglio può giungere a formare parte della volontà e la vanità non può farlo. In un certo senso la densità dell’orgoglio è maggiore di quella della vanità, e così con l’orgoglio si può fare di più, si può sopportare di più. Questi due giganti che vanno davanti a noi e decidono tutto anticipatamente, a volte, sogliono cooperare ed altre essere antagonisti. Per questo è così difficile definire se una data azione si deve esclusivamente all’uno o all’altra. La vanità ha un sapore interno differente da quello dell’orgoglio.

È certo che la vanità esige sempre un auditorio. Persino quando una persona è sola nella sua camera da letto e si sente lusingata, in realtà immagina l’effetto che produrrà dopo sulla gente. Nessuna persona penserebbe di agghindarsi se fosse l’unico abitante della terra, anche se fossero solo due persone probabilmente lo farebbe, e con più ragioni se fossero tre abitanti. Ma la vanità non si occupa necessariamente dell’apparenza esterna, come dice in modo errato la gente.

In generale è la vanità che produce la giustificazione di sé, ma che poi diventa un’espressione di difesa della falsa personalità. L’orgoglio ci fa vergognare dell’auto-giustificazione.

Quando l’orgoglio si esteriorizza è solito essere complice della vanità, ma se s’interiorizza suole essere utile aiutandoci a realizzare uno sforzo per ricordare il nostro scopo nel Lavoro. Quando l’orgoglio è diretto all’interno verso se stessi dunque, ci fa sentire vergognosi, per esempio, di non aver compiuto il nostro lavoro. (…)

È giusto pensare all’orgoglio e alla vanità secondo la loro utilità o inutilità in relazione al Lavoro. L’orgoglio suole trasformarsi in vergogna e un orgoglio genuino suole trasformarsi in vera vergogna e umiltà in presenza di ciò che è superiore. Un uomo che manca di vera vergogna e pertanto di vero orgoglio non è adatto in realtà al Lavoro. Non c’è in lui profondità. Ma la vanità è sempre nociva, per dirla così, eccetto in piccole dosi. (13)

Molte persone (…) cominciano ad interessarsi all’Insegnamento di Gurdjieff, ma molte vogliono solo essere interessate. Quando la vanità e l’amor proprio cominciano a sentirsi offesi, come dev’essere in ogni vero gruppo, gli allievi si risentono e se ne vanno. Ma quelli che sono in grado di costringersi a vedere loro stessi per quello che sono, qualunque sia la loro sofferenza, vengono ampiamente ricompensati – cominciano davvero a vivere, diventano i “nati due volte”. La pratica di questo Insegnamento, che all’inizio sembra facile, “proprio quello che stavo cercando”, è la cosa più difficile al mondo. Tutto si oppone – sia esteriormente che interiormente – alla conoscenza di sé, si oppone lo sforzo di essere coscienti di sé. (…) Ma seguendo il sentiero e attraversando il ponte, un uomo riceve benedizioni che non hanno prezzo. [14]

“Affermo categoricamente”, aggiunge [Gurdjieff], “che la felicità e la coscienza di sé che dovrebbero trovarsi in un uomo, così come nella pacifica esistenza in comune delle persone (al di là delle numerose altre cause presenti nella nostra vita non per colpa nostra) dipendono nella maggiorità dei casi, esclusivamente dall’assenza in noi del sentimento di Vanità!” (15)

SFIDUCIA E ACCIDIA

Ai membri di un gruppo deve essere richiesto di ricordarsi la ragione per la quale sono venuti al gruppo. Se, perciò, non appena sono nel gruppo, incominciano a sentire o ad esprimere sfiducia (…), a criticare, a trovare che essi comprendono meglio come il gruppo dovrebbe essere condotto, e soprattutto se dimostrano mancanza di considerazione esteriore (…), mancanza di rispetto, asprezza, impazienza, tendenza a discutere, tutto ciò mette subito fine a ogni possibilità di Lavoro, poiché il Lavoro è possibile nella misura in cui le persone si ricordano di essere venute per imparare e non per insegnare.

Quando un uomo comincia a nutrire sfiducia verso il maestro, il maestro perde ogni utilità per lui ed egli diventa inutile al maestro. In tal caso è meglio per lui che vada a cercarne un altro o cerchi di lavorare da solo. Ciò non gli farà alcun bene, ma in ogni caso gli farà meno male della menzogna, della soppressione della verità, della resistenza o della sfiducia.

Oltre a queste esigenze fondamentali si presume, naturalmente, che i membri di ogni gruppo debbano lavorare. Se si accontentano di frequentare il gruppo e non lavorano, ma immaginano di lavorare, o se considerano come un lavoro la loro semplice presenza nel gruppo, o anche, come accade sovente, se vengono alle riunioni per passare il tempo, considerando il gruppo come un luogo di incontri piacevoli, allora la loro presenza nel gruppo diventa del tutto inutile. E prima saranno allontanati, o se ne andranno spontaneamente, e meglio sarà per loro e per gli altri. (16)

Bisogna difendersi dall’incanto delle attività, degli affari e dalla trappola della presunzione. È difficile restare interiormente tranquilli e trattenersi dal fare una cosa o l’altra. Vedo che voglio essere impegnato in tante attività, specie in quelle che mi fanno apparire importante. Sono un uomo comune, un uomo che talvolta desidera conoscersi, ma che non può conoscersi realmente fino a quando rimane così com’è. (17)

L’ANSIA

Ravi Ravindra individua la funzione dell’ansia ma, più in generale, di tutte le reazioni meccaniche:

Individuo almeno una funzione svolta dall’ansia meccanica. È un supporto all’ego. È come se avessi bisogno di un certo livello di ansia per mantenere un senso di me, per cui mi preoccupo, dunque sono. E questo vale per ogni cosa. Non rivelano la realtà di nulla, piuttosto il livello della mia coscienza. Torno continuamente sulle stesse cose. Gran parte delle volte non è necessario ed è uno spreco totale di energia. Ma se non ci fossero queste preoccupazioni a dare un significato alla mia vita, è come se non esistessi. Un’offesa – o un’ansia – reiterata continuamente, sostiene il senso di me. Mi dà sicurezza. Vedo che se non pongo attenzione, la mia energia viene presa da una qualunque ansia di passaggio.

Non è forse quello che ha detto Madame de Salzmann? A ogni livello, l’energia esiste in relazione a un’energia di un altro livello. Se l’energia della mia vita ordinaria non viene incanalata o usata, allora verrà sperperata. Come ha detto: “C’è bisogno di un’azione positiva, sempre. Vigilanza costante.” (18)

MENTIRE

Mentire è pensare o parlare di cose che non si conoscono; questo è l’inizio del mentire. Non significa mentire intenzionalmente: raccontare delle storie, come per esempio che c’è un orso nell’altra stanza. Si può andare nell’altra stanza e vedere che non c’è un orso. Ma se prendiamo tutte le teorie che la gente avanza su qualsiasi dato argomento, senza saperne nulla, vedremo dove comincia il mentire. L’uomo non si conosce, non conosce nulla, tuttavia ha teorie su quasi tutto. La maggior parte di queste teorie è menzogna. (19)

Quindi una delle prime cose, e tra le più importanti da osservare, è il mentire. Le nostre illusioni, convinzioni errate, punti di vista sbagliati e così via sono molto simili al mentire. Tutte queste debbono essere studiate perché, finché non cominciamo a comprendere le nostre illusioni, non potremo mai vedere la verità. In ogni cosa dobbiamo fin dal principio separare le nostre illusioni dai fatti. Soltanto allora sarà possibile vedere se possiamo realmente apprendere qualcosa di nuovo. (20)

Cercate per un momento di accettare l’idea che non siete quello che credete di essere, che vi stimate troppo, dunque che mentite a voi stessi. Che vi mentite sempre, ogni momento, tutto il giorno, tutta la vita. Che la menzogna vi governa a tal punto da non poterla controllare. Siete preda della menzogna. Mentite in ogni situazione. Le vostre relazioni con gli altri: menzogna. L’educazione che date, le convenzioni: menzogna. Il vostro insegnamento: menzogna. Le vostre teorie, la vostra arte: menzogna. La vostra vita sociale, la vostra vita in famiglia: menzogna. E ciò che pensate di voi stessi: egualmente menzogna.

Ma non vi soffermate mai su ciò che fate, né su ciò che dite, perché credete in voi. occorre fermarsi interiormente e osservare. Osservare senza partito preso. Se accettate per un certo tempo questa idea della menzogna, e se osservate in questo modo, pagando con voi stessi, senza pietà, dando tutte le vostre pretese ricchezze per un momento di realtà, forse vedrete improvvisamente ciò che non avete mai visto in voi fino a quel giorno. Vedrete che non siete altro da ciò che credete di essere. Vedrete che siete due. Quello che non è ma prende il posto e recita il ruolo dell’altro. E quello che è, ma così debole, così inconsistente che appena appare, immediatamente sparisce. Non sopporta la menzogna. La più piccola menzogna lo fa sparire. Non lotta, non resiste, è subito sopraffatto. (…) Quando avrete visto le vostre due nature, quel giorno in voi sarà nata la verità. (21)

L’auto-giustificazione è una delle molte specie di menzogne che scorrono continuamente in noi. La menzogna ci evita la sofferenza utile e spesso la rimpiazza con una sofferenza inutile: questa è una delle ragioni per cui il Lavoro dice che la menzogna danneggia e può persino uccidere l’Essenza.

Bisogna comprendere almeno che impedisce uno sviluppo qualsiasi dell’Essenza, perché l’Essenza può crescere soltanto mediante ciò che è reale, ciò che è vero. L’Essenza non può crescere per mezzo delle menzogne. Solo la Falsa Personalità lo può fare.

Tutte le emozioni negative mentono in quanto esse deformano le cose. La verità le distrugge, ma esse imitano la verità scartando certe cose, impiegando mezze verità, aggiungendo, relazionando le cose che succedono veramente in un modo sbagliato, ecc.

Quando una persona è negativa mente sempre. Basta osservarlo in se stessi. Due persone negative possono scagliarsi contro le menzogne più fantastiche. Se uno è negativo ed anche un altro lo è, le due persone possono insultarsi a tal punto da dirsi ogni sorta di cose sorprendenti.

In ognuno di noi c’è una grande fabbrica di menzogne, e questa è la parte negativa del Centro Emozionale. Tale è l’inferno in se stessi; in questo inferno si odiano tutti, ed ha valore solo la violenza e la distruzione. A tal riguardo Ouspensky disse: “Questo mondo non è controllato dal sesso né dal potere, ma dalle emozioni negative”. (22)

UNA STORIA DIVERSA

Orage, citato da Nott, fece notare come siamo vittime di cliché ormai dati per assodati:

Sin da bambini ci è stato detto che la ricchezza è una condizione migliore della povertà; che le persone sono superiori o inferiori in base alla condizione sociale, agli averi o al fascino, educazione, talento (…). Ci hanno insegnato a credere che un’innata grandiosità è sinonimo di felicità individuale, che i divertimenti divertono, che una compagnia di rango elevato è brillante, che bisogna essere elogiati da altre persone e che la loro disapprovazione ci rende deboli, che libri, quadri e musica sono fonti di stimolo, che è meglio disporre di tempo libero senza lavorare, che è possibile non fare nulla, che fama, potere, notorietà e successo sono valori reali.

Accettiamo tutto senza riflettere, senza pensarci. Non vogliamo riflettere perché potremmo disturbare la nostra tranquillità, che è pace di una mente priva del desiderio di comprendere il significato dell’esistenza; e non vogliamo riflettere per egoismo, che si sostituisce alla morale oggettiva con il “mi piace” o “non mi piace”: il modo di esprimersi dei bambini. Siamo vittime della suggestione, che è il meccanismo della nostra psicologia. Dipendiamo dalla ricompensa o dalla punizione, che occupano una parte essenziale nell’educazione del bambino, ma non cresciamo mai.

È raro che le esperienze ci facciano comprendere qualcosa, cerchiamo sempre la comprensione all’esterno. Paradossalmente possiamo comprenderla solo attraverso le esperienze. La comprensione sta dentro di noi. (23)

Lo stesso fa Ravi Ravindra, il quale sottolinea quanto ci si perde a causa delle cattive tendenze e mancate scelte e sforzi:

Quello di cui bisognerebbe rendersi conto costantemente, e che si dimentica sempre, è che nello stato ordinario si è separati dal Reale, dall’energia che dà chiarezza, significato e senso alla vita. Per vanità, desiderio, pigrizia e paura si vive isolati dalla grande riserva dell’Essere, in un pezzettino isolato di essere chiamato me. Nessuna delle nostre attività, nessun onore, nessun piacere hanno davvero senso se si è separati dall’unica cosa che dà reale significato. (24)


(1) M. Nicoll, Commentari (Vol. I – cap. 33)

(2) G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale (51-2).

(3) P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto (402).

(4) P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto (249).

(5) M. Nicoll, Commentari (Vol. I – 174).

(6) P.D. Ouspensky, La Quarta Via (398).

(7) Incontri con Gurdjieff (72).

(8) P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto (248-9).

(9) P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto (393).

(10) C.S. Nott, Insegnamenti di Gurdjieff (221).

(11) G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale (236-7).

(12) G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale (264-5).

(13) M. Nicoll, Commentari (Vol. I – cap. 48).

(14) C.S. Nott, Insegnamenti di Gurdjieff – Vol. 2 (314).

(15) C.S. Nott, Insegnamenti di Gurdjieff – Vol. 2 (93).

(16) P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto (249-250).

(17) R. Ravindra, Un cuore senza limiti (77).

(18) R. Ravindra, Un cuore senza limiti (92).

(19) P.D. Ouspensky, La Quarta Via (14).

(20) P.D. Ouspensky, La Quarta Via (27).

(21) J. de Salzmann, “Question de” n. 50, citato in Georges Ivanovitch Gurdjieff – Vol. 1 (19-20).

(22) M. Nicoll, Commentari (Vol. III – cap. 120).

(23) C.S. Nott, Insegnamenti di Gurdjieff (256).

(24) R. Ravindra, Un cuore senza limiti (136-7).

Nota: L’articolo qui esposto rappresenta un tentativo di ricomporre alcuni dei Frammenti dell’insegnamento di Gurdjieff con le sue stesse parole e con i numerosi contributi di chi ne ha seguito la Via. I riferimenti sono tutti rintracciabili nelle note a fondo articolo. Le eventuali modifiche apportate sono solo di natura stilistica, mai concettuale. L’associazione Per-Ankh, pur trovandosi in sintonia con la maggior parte degli insegnamenti della Quarta Via, non si considera tuttavia un gruppo Gurdjieffiano.

Ascolta l’articolo diviso in due parti su Youube :

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